For a problem can only be solved by a principle.
— G. K. Chesterton —
Esiste una percezione diffusa, che la politica oggi sarebbe incapace di offrire soluzioni ai «problemi dei cittadini» perché troppo lontana dalla «gente». È una percezione che anch'io condivido ma in cui si annida un rischio, di credere che esista davvero un «bene del Paese» indistinto e non invece un sovrapporsi di interessi e bisogni che si limitano a vicenda, in certi casi si escludono. Si negherebbe altrimenti la possibilità di esistere di una politica come scelta di campo possibile tra le tante possibili, di un equilibrio più o meno sbilanciato tra le forze sociali secondo visioni, convinzioni e condizioni diverse.
L'idea di considerare il politico come il luogo di risoluzione o lenimento dei problemi «dei cittadini» produce la convinzione che i suoi fallimenti coincidano con il fallimento delle sue soluzioni. Ma è il contrario. L'elaborazione politica si distingue in modo fondamentale dall'amministrazione perché è chiamata a formulare i problemi, non a risolverli, a stabilire cioè un progetto da affidare all'esecuzione dei tecnici. Quel progetto può essere espresso implicitamente indicando, appunto, i problemi che occorre risolvere per realizzarlo progressivamente. L'approccio di dichiarare i problemi e non direttamente gli obiettivi sottesi ha un vantaggio pragmatico: i primi (ad es. i salari bassi, la disoccupazione, la denutrizione, la mancanza di servizi ecc.) sono concreti e presenti, i secondi (ad es. un livello di vita dignitoso per tutti) sono astratti e lontani e devono in ogni caso scomporsi in una visione problematica che fornisca stimoli all'azione.
La formulazione del problema implica anche la sua collocazione all'interno di una rete di relazioni causali che, a sua volta, disegna sullo sfondo una certa visione della realtà tra le tante possibili. Una vita dignitosa per tutti può essere un obiettivo in sé oppure, a sua volta, un problema la cui mancata realizzazione allontana l'obiettivo di una società senza conflitti, di un precetto evangelico, di un mondo più sicuro per i ricchi (cit. Hayek) o altro. La aristotelica causa finale può collocarsi a qualsiasi altezza, fino al limite ultimo del soprannaturale, di una catena logica liberamente componibile che apre spazi infiniti all'elaborazione dialettica. Ogni proposta politica non è quindi che una gerarchia esplicita o implicita di problemi da superare e il suo successo non dipende dal successo delle soluzioni che propone (sempre fallibili, per i più diversi motivi) ma dal consenso che la sua problematizzazione della realtà, e quindi le sue priorità, e quindi il suo modello di società riscuotono tra i destinatari.
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Ora, può darsi il caso che una proposta sia indirizzata a risolvere problemi che sottendono un progetto inaccettabile per chi è chiamato a sostenerla. In questi frangenti è destinata a fallire oppure a ricorrere all'unica possibilità di salvarsi: quella di dissimulare i suoi fini enunciando falsi problemi. In ciò la soccorrerebbero le già osservate proprietà elusive dell'approccio problematico: da un lato il suo rimandare all'obiettivo senza dichiararlo, dall'altro l'infinita libertà delle sue combinazioni dialettiche e causali. Ad esempio, il falso problema dello «spread» - in sé l'unità di misura di un sistema convenzionale, eventualmente problematico - dissimula l'obiettivo, inaccettabile per la maggioranza dei cittadini, di assicurare ai grandi speculatori grandi guadagni senza rischio né fatica. Riducendo i due termini dialettici si scoprirebbe persino un'identità semantica: scongiurare l'aumento dello «spread» significa precisamente tutelare chi specula, e nient'altro.
Una politica impopolare, o peggio ingannevole, non si riconosce dunque dalle sue false soluzioni, ma dai suoi falsi problemi. A me sembra che oggi questo requisito sia soddisfatto oltre ogni dubbio e oltre ogni decenza. Il dibattito politico contemporaneo può definirsi come una produzione a getto continuo di falsi problemi dove non passa giorno senza che si aggiunga nuovo fumo a una cortina di «emergenze» da mettere ogni volta in cima all'agenda: dall'«odio» al razzismo, dal patriarcato al sessismo, dallo ius soli, culturae, itinerandi, natandi degli altri alla «scarsa mobilità» dei nostri, dal sempreverde baubau del fascismo che ritorna a quello - novità dello chef - del comunismo, dal debito pubblico ai soldi pubblici che «non ci sono», dal «nanismo delle imprese» al «troppo Stato», dall'«analfabetismo finanziario» a quello «funzionale», dai mancati scontrini alle mancate nascite (ma, subito dopo, l'apocalisse della «sovrappopolazione»), dalle frontiere «da abbattere» ai dazi «anacronistici», dal troppo contante in circolo ai mancati scontrini alla corruzione «percepita», dalla genitorialità gay ai semafori, ai cessi, alla modulistica «gender equal», dall'educazione erotica degli infanti ai chemioterapici per i preadolescenti sessualmente indecisi, dal deficit di «cultura scientifica» al «ritardo digitale» che va «colmato» forzando ovunque l'uso dei calcolatori, dai «fondamentalismi» ai «nazionalismi», dal «complottismo» alle «fake news», dall'anidride carbonica al diritto di voto che deve essere riservato ai plurilaureati nei giorni pari, esteso anche ai sedicenni in quelli dispari, dalla varicella al morbillo alle altre malattie che dall'oggi al domani diventano emergenze globali e piaghe sterminatrici, ma solo se prevenibili con un vaccino, dalle autoblù alle province agli «enti inutili» al numero dei parlamentari il cui taglio, dicono, era atteso da quarant'anni (cioè da qui).
In questa cacofonia di allarmi, tutti accuratamente lontani dagli allarmi che salgono dalla più ampia base dei cittadini, si confondono fattispecie diverse: i problemi falsamente formulati (che cioè riformulano un problema reale, per nasconderlo), quelli falsamente rappresentati (che trasformano casi minoritari o controversi in questioni universali, per falsa sineddoche), i falsi d'autore (cioè problemi creati e alimentati da chi li denuncia) e i falsi tout court.
È altrettanto diffusa la percezione che questi e altri falsi problemi servano a paralizzare l'azione politica e a deviare l'attenzione del pubblico dalla mancata soluzione dei problemi reali che lo affliggono. Anche questa percezione è condivisibile e invita ad approfondire i modi e i moventi del fenomeno.
Se non serve, serve a qualcos'altro.
— I.P. —
Osserviamo il filo rosso che attraversa la breve antologia degli esempi citati. In tutti i casi i «problemi» formulati dai governanti e dalle loro filiali editoriali sottendono più o meno direttamente una inadeguatezza o colpa dei governati: pigri, arretrati, pavidi, egoisti, irresponsabili, improvvidi, ignoranti, infidi, prevenuti, bigotti, violenti, prodighi, privilegiati ecc. toccando tutte le corde della riprovazione morale. Come in una piramide, l'ampiezza della critica si allarga verso gli strati sociali più bassi e si assottiglia ai vertici politici ed economici, fino a scomparire. Si produce così l'effetto di schermare non tanto le responsabilità dei dominanti quanto quelle dei progetti a cui si ispirano, addebitando i loro sciagurati effetti a coloro che li subiscono e giustificando così la loro reiterazione e imposizione senza limiti.
Il secondo e più decisivo elemento di interpretazione si evince dalle soluzioni offerte. Queste ultime, essendo falsi i problemi, non possono che essere a loro volta false, cioè inutili e fallimentari. Se tuttavia si accetta l'ipotesi che le criticità pubblicamente formulate servano a occultare obiettivi, e quindi altre criticità, impresentabili alla maggioranza, le false soluzioni diventano allora gli indicatori fedeli di un progetto implicito rispetto al quale sono invece finalmente «vere» e funzionali, ripristinando un senso logico e causale che sembrava smarrito. Più precisamente, se il nesso tra il problema dichiarato e l'obiettivo auspicato dalla maggioranza è falso, quello tra la soluzione offerta e l'obiettivo (dissimulato) della minoranza è invece perfettamente vero. La formulazione del falso problema si svela così essere un mero veicolo dialettico per far leva sulla volontà e sui bisogni, spesso drammatici, di coloro che devono legittimare l'azione politica e assicurare così che una soluzione asservita a tutt'altra esigenza - di norma anzi opposta all'originale - goda del necessario consenso per realizzarsi.
Lo schema si applica facilmente non solo a tutti gli esempi sopra citati, ma in pratica a tutta l'azione cosiddetta democratica dei nostri anni, ormai saldamente agganciata a un doppio binario dove le rappresentazioni dei problemi e delle soluzioni coram populo, sempre più assurde, isteriche e surreali, accompagnano lo spartito di una lucida e ostinata marcia contra populum. A titolo di esercizio, esaminiamo alcuni esempi di crasi tra gli obiettivi della maggioranza e quelli dissimulati della minoranza a valle del sovvertimento causale operato dalla falsa diade problema/soluzione.
Esempio n. 1:
Obiettivo (magg) |
Realizzare una società più tollerante e dialogante. |
↳ Problema |
L'«odio». |
↳ Soluzione |
Denunciare e sanzionare i «discorsi d'odio». |
↳ Obiettivo (min) | Fomentare l'odio dei cittadini contro chi reputa odiosi i messaggi e le politiche dominanti, per realizzare una società che non tollera le critiche e censura il dialogo. |
Esempio n. 2:
Obiettivo (magg) |
Garantire e migliorare l'offerta di servizi pubblici ai cittadini. |
↳ Problema |
Il debito pubblico. |
↳ Soluzione |
Ridurre la spesa pubblica e/o aumentare le tasse. |
↳ Obiettivo (min) | Nel breve termine, garantire le rendite da speculazione a scapito dei redditi dei cittadini e dell'offerta di servizi pubblici. Nel medio-lungo, assicurare ai detentori di grandi capitali una leva extra-costituzionale per imporre decisioni politiche nel proprio interesse. |
Esempio n. 2 (variante):
Obiettivo (magg) |
Garantire e migliorare l'offerta di servizi pubblici ai cittadini. |
↳ Problema |
L'evasione fiscale. |
↳ Soluzione |
Scoraggiare l'uso del denaro contante. |
↳ Obiettivo (min) | Forzare il ricorso a servizi bancari a pagamento, riservare la facoltà di frodare il fisco ai grandi operatori multinazionali rinforzando ulteriormente il loro vantaggio, avocare a governi e gruppi finanziari il controllo delle spese e del denaro posseduto dai cittadini, fino a negare loro il diritto di spenderlo. |
Esempio n. 3:
Obiettivo (magg) |
Fornire un'informazione corretta ai cittadini. |
↳ Problema |
Le «fake news» su internet. |
↳ Soluzione |
Censurare la «fake news» su internet e sanzionarne gli autori. |
↳ Obiettivo (min) | Imporre un monopolio dell'informazione e delle «fake news». |
Esempio n. 4:
Obiettivo (magg) |
Tutelare la salute pubblica e promuovere i progressi della scienza medica. |
↳ Problema |
La diffusione di teorie e terapie rifiutate dalla «comunità scientifica». |
↳ Soluzione |
Imporre trattamenti «ufficiali» e punire i medici eterodossi. |
↳ Obiettivo (min) | Privare i cittadini della libertà di scelta e piegare la salute pubblica e la scienza medica agli interessi di pochi operatori. |
Esempio n. 5:
Obiettivo (magg) |
Migliorare le condizioni delle popolazioni più povere del mondo. |
↳ Problema |
Il «razzismo». |
↳ Soluzione |
«Aprire i porti» agli immigrati. |
↳ Obiettivo (min) | Sfruttare le popolazioni più povere del mondo per soddisfare interessi economici e politici. |
Esempio n. 6:
Obiettivo (magg) |
Migliorare la formazione dei giovani. |
↳ Problema |
La difformità dei risultati Invalsi. |
↳ Soluzione |
Introdurre l'obbligo scolastico a partire dalla nascita (sì, è stato detto), perché i punteggi Invalsi più elevati sarebbero associati a studenti che hanno frequentato l'asilo nido. |
↳ Obiettivo (min) | Indebolire il ruolo della famiglia, inculcare la propaganda di Stato fin dalla prima infanzia. |
Eccetera.
Esercitandosi in altre applicazioni, il lettore si imbatterà presto in una scoperta: che il merito degli inneschi problematici di volta in volta sollevati è del tutto irrilevante. Che cioè il merito è il falso problema. Se quegli inneschi sono sempre falsamente correlati all'obiettivo sottinteso, la loro disamina diventa allora frustrante e anzi funzionale alla loro legittimazione (traduco: dell'efficacia dell'omeopatia o degli eventuali «cambiamenti climatici antropogenici» non ce ne frega niente, se la loro discussione a comando serve a giustificare le tresche di chi dirige il coro). Occorre perciò sfilarsi dal gioco e denunciare il metodo di tradurre i bisogni di milioni di persone in criticità che mettono sotto accusa le persone stesse e le inducono a calpestare i loro stessi bisogni.
Il metodo non conosce eccezioni, direi anzi che non le ammette. Perché sì, è vero, esistono casi rari in cui i rappresentanti democratici abbiano formulato un problema reale in termini reali, secondo le aspettative di chi ne è afflitto. Che abbiano cioè «detto la verità». Ma quei casi rari, siano essi frutto di cinismo elettorale o di convinzione sincera, non fanno che confermare la regola perché, non potendosi prestare all'imposizione «alchemica» degli obiettivi pro domo domini, finiscono presto o tardi nella discarica delle idee dimenticate, ritrattate, sopite e sconfessate come marachelle di gioventù. Nell'ipotesi migliore sopravvivono in clandestinità e si trasformano in utopie carbonare da negare in pubblico e sussurrare agli amici con un po' di vergogna, per non farsi espellere da un sistema in cui la verità è oscena, la razionalità un vizio.
Questo stato di cose, di una democrazia petocratica che produce rumori, rende irrespirabile il confronto e utilizza i suoi strumenti per sovvertire se stessa, non può non allarmare. Si può certo discutere se in fondo la democrazia sia mai stata altro e se i progressi per le masse che ne hanno in certi casi accompagnato la storia non siano stati che eterogenesi dei fini, incidenti di un'epoca breve e fortunata. Ma attacchi così sfrenatamente volgari al principio di non contraddizione e quindi alla realtà, sempre più faticosamente velati dal prometeismo penoso di «sogni», «sfide» e «visioni», la loro sistematicità e la loro strumentalità a una «soluzione finale» di un classe sulle altre - o di un delirio su tutte - non sarebbero sostenibili sotto qualsiasi immaginabile forma di governo, se non forse quella letteraria del capolavoro orwelliano. E in effetti sembra di stare in una fiction le cui trame recuperano nel registro del tragicomico e dell'orrore ciò che perdono in verosimiglianza, Ma c'è una misura anche nella menzogna, superata la quale la reazione sarà tanto più rovinosa quanto più cocente la delusione di chi ci ha creduto.
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