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Sineddoche Bibbiano


Un patologia sociale?

Confesso che quando alcuni amici mi hanno chiesto un commento strutturato sull'inchiesta di Bibbiano, ho dubitato di potercela fare. Perché se fosse confermata anche solo una frazione di ciò che i magistrati contestano agli operatori sociali, alle famiglie affidatarie e agli amministratori della Val d’Enza, ci troveremmo di fronte alla più pura epifania del male. Da quei fatti emergerebbe una volontà sadica e più che bestiale di traumatizzare a vita i più innocenti e di gettare le loro famiglie in uno strazio senza fine e senza scampo – perché imposto dalla legge – spezzando in un sol colpo i vincoli sociali e della carne. Per un genitore è insopportabile il pensiero di quei piccoli che si addormentano tra le lacrime, lontani da casa, indotti a odiare chi li ama, in certi casi maltrattati, affidati a squilibrati o molestati sessualmente (!), mentre padri e madri inviano lettere e regali che non saranno mai recapitati e pregano di uscire da un incubo che non osano denunciare per non perdere la speranza di riabbracciare i loro figli. Con buona pace del codice penale, i reati qui ipotizzati superano per gravità l’omicidio: perché fanno morire l’anima, non il corpo. Svuotano le persone e le lasciano vivere nel dolore.

I presunti abusi della Val d’Enza sono, appunto, presunti fino a sentenza. Ma il loro modus operandi e il ricorrere di alcuni protagonisti hanno rinfocolato il ricordo di altri allontanamenti famigliari poi rivelatisi, anche in giudizio, gravemente ingiustificati, e dell'irreparabile scia di dolore che hanno inciso nelle comunità colpite. Il clamore delle cronache ha inoltre ridato forza alla denuncia di poche voci finora isolate, di un sistema che anche quando resta nel perimetro di una legalità formale conferisce agli operatori sociali un potere senza effettivi contrappesi in grado di strappare i figli alle famiglie per anni con le più arbitrarie delle motivazioni: dalla «inadeguatezza educativa» all'indigenza, dalla conflittualità tra i coniugi al disordine domestico, dalla «ipostimolazione» dei figli alla «immaturità» dei genitori. Queste fattispecie non sarebbero residuali ma prevalenti, come si apprende da un'indagine parlamentare conclusasi nel 2018:

Motivo di ingresso Totale
Vittime di abuso e maltrattamento 1.399
Allontanati dal nucleo famigliare per problemi economici, incapacità educativa o problemi psico-fisici dei genitori 7.632
Accolti insieme al genitore 4.099
Stranieri non accompagnati 3.672
Gestanti o madri minorenni col figlio a carico 72
Coinvolti in procedure penali o in custodia alternativa 465
Minori con altri motivi di ingresso 2.617
Non indicato 1

Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per genere, cittadinanza e motivo di ingresso presenti al 31 dicembre 2014 (da Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva sui minori “fuori famiglia” - Documento conclusivo, 17 gennaio 2018).

Da un lato appare perciò urgente mettere in mora ogni altra priorità per emendare questo sistema partendo dai gradi più alti dell’amministrazione dello Stato, perché sarebbe vano e penoso discettare in prima serata di rinascite politiche, economiche e culturali mentre si erodono le basi biologiche della comunità. Sarebbe – come di fatto è – la metafora più calzante dell’impotenza etica e civile dell’umanità a noi coeva, che mentre blatera di salvare il mondo non riesce a proteggere la vita dei suoi figli da una carta bollata. Dall'altro, è però utile riflettere sulle salvaguardie culturali che da anni presidiano questo sistema. Superando le circostanze della cronaca, il dibattito sui dintorni e i precedenti di Bibbiano ha suscitato in molti il sospetto di una civiltà che non fa argine all'orrore ma lo veste con le sue procedure e i suoi feticci. Indagando su questi ultimi ci si accorgerebbe che gli abusi qui accertati, denunciati o ipotizzati possono alludere a problemi più radicali.

Secondo chi ha condotto le indagini, i responsabili dei servizi sociali della Val d’Enza avrebbero agito «in modo tale da sostenere aprioristicamente e in modo privo di qualsivoglia minimo equilibrio, le tesi o i sospetti… che i bambini avessero subito abusi sessuali» anche quando le presunte vittime negavano e imploravano di ritornare in famiglia. Avrebbero cioè anteposto all'indagine psicologica un'ideologia dell’abuso da «dimostrare» a tutti i costi. Un'ideologia, aggiungiamo noi, che nelle sue motivazioni e verbalizzazioni ambiva a collocarsi nel più ampio alveo di una precisa area politica e culturale, come si evince dagli scritti e dalle scelte di alcuni dei principali protagonisti dell'inchiesta: dalla retorica femminista e già marxista del maschio-padrone («in questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli», commentava l'assistente sociale Anghinolfi su La Stampa, nel 2016) all'attivismo per i diritti e la genitorialità LGBT, dal sostegno alle ONG del Mediterraneo alla partecipazione a incontri, convegni e audizioni organizzati dalla sinistra locale e nazionale.

È tutto legittimo e nulla aggiunge ai reati contestati. Né implica che esistano oggi schieramenti politici «che rubano i bambini» come una volta si diceva che li mangiassero. Qui non interessano i mandanti morali - qualsiasi cosa significhi, peraltro - ma il modo in cui queste vicende sono state recepite e tradotte in simboli da parte del corpo sociale, e la solidità dell'ipotesi che gli eccessi riconosciuti in parte a Bibbiano (sette minori affidati sono già rientrati nelle famiglie di origine) e certificati altrove si siano fatti scudo, nel loro reiterarsi, di una rispettabilità non solo scientifica, ma anche etica e culturale.

Reductio ad pueros

Da anni mi colpisce l’attenzione ossessiva, ma insieme chirurgicamente selettiva, che i progressisti riservano all'infanzia sofferente. In un articolo di qualche tempo fa coniavo il termine «reductio ad pueros» per denunciare l’uso di asservire la rappresentazione delle tragedie che colpiscono i più piccoli alla promozione di un obiettivo politico. È ancora vivo il ricordo del giovanissimo Alan Kurdi, annegato nel 2015 durante un tentativo fallito di raggiungere clandestinamente le coste greche al seguito del padre. La foto straziante del suo corpo fu riprodotta ovunque, e quasi ovunque accompagnata da inviti ad «aprire le frontiere» e ad allargare le maglie del diritto d’asilo per evitare il ripetersi di tragedie simili. Qualche anno dopo Beppe Severgnini teorizzava sul Corriere della Sera la liceità, anzi il dovere, di «mostrare la foto di un bimbo che muore» per denunciare misfatti come quello di Douma, dove il governo siriano avrebbe usato il gas nervino contro il suo stesso popolo. Per crimini di questa portata, spiegava il giornalista, «non può esistere il sospetto che sia un modo di speculare sui minori». Purtroppo - per lui, non per i siriani - l’Organizzazione per la proibizioni delle armi chimiche avrebbe di lì a poco certificato che quell’attacco chimico non era mai avvenuto. Ma non è un caso, né un’eccezione.

Nello stesso articolo osservavo che spesso le rappresentazioni della sofferenza puerile, oltreché accuratamente filtrate per rinforzare un messaggio, risultano a una più attenta analisi stiracchiate, esagerate o semplicemente inventate. Il piccolo Kurdi, ad esempio, non poteva essere stato vittima del negato diritto d’asilo in quanto la sua famiglia fuggita dalla Siria godeva già da tempo della protezione internazionale in Turchia. E tante altre piccole presunte vittime delle bombe o dei cecchini siriani erano in realtà attori, protagonisti di videoclip o testimonial delle fazioni ribelli. Così come non sono mai esistite le centinaia di bambini inglesi morti di morbillo ripetutamente citate dall’ex ministro Lorenzin in televisione per sostenere l’urgenza del suo decreto vaccinale. Così come non è credibile che i nostri bimbi «ci chiedano» di ridurre il debito pubblico o, se stranieri, di ottenere la cittadinanza italiana prima dei diciotto anni, a parità di diritti.

Nel concludere con la massima «ubi puer ibi mendacium», avanzavo l’ipotesi che il dolore dei bambini – vero o più spesso inventato – servisse a disattivare le resistenze razionali del pubblico e indurlo così ad accettare proposte politiche altrimenti controverse, perché agganciate a un’emozione innata, immediata e profonda. Il facile successo di questa operazione, non dissimile da quella di chi sceglie un corpo avvenente per reclamizzare un prodotto, è tale da avere spinto qualcuno addirittura ad auspicare quel dolore. Così accadeva allo scrittore Edoardo Albinati, che un anno fa confessava in pubblico di avere «desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede per il nostro governo».

Aggiungo qui una terza proprietà della reductio ad pueros: che nel selezionare (prima proprietà) una disgrazia minorile in termini iperbolici, deformanti o fantasiosi (seconda proprietà) per dissimulare un fine ideologico (movente), promuove quasi sempre una disgrazia di molti ordini più grave. Questa disgrazia maggiore, per effetto della prima proprietà, resta in sordina e può così dispiegarsi in tutta la sua atrocità senza resistenze o rimedi. Consideriamo l'esempio fondativo della Guerra del Golfo, quando un'attricetta quindicenne seminò raccapriccio in mondovisione spacciandosi per un'infermiera sotto i cui occhi sarebbero stati barbaramente uccisi alcuni neonati kuwaitiani. Quella testimonianza (falsa) ebbe l'effetto di convincere l'opinione occidentale della necessità di muovere guerra contro il governo iracheno. La conseguenza (vera) fu che decine di migliaia di bambini (veri) persero la vita sotto le bombe e centinaia di migliaia (veri) per le privazioni causate dal successivo embargo. In un esempio più recente, la necessità di agevolare il trasferimento di massa di esseri umani dall'Africa all'Europa (movente) è stata in certi casi sostenuta rappresentando le sofferenze (presunte) patite dagli immigranti minorenni (presunti) in patria e in viaggio, con la conseguenza di consegnare molti di loro a un destino (vero) di sfruttamento lavorativo e sessuale, o alla sparizione.

Il fenomeno degli allontanamenti famigliari per motivi futili o inesistenti, per errore o per dolo, può soddisfare i requisiti della reductio ad pueros. In questi casi la giusta attenzione rivolta al fenomeno degli abusi in famiglia e della loro eventuale sottostima (prima proprietà) si è accompagnata all'urgenza di ingigantirne o immaginarne i segnali se non addirittura, come ipotizzano i magistrati reggiani, di «supportare in modo subdolo e artificioso indizi, o aggravare quelli esistenti, nascondendo elementi indicatori di possibili spiegazioni alternative» (seconda proprietà). La fabbricazione della falsa sofferenza da abuso ha infine prodotto la sofferenza vera dello sradicamento affettivo e della conseguente distruzione di vite e famiglie (terza proprietà).

Resta da indagare il movente.

Familles je vous hais!

Secondo gli inquirenti, in Val d'Enza le «false rappresentazioni della realtà» sarebbero state «tese in ogni caso a dipingere il nucleo famigliare originario come connivente (almeno se non complice o peggio) con il presunto adulto abusante». Altri autorevoli commentatori hanno denunciato più direttamente una «cultura molto invadente che vede nella famiglia... un luogo potenzialmente oppressivo e perciò da colpire». Secondo altri, esisterebbe un piano per «distruggere la famiglia».

All'estremo opposto leggiamo le parole di Claudio Foti, lo psicanalista (anche della citata Anghinolfi) e direttore scientifico dell'associazione Hansel e Gretel che collaborava con i servizi sociali di Bibbiano, secondo il quale il problema sarebbe invece che

per una parte della comunità sociale la famiglia è sacra ed intoccabile. E guai a chi la tocca! La famiglia è sempre e comunque un microcosmo idealizzato dove i bambini sono protetti e benvoluti! E gli operatori che si occupano di tutela,di abusi, che mettono in discussione l'immagine sacra ed idealizzata della famiglia diventano il bersaglio di una rabbia talvolta cieca e distruttiva!

Il professionista oggi indagato, nel riconosce nella famiglia «la più straordinaria risorsa educativa dei bambini», ritiene che tra chi oggi si indigna per le cronache bibbianesi vi sia «un'area vasta di persone... che tendono a schierarsi a priori a difesa dei genitori e della famiglia (“un padre ed una madre non possono aver fatto questa cosa terribile!”)» e che la loro reazione violenta «si [sia] sviluppat[a] mano a mano che crescevano gli interventi sociali e psicologici per sostenere i genitori, ma anche per limitare la loro onnipotenza e... nella società maturava una consapevolezza critica nei confronti della famiglia».

Queste contrapposizioni segnalano senz'altro una radicalizzazione del dibattito, sia pure nella forma speciale della reciproca accusa di eccesso ideologico. A essere onesti, è però difficile imbattersi in qualcuno che voglia distruggere tutte le famiglie in quanto tali, inclusa la propria. Ma ancora più difficile è che altri le considerino tutte sante e immacolate in quanto tali. A chi si riferisce il dottor Foti? Chi sono questi integralisti? Pur frequentando sponde politiche molto lontane dalle sue non ne ho mai incontrato uno, neanche tra coloro che oggi augurano i peggiori supplizi agli indagati di Bibbiano. Il sospetto è che qui si faccia confusione tra sostanze prime e seconde in senso aristotelico: la sacralizzazione o quasi-sacralizzazione dell'istituto famigliare (sostanza seconda), in senso religioso (Gen 2,24, Mc 10,6-9) o civile (Cost. art. 31), non esclude che se ne possano criticare i singoli σύνολα genitoriali (sostanza prima), e che anzi lo si debba fare se indegni. Persino la sacralità intrinseca del sacerdozio non impedisce alla dottrina di condannare i cattivi sacerdoti, anzi lo impone. Il peccato che dissacra il progetto divino è una condizione ineliminabile dell'uomo e il peccato più grave è anche quello originario, di presumere che le cose degli uomini possano diventare sacre nel senso di fregiarsi della perfezione divina (ὕβϱις).

Quelli di Foti e dei suoi eventuali nemici massimalisti sembrano perciò essere argomenti fantoccio le cui iperboli alludono a scontri culturali più profondi, alla dialettica tra la ragion di Stato del princeps e le ragioni del sangue del pater familias e, in radice, tra legge (νόμος) e natura (φύσις) umana. Oggi il polo normativo, quello del dover essere, vive una fase ipertrofica e le sue invasioni nel campo dell'essere sono evidenti: ambisce a istituire la genitorialità di chi non può generare, a promuovere o imporre la bioingegneria di massa, a comprimere la realtà fisica in algoritmi e flussi di dati, a sostituire i sessi biologici con accrocchi culturali (ruoli e identità di genere) e altro, ma le sue pretese non sono nuove.

Né è è nuova l'idea a cui Foti sembra aderire, che il progresso sociale debba reclamare anche la demistificazione, il contenimento e la critica dei diritti familiari. Nel 1958 il sociologo Edward Banfield coniava la fortunata definizione di «familismo amorale» per spiegare come l'arretratezza materiale e morale di certe aree del nostro Meridione trarrebbe origine dalla centralità assunta dai rapporti famigliari stretti a scapito di una socialità più strutturata, cooperativa e solidale. Il binomio arretratezza-famiglia trova sponda nel sentire comune, ad esempio quando si identificano le economie famigliari con mafie, corruzione e favoritismi (mentre le imprese familiari sono le più floride e resilienti) o si auspica che i nostri giovani abbandonino presto le famiglie di origine per rendersi indipendenti e incrementare la forza lavoro nazionale, poco importa a quali condizioni - che smettano, diceva un ex ministro di famiglia ricchissima, di fare i «bamboccioni» per consegnarsi a una più salutare «durezza del vivere». O ancora, quando si subordina l'integrazione dei giovani immigrati alla loro emancipazione da retaggi famigliari «arcaici» e «oppressivi», cioè al loro sradicamento affettivo.

Mentre politici ed economisti di area liberale mettono i figli contro i padri e i padri contro i nonni insinuando che i più anziani starebbero «rubando il futuro» ai giovani con i loro «privilegi» pensionistici, le cure sanitarie di cui fruiscono e, a monte, il debito pubblico spensieratamente accumulato, negli ambienti accademici più blasonati raccoglie consensi l'idea di inasprire le tasse di successione affinché i nuovi lavoratori, non più protetti dal patrimonio di famiglia, si immolino nell'arena della competizione meritocratica «in un Paese dove spesso un giovane adulto conta troppo, volente o nolente, sulla casa e sui finanziamenti dei genitori o sulla raccomandazione del parente». Nel frattempo chi detta le riforme dell'istruzione chiede che i nostri figli trascorrano molto più tempo tra i banchi - e quindi meno in famiglia - con l'estensione dell'obbligo scolastico a partire dai tre anni e il tempo lungo obblgatorio fino ai quattordici. Ciò servirebbe, commenta candidamente il Corriere, «proprio a ridurre il peso (sic) dei condizionamenti ambientali e familiari».

Sul terreno della salute si osano gli esperimenti più audaci. Nel dibattito sorto attorno ai nuovi obblighi di vaccinazione per l'infanzia si è discussa con allarmante ossessione l'opportunità di sottrarre i figli ai genitori renitenti alle inoculazioni, accettando così la certezza di traumatizzare a vita i più piccoli (terza proprietà della citata reductio) per preservarli da rischi eventuali e remoti (prima proprietà) ingigantiti fino all'apocalisse (seconda proprietà). Ricorderanno i lettori che questa opzione mai osata nel nostro ordinamento, di annichilire i dissidenti privandoli degli affetti, era prevista a chiare lettere nel comma 5 dell'articolo 1 del decreto Lorenzin, poi abrogato nella conversione in legge. Per motivi analoghi, si reclama la facoltà dei minori, anche giovanissimi, di sottoporsi a test e trattamenti sanitari senza il consenso parentale, li si rappresenta come eroi quando si affidano agli apparati medici contro la volontà di genitori naturalmente retrogradi, si autorizza lo scempio chemioterapico dei loro corpi per sperimentare nuovi paradigmi sessuali e si patologizzano le loro difficoltà e il loro carattere per affidarli alle cure di appositi esperti, fin quasi dalla culla.

È difficile non vedere il filo rosso che lega queste e altre vicende. Il progressismo è la la volontà di imporre un progresso che, per il fatto di dover essere imposto, non è riconosciuto come tale dai suoi presunti beneficiari. Il suo momento propositivo è perciò eternamente posposto e schiacciato dall'urgenza preliminare di forzare le resistenze sociali al cambiamento e i sedimenti pregressi di costume e pensiero, tanto da identificarlo quasi sempre con la sola pars destruens, con una guerra al vecchio di cui il nuovo non è più il fine, ma il pretesto. Non può sorprendere che il progressismo mal tolleri i diritti delle famiglie. Perché queste sono luogo della traditio letteralmente intesa in cui valori, rappresentazioni e credenze si «consegnano» da una generazione all'altra legandosi al veicolo inespugnabile e primordiale degli affetti. Chi vuole aggredire il vecchio deve aggredire le famiglie e spezzarne la catena di trasmissione: anche fisicamente, non disponendo gli uomini di surrogati pedagogici altrettanto incisivi (ma ci si sta lavorando).

***

Attraverso una minuziosa analisi di accordi, intese e raccomandazioni internazionali, Elisabetta Frezza ha ricostruito le tappe di un processo che dal dopoguerra a oggi ha preparato e promosso la progressiva esautorazione dei riferimenti pedagogici famigliari per favorire programmi di educazione pansessualista e di eroticizzazione precoce dei fanciulli, a cura degli apparati scolastici. In un intervento recente la studiosa ha citato un passo da L'impatto della scienza sulla società (1951) di Bertrand Russel dove il filosofo britannico immaginava una «dittatura scientifica» in cui «i socio-psicologi del futuro» potranno «convincere chiunque di qualunque cosa», anche che «la neve sia nera... a patto di poter lavorare con pazienza sin dalla giovane età». In ciò il principale ostacolo da superare sarà, appunto, l'«influenza della famiglia».

Anche queste idee sono antiche. Se l'utopia è l'esercizio più estremo e trasparente di progressismo, la dissoluzione della famiglia era già predicata nel testo utopico più antico che conosciamo: la Repubblica di Platone. Nella polis dei sapienti (che oggi chiameremmo «tecnici» avendo messo la ragioneria davanti alla metafisica) le donne sono «tutte in comune», la convivenza coniugale è vietata e «il padre non conosc[e] il figlio, né il figlio il padre» giacché «autorità apposite... prenderanno in consegna i neonati» subito dopo il parto per indirizzarli all'educazione e alle carriere stabilite dai guardiani dell'oligarchia. In un breve passaggio del libro VII si descrive il modo in cui avverrà questa rivoluzione. «I veri filosofi che prenderanno il potere nelle città», spiega Socrate a Glaucone,

manderanno in campagna tutti i cittadini al di sopra dei dieci anni, prenderanno in cura i loro figli ancora immuni dai costumi dei genitori e li cresceranno secondo i modi di vita e le leggi loro propri... Questo è il modo più rapido e più facile per istituire quella città è quella costituzione di cui abbiamo parlato.

Duemilacinquecento anni fa il testo platonico fissava così un archetipo, la scorciatoia contronatura che da lì in poi avrebbe sedotto tutti i rivoluzionari frettolosi e incompresi. Sulla china di quella tragica illusione, di rigenerare la società minando le basi biologiche del matrimonio «prima societas» e della famiglia «principium urbis et quasi seminarium rei publicae» (Cicerone, De officiis) furono in molti a seguire l'ateniese, dal Campanella de La città del sole ai socialisti utopici alla Fourier, ma purtroppo anche governi non letterari come quello cambogiano del quadriennio rosso o quello canadese, che strappava i figli agli indigeni per cancellarne anche fisicamente il retaggio.

Tra gli esponenti più citati, spesso a sproposito, di questa tendenza, Marx ed Engels non avversavano l'istituto famigliare in sé ma criticavano nella «famiglia borghese» uno strumento con cui le classi dominanti opprimerebbero sia le famiglie proletarie («sie findet ihre Ergänzung in der erzwungenen Familienlosigkeit der Proletarier») sia le mogli («ein bloßes Produktionsinstrument») e i figli («die Ausbeutung der Kinder durch ihre Eltern») propri. I seguaci estesero in seguito le definizioni di famiglia borghese, di classe dominante e di «padre-padrone» a tutte le famiglie convenzionali dell'emisfero ricco, in pratica senza eccezioni, rendendole sistemiche e giustificando così la partecipazione in prima linea delle sinistre nelle battaglie per il divorzio, l'aborto e altre «conquiste» atte a indebolire un modello non più politico, ma antropologico.

Da questa breve e insufficiente antologia mi sembra emergere che l'idea di migliorare la società criticando la forma-famiglia, affidandone alcune prerogative allo Stato o addirittura disgregandola, è antica e frusta, in qualche modo onnipresente, sempre pronta a infliggere i suoi fallimenti. Se non il fenomeno degli affidi troppo facili, può certo spiegare l'intensità delle reazioni che esso sta suscitando in entrambe le sponde del dibattito. Negare l'enormità della posta in gioco è tanto più disonesto se non si riconosce che queste cronache portano munizioni a una guerra in corso contro la definizione e il ruolo della famiglia - una guerra che parte dai livelli più alti, proprio quelli delle «classi dominanti» su scala mondiale, e si dispiega negli ambiti dell'istruzione, della salute e della sessualità avendo già colpito quello della sussistenza con la deflazione di salari, occupazione e servizi. Al di là dell'oggetto, l'invito a «non parlare di Bibbiano» rischia perciò di apparire come un tentativo poco credibile di anestetizzare un conflitto che già divampa nelle retrovie e di normalizzare i tentativi sempre più audaci di espugnare una delle trincee psicologiche, assistenziali, culturali e spirituali più tenaci, perché prepolitica, di un popolo che si ostina a non voler prendere la medicina globale.


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Commenti

Michele

Sindaco assolto. Torale estraneita' del PD. I casi individuali - financo i sospetti affidi a coppie omosessuali - rimangono tali e non ascrivibili a un quadro o a un piano generale.
Attendiamo le sue scuse.

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↪ Il Pedante

La Sua è un'ossessione, mi scusi? Sul punto non ci siamo già chiariti tre mesi fa?

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Piero

Eccezionale e veritiero, purtroppo.

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Michele

Se confermato, il sistema di Bibbiano sarebbe una cosa tremenda. E già adesso, alcune intercettazioni denotano un quadro spaventoso. Eppure, la strumentalizzazione che ne fate è incredibile. Il sindaco potrebbe essere giudicato colpevole, ma che cosa c'entrano "i progressisti"? La cosa più incredibile - a proposito di media disonesti e commentatori solo apparentemente fuori dal coro - è aver diffuso l'idea che "i progressisti" (leggi PD) siano complici di questo presunto reato individuale e vogliano smantellare la famiglia tradizionale. L'illazione è incredibile. Poiché viene posto il problema di crimini compiuti all'interno delle famiglie (pedofilia e femminicidio esistono); oppure, solo perché viene posto il problema dei diritti della coppie gay, "si presume" che si voglia smantellare la famiglia tradizionale. (Analogamente; solo perché i "progressisti" intendono riconoscere i diritti umani dei migranti, significa che non intendono (pre)occuparsi degli italiani poveri? Oppure che vogliono favorire l'invasione dei clandestini? I disperati si fanno sbarcare, poi magari li si respinge, se non hanno diritto di asilo). Tutto ciò è davvero deplorevole - siamo insomma nel solco del pensiero Ilgiornale/Lega/Bagnai, e delle farneticazioni complottiste.
E a proposito di "reductio ad pueros": guardate un po' il leader leghista che bacia i bambini sul palco di Pontida. E per precisare: chi scrive è contrario allo ius soli, e scettico in merito alle adozioni da parte delle coppie gay.

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↪ Il Pedante

Sig. Michele, già in un altro articolo ha dato prova di commentare ciò che Ella immagina e non ciò che legge. Io scrivo:
"È tutto [la fede politica degli indagati] legittimo e nulla aggiunge ai reati contestati. Né implica che esistano oggi schieramenti politici «che rubano i bambini» come una volta si diceva che li mangiassero".
E scrivo:
"Queste contrapposizioni segnalano senz'altro una radicalizzazione del dibattito, sia pure nella forma speciale della reciproca accusa di eccesso ideologico. A essere onesti, è però difficile imbattersi in qualcuno che voglia distruggere tutte le famiglie in quanto tali, inclusa la propria. Ma ancora più difficile è che altri le considerino tutte sante e immacolate in quanto tali".
Forse avrei potuto essere ancora più chiaro di così, ma a questo punto dubito che sarebbe servito.

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↪ Michele

Signor Pedante, Lei è troppo intelligente per lanciare accuse contro un'entità o un partito politico, oppure contro un individuo in particolare (questo è il senso delle Sue precisazioni). Lei attribuisce la responsabilità a un'ideologia, il "progressismo" ( che altrove, se non sbaglio definisce metastasi: come vede seguo i suoi post). Bene cosa connota l'ideologia definita progressismo? Probabilmente valori, programmi e posizioni ideologiche quali il riformismo, l'antifascismo, l'ecologismo, le competenze, l'europeismo, l'inclusione sociale e altro ancora (valori che a Lei non piacciono e che regolarmente e legittimamente si propone di demolire, interpretandoli come coperture e menzogne sovrastrutturali funzionali a un progetto egemonico del capitale). Quindi, a prescindere dal fatto che c'è un solo partito che si caratterizza come progressista, cioè il Partito Democratico, io le rispondo non in quanto membro di tale partito, ma come persona che, a differenza di Lei, si riconosce in tali valori, e che dunque rifiuta l'illazione di responsabilità da Lei suggerita in merito al caso Bibbiano. Poi guardi, il cretinismo acritico esiste eccome, anche a sinistra, ed è per questo che leggo volentieri il suo sito; sono in disaccordo con Lei su moltissimi argomenti (ma non le scriverò più) - un' eccezione per esempio è il bel contributo sul concetto di meritocrazia - ma trovo le sue analisi e suoi riferimenti filosofici molto stimolanti.

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↪ Il Pedante

Gentile lettore, apprezzo i Suoi chiarimenti ma non il Suo ottimismo, da cui discende l'equivoco. Magari, ripeto MAGARI, il progressismo fosse l'ideologia di un solo partito politico! Il progressismo è la brodaglia dove galleggiano TUTTE le formazioni politiche, perché è la brodaglia della modernità. Il mantra "non vorremo mica tornare a..." è universale. Da cui la mia precisazione. In quanto alle responsabilità di cui scrive, possono essere solo giudiziarie e individuali, ciò che qui tento è invece una genealogia culturale che risale a qualche millennio prima del piddì.

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↪ disperato

Gentile @Michele, il sistema Bibbiano, come lo chiama Lei (in realtà Bibbiano è solo la punta di un iceberg), è stato possibile poiché vi sono delle leggi, opera di politici, che danno un potere pressoché assoluto agli assistenti sociali, e dove il potere è privo di controlli, la storia insegna, l'abuso è praticamente inevitabile.
Quindi la condanna politica (non penale che riguarda la magistratura) a una certa visione del mondo, in cui la famiglia naturale è il male, che ha permesso la creazione di questa legislazione è, a mio avviso, non solo legittima ma doverosa.
Quanto allo smantellamento della famiglia tradizionale, questo non è un pericolo ma un fatto compiuto in tutto l'occidente. Semmai oggi incominciamo a intravedere quali sono le nefaste conseguenze di questa operazione (che ovviamente non è imputabile al solo PD nemmeno rimanendo all'interno dei confini italiani).
Lei poi parla dei diritti delle coppie gay, esistono però anche i diritti dei bambini, ed è molto opinabile che tali diritti non vengano violati negando ad essi un padre (se il bambino viene dato a coppia di lesbiche) o una madre (se a coppia di gay).
Quanto all'idea che i clandestini debbano essere sbarcati, questa è un'idea politica di sinistra appunto. In Australia per esempio non si fa sbarcare nessuno, i clandestini vengono rifocillati all'interno della nave e poi rispediti indietro. L'Australia secondo Lei è un paese incivile e razzista?
Saluti.

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Lorenzo

Sempre molto interessante. Mi permetto di ricordare, se non l'ha già fatto qualcun'altro, quel film sui bambini aborigeni australiani strappati alle loro famiglie, La generazione rubata, tratto dalla cronaca vera.

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Andrea Romani

Grande post, come al solito: grazie di essere ancora qui.
Mi piace soffermarmi sul passaggio inerente alla visione marxiana della famiglia. Tra le tante, troppe manipolazioni del pensiero di Marx, non ho mai potuto accettare la vulgata anti-famiglia di un filosofo che cercava la riconciliazione tra le varie parti alienate dell'uomo. La famiglia è un istituto che trascende il modo di produzione capitalistico, ed è anzi da questo schiacciata nelle forme più meschine di società mercantile per la riproduzione e lo scambio di capitale e proprietà.
Nella società socialista l'uomo è padrone della propria vita, e non può non volere e vivere una famiglia.
E non è un caso che l'Italia, la nostra cara e troppo odiata Patria, sia (seppur ormai poco) forse lo stato in cui più forte è stato il sentimento familiare e più sentito il legame tra generazioni appartenenti allo stesso ceppo, allo stesso sangue. E' da lì che dovremo ripartire, se riusciremo a salvare l'Italia dai suoi mortali nemici: dalla consapevolezza che tutto ciò che è sano, bello, umano, tutto ciò che merita di essere vissuto da Uomini e non da servi lo possediamo dentro di noi, nel fluire trimillenario della Civiltà.

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Maurizio

Qualcuno ha notato il feroce tempismo con il quale le ONG (Organizzazioni Nazifasciste Globali) hanno messo in mare il carico di bambini, pronto per essere accolto dal nuovo governo dei "buoni", tra il tripudio dei sinistrati e del clericiume più infame? Chi non riesce a capire il concetto di guerra ibrida ora non lo capirà mai più.

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Herzog

Un'altra perla!
Grazie infinite!

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chinacat

Mr. Pedante, gran bel testo davvero. Magari non sono d'accordo su tutto (l'equazione sinistra = progressismo non regge molto sul piano storico) ma il quadro che Lei descrive è purtroppo molto realistico. Mi limito ad un paio di "contributi" che spero possano interessare. Lei scrive:
"per denunciare l’uso di asservire la rappresentazione delle tragedie che colpiscono i più piccoli alla promozione di un obiettivo politico."
Verissimo. Con un però: da quando bambini e ragazzi vengono utilizzati per promuovere un obiettivo politico? E chi è stato il primo a farlo?
Lasciando da parte il mondo Antico, è solo con lo sviluppo delle prime forme di comunicazione di massa che è possibile fare un certo tipo di propaganda politica: quindi si utilizzano i manifesti, le fotografie e le prime pellicole (o nella forma cinematografica o nella forma da noi conosciuta come"cinegiornale").
In Germania, nessuna formazione politica usa i bambini apertamente per fare propaganda: nei manifesti della SPD (il più grande partito di sinistra durante Weimar) l'eroe è sempre un operaio; nei manifesti dello "Stalhelm" o del più influente partito della destra nazionalista (DNVP), l'eroe è sempre un reduce della Grande Guerra.
La prima formazione politica ad utilizzare bambini e ragazzi per la propaganda politica sono, sarà contento di saperlo Severgnini, i nazionalsocialisti (in Italia lo fanno i fascisti).
Non mi riferisco quindi al sistema educativo che introducono (e che ha molte attinenze all'oggi) ma al vero e proprio utilizzo mediatico di bambini e ragazzi.
Il primo film prodotto nel 1933 sotto l'egida di Goebbels si intitola "Der Hitlerjunge Quex" (il giovane hitleriano Quex). Il protagonista è un ragazzino di 13/14 anni che si iscrive alla Hitlerjugend e viene ammazzato dai comunisti. Fu un gran successo, tale che veniva proiettato nelle scuole.
Mai, prima di allora, a qualcuno era venuto in mente un'idea del genere: non solo il messaggio è rivolto ai giovani ma lo stesso protagonista è un giovanissimo in divisa che si fa ammazzare per "politica".
Ma c'è di peggio.
Se avrà modo di vedere il film di Leni Riefenstahl "Il trionfo della volontà", girato durante il raduno del NSDAP nel 1935, noterà come spesso la cinepresa si soffermi sul bambino di 6/7 anni in divisa nazista che usa il tamburo. L'immagine del bambino-tamburino compare nel più famoso manifesto di propaganda politica del Terzo Reich: a nessuna persona normale sarebbe mai venuto in mente di mettere la divisa ad un bambino per fargli fare propaganda politica a favore della guerra.
Finita la guerra, i bambini lentamente scompaiono come "mezzo" per la propaganda politica. Chi vuole può controllare nelle emeroteche, è soltanto di recente che si è ricominciato a farlo. Io personalmente non lo trovo casuale: l'utilizzo del bambino come mezzo propagandistico è tipico dei regimi totalitari perché sono gli unici ad avere così poche qualità umane per poterlo fare.
Una precisazione: lo stesso fenomeno lo si ritrova in Italia con il Fascismo; io mi sono limitato alla Germania per non annoiare ma ci sono ben poche differenze. Le fotografie dei bambini di 5 o 6 anni, in divisa fascista e con un piccolo moschetto in mano sono, spero, abbastanza famose.
Chinacat
Per chi volesse approfondire, l'Università di Harvard ha pubblicato questo studio:
link

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↪ Il Pedante

La ringrazio per le integrazioni. Mi pare che i fanciulli fossero utilizzati anche dalla propaganda sovietica, penso a Pavel Morozov. Il progressismo purtroppo non è solo di sinistra, è pervasivo e quasi pensiero unico.

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↪ Baldovinosesto

Gentile @chinacat, nel mondo contemporaneo ogni qual volta ci si trova di fronte ad insostenibili nefandezze c'è sempre la facile tentazione di legarle a radici nazional socialiste o fasciste. Indicare il presunto "male assoluto" fonte di ogni altro ha per alcuni un effetto ristoratore o quanto meno aiuta a sopportare l' impotenza di fronte l' ideologia dominante di oggi (che nulla ha in comune con quella perdente di ieri) causa degli orrori che ci troviamo di fronte e al disfacimento delle basi valoriali della nostra civiltà.
Ebbene, è vero che nei regimi citati si utilizzarono bambini in divisa come soldati in erba per la propaganda patriottica ma certo non fu quella una loro invenzione e nemmeno ne ebbero mai l' esclusiva. Per fare qualche esempio, mi vengono in mente le figure dei piccoli eroi di De Amicis (narrative ma prese dal reale) oppure il boy scout Jack Cornwell.
Il patriottismo e la famiglia naturale rappresentano le basi della civiltà europea, pertanto utilizzare i bambini per educarli e nel contempo propagandare questi valori non può essere equiparato all' utilizzo odierno che persegue il fine esattamente opposto.

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↪ chinacat

Gentile @Il Pedante,
sicuramente venivano utilizzati anche nella propaganda sovietica, vedi Komsomol, però non conosco così bene il totalitarismo sovietico quanto quello tedesco o italiano e preferisco scrivere di quelli che ho studiato meglio e con cui ho familiarità con lingua.
Le dirò: è l'uso della parola "progressismo" che mi lascia perplesso poiché, se è vero che alcune forze politiche l'hanno usata con una connotazione positiva, nella realtà fattuale alcune "scelte" non hanno nulla a che fare con il "progresso" ma con la funzionalità. Mi spiego con un esempio relativo al comune amico Platone.
Come Lei saprà, Platone è forse il primo "intellettuale" che mette uomini e donne sullo stesso piano in quanto alla possibilità di governare. E lo fa all'interno di una realtà sociale, quella ateniese, dove le donne non contano nulla e sono oggetto di scherno (pensi solo alla povera Santippe).
Uno legge e pensa: ohibò, Platone è un "progressista"! Uno di noi!
Purtroppo...no.
Platone nasce quando Atene è in guerra con Sparta ed è Sparta che domina e vince. Quello è il suo modello, da cui ha "pescato" alcuni sistemi politici e sociali perché sono quelli che Platone vede vincere e durare nel tempo senza continue crisi come ad Atene.
Ecco il collegamento: il ruolo della donna spartana nella società è infinitamente superiore a quello della donna ateniese. Ha voce in capitolo, può divorziare, partecipa ai "Sissizi" come i maschi. Platone la realtà spartana la conosce molto bene e la ammira molto e quel che nota è che il "sistema spartano" funziona meglio di quello ateniese.
Quindi gli Spartani erano "progressisti"? Assolutamente no. Gli Spartani (ma sarebbe meglio dire gli Spartiati) erano molto razzisti quindi le loro donne, facendo parte della razza eletta, erano alla pari ma le donne dei Perieci non contavano nulla in quanto i Perieci stessi non contavano nulla. Gli Iloti poi non ne parliamo: nascevano schiavi e morivano schiavi.
"la dissoluzione della famiglia era già predicata nel testo utopico più antico che conosciamo, la Repubblica di Platone. "
Ma a Sparta la dissoluzione della famiglia era un dato di fatto: a 7 anni i bambini diventavano proprietà dello stato (!!). Quando nascevano venivano esaminati da una commissione (Gherusia) della quale NON facevano parte i genitori. A Sparta la famiglia non mangia in casa: tutti i pasti si consumano in comune (Sissizi", appunto)
Platone queste cose le ha viste con i suoi occhi e dal suo punto di vista erano estremamente "funzionali", non "progressiste". dato che il modello "vincente" era il loro. Poi ci ha messo del suo nella costruzione della "Kallipolis" ma non dimentichiamo mai che prima ancora di essere "progressismo" (qualsiasi cosa voglia dire) quel che ci ha fatto evolvere è il "funzionalismo".
Dubito seriamente che il primo uomo che ha sbattuto due pietre, fatto una scintilla e si è acceso il fuoco abbia esclamato" Evvai, sono un progressista!!". Più facile abbia detto "Funziona! basta carne cruda!" :)
Chinacat
PS
Il modello spartano era funzionale a breve termine, dato che in pratica si sono letteralmente estinti. Che è quello che più o meno capiterà a noi. Se qualcuno fosse interessato agli spartani:
"La Retra di Epitadeo e la situazione sociale di Sparta nel IV secolo" di Gabriele Marasco.

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↪ chinacat

Gentile @Baldovinosesto,
in un certo senso ha ragione, la "reductio ad hitlerum" va molto di moda con un però. Di solito chi la tira fuori non sa nulla l'argomento. Ma grazie a Dio o chi per Lui, non siamo tutti così.
Il Nazionalsocialismo ed il Fascismo sono e restano i due grandi regimi totalitari che manipolano masse in senso moderno e mi interessano per quello. Anche nell'antichità si manipolavano le masse e resterebbe sorpreso di sapere come fosse simile all'oggi. Augusto però manipolava le informazioni per i pochi che avevano il potere; Pericle ne manipolava 4 o 5 mila al massimo; questi due regimi manipolano milioni di persone con un livello di istruzione, come nel caso Germania, che è tra i più alti al mondo nel 1933.
E' il "COME" la chiave, dato che i metodi utilizzati all'epoca sono gli stessi utilizzati oggi e le faccio notare una cosa: quando il ministro Lorenzin mente in televisione, fa la stessa cosa che faceva Goebbels, ovvero mentire
La differenza? A parte il fatto che Goebbels usava la divisa mentre la Lorenzin usa il tailleur, la differenza è una sola: un giornalista oggi può smentire la Lorenzin ma all'epoca non poteva certo smentire Goebbels, giusto? Solo uno sciocco penserebbe che io affermi che la Lorenzin è una "nazista", ci mancherebbe altro. Vuol dire semplicemente che il contesto in cui agisce le permette di farlo: se il contesto è Berlino nel 1935, ha un senso, se è Milano nel 2019 il senso cambia.
Qual'è la situazione peggiore, secondo Lei: quella odierna dove mentono rischiando zero o quella nazista dove o mentono o fanno le ferie a Dachau? La storia, diceva Croce, è sempre contemporanea. E va sempre peggio se non la si conosce, dico io.
"mi vengono in mente le figure dei piccoli eroi di De Amicis (narrative ma prese dal reale) oppure il boy scout Jack Cornwell."
Vero. Ma non mi risulta che fossero iscritti a qualche partito :)
Io mi riferivo solo all'utilizzo del bambino per fare propaganda politica per una forza politica, cosa che prima non aveva mai fatto nessuno.
Certo che bambini e ragazzi venivano già utilizzati come "simboli" quale che fosse la civiltà o il continente; pensi solo alle scene riportate sui vasi nella Grecia classica o al simbolo di Roma, la lupa che allatta dei bambini.
Ma non erano affatto simboli "politici" nella nostra accezione: simboleggiavano tante cose, nella maggior parte elementi religiosi (Joseph Campbell è l'esperto in materia) però non appartenevano ad uno schieramento politico.
Chinacat

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↪ chinacat

Gentile @Baldovinosesto, una precisazione.
"è vero che nei regimi citati si utilizzarono bambini in divisa come soldati in erba per la propaganda patriottica ma certo non fu quella una loro invenzione."
Guardi che non facevano mica propaganda "patriottica". Se per "patriottica" Lei intende "nazionale" o che fa riferimento alla "patria", questi non la facevano affatto. Facevano propaganda al partito NSDAP di Adolf Hitler, che non era "la Germania"; e gli altri partiti i bambini non li usavano affatto.
Avrebbero potuto farlo, il movimento dei "Wandervogel"** nasce molto prima del nazismo ma a nessuno viene in mente di mettergli una divisa e dargli un mitra. Ai nazisti si.
Quando vanno al potere e affermano che "Hitler ist Deutschland und Deutschland ist Hitler" si crea l'illusione ottica che fossero "patriottici" ma a noi non conviene cadere nella stessa illusione.
Ai bambini tedeschi veniva insegnato che solo i puri tedeschi potevano far parte della "Volksgemeinschaft", la comunità del popolo, per cui una bella fetta di popolazione ne era esclusa.
Oggi non suona per niente patriottico ma all'epoca lo era eccome e noi, nel 2019, questa profonda differenza la dobbiamo cogliere.
Chinacat
** link

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↪ Baldovinosesto

Gentile @chinacat, è vero, ai bambini tedeschi con antenati tedeschi veniva insegnato che solo loro erano il popolo, così come ai bambini dell' antica Atene con antenati ateniesi veniva insegnata la medesima cosa, ma oltre a questo gli si insegnava che l' appartenenza alla patria prevede la capacità di amarla e il dovere di sacrificarsi per essa (da qui le divise e l'addestramento militare fin dalla giovane età). L' esistenza di una patria d' altronde prevede l' unificazione ideale e politica di un gruppo (quanto più omogeneo possibile) di genti e la conseguente esclusione di coloro che sono troppo diversi per farne parte. Dove c'è amore esclusivo c'è anche il suo opposto, come scrisse Leopardi : "dovunque si è trovato vero amor di patria si è trovato odio dello straniero". Chiunque poi si auspica che un popolo nella sua patria sia tanto coeso e saldo nei suoi valori da riuscire nel difficile compito di includere il diverso e non di eliminarlo...ma sto divagando. Tornando al discorso della propaganda di regime io continuo a pensare che ci sia la tendenza ad attribuire a gente come Goebbels una inventiva, un genio, un primato che non gli appartengono. Per esempio, nel 1915 la nascente industria cinematografica statunitense (che sempre ha fatto e fa propaganda politica) produsse uno dei primi colossal di enorme successo della storia dal titolo: "nascita di una nazione" in cui il messaggio, ampiamente divulgato e accettato, era che la nazione o sarebbe appartenuta alla etnia dominante o semplicemente non sarebbe stata nazione. Il fatto che messaggi ideologici vengano divulgati direttamente con il timbro di un partito oppure con il benestare della censura di istruzioni democratiche diviene poco significativo, almeno che non si voglia credere che il consenso dei regimi in questione non avesse solidissime basi ma fosse solo frutto di estorsione. Con questo voglio giustificare il razzismo o il totalitarismo? No, perché è inutile giustificare ideologie sconfitte dalla storia e sostituite dalle nuove. Saranno i posteri a confrontare quelle passate con l' attuale dominante, se ne avranno la capacità.

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↪ chinacat

Gentile @Baldovinosesto, una precisazione iniziale è doverosa e Le sarà chiaro il motivo nel prosieguo: quando si utilizza il passato bisogna stare molto attenti perché il passato, come dice il titolo di un libro che chiunque legga di storia deve leggere, "the past is a foreign counrtry" (1985, David Lowenthal).
Il passato è una terra straniera nella quale prima bisogna farci lunghi viaggi e poi cercare di capirci qualcosa per spiegarlo a chi non c'è mai stato.
" ai bambini tedeschi con antenati tedeschi veniva insegnato che solo loro erano il popolo, così come ai bambini dell' antica Atene con antenati ateniesi veniva insegnata la medesima cosa."
Calma e gesso, I bambini tedeschi frequentano scuole pubbliche, indipendentemente dal ceto sociale. I programmi scolastici sono stabiliti dal governo ed è il governo nazista a decidere cosa è la patria e cosa è un tedesco. Il che vuol dire che devo trovare dei comuni denominatori per tutti i bambini, quale sia il cveto sociale.
Ad Atene non esistono scuole pubbliche ma non solo. Chi sono i bambini dell'antica Atene? Solo quelli con antenati ateniesi? No, perché ad Atene vivono anche i meteci che possono essere ricchi ma non sono cittadini a pieno titolo. E già si complica. Poi: bastano gli antenati ateniesi? No, perché nel frattempo è cambiata la base sociale. Quando la forza era data dalla fanteria oplitica, il cittadino ateniese era solo l'oplita, cioè colui che poteva pagarsi le armi. Ma dopo le invasioni persiane Atene diventa un potenza militare navale e alle navi servono marinai, cioè coloro che appartenevano alla categoria sociale più bassa. L'oplita non serve più a nulla: resta ricco ma non è lui che manda avanti l'impero ateniese; sono i poveri che reggono l'impero.
Quindi il bambino ateniese avrebbe potuto dare una risposta diversa a seconda della classe sociale.
E' qui la grande differenza: nel nazismo sui banchi di scuola ci vanno tutte le classi sociali, incluso il figlio del "comunista" al quale hanno appena arrestato il padre. Il figlio di un ricco ateniese avrebbe un maestro mentre il figlio di un altro ricco ateniese avrebbe avuto un maestro diverso; i poveri non hanno maestri e la terza classe ateniese, quella di cui tutti si dimenticano ovvero gli schiavi, quelli maestri non ne hanno.
Il salto di qualità fatto da Goebbels (un vero genio del male ma purtroppo genio davvero) è stato quello di poter plasmare l'opinione pubblica nella sua totalità. Da cui "totalitarismo" (parola inventata da un italiano però). Ad Atene c'è il culto di Atena ma per il resto sono peggio di cani e gatti: la guerra civile ateniese dura quasi 30 anni. Nel Terzo Reich regna la pace: se non ti piace o te ne vai o vai a Dachau.
Come vede, il punto non è tanto la Patria, che può essere un valore condiviso da tutti, ma chi ne fa parte e chi ha diritto di governarla o meno. E soprattutto, CHI stabilisce COSA. I mezzi che usa, il COME, è l'uso della propaganda. Goebbels in questo ha diversi primati ma sono talmente orrendi che se ne parla poco.
Chinacat

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↪ chinacat

Gentile @Baldovinosesto, due parole su "Nascita di una nazione".
Quell'orrido film lo conosco per via di un corso della Yale University sulla guerra civile e sulla "Reconstruction". Anche qui però sono più le differenze che le somiglianze a partire dalla più banale: potevi vederlo o non vederlo; Goebbels questa libertà non te la concede affatto.
"il messaggio, ampiamente divulgato e accettato, era che la nazione o sarebbe appartenuta alla etnia dominante o semplicemente non sarebbe stata nazione."
Ma scusi, c'è bisogno di aspettare il 1915? :)
Nella Costituzione del 1787 la parola "schiavo" non esiste. Però ci sono gli schiavi ed è tutto perfettamente legale. A duecento metri dalla Casa Bianca in costruzione c'è una galera per schiavi. I primi presidenti USA erano proprietari di schiavi (da Washington a Madison), Uno degli estensori e padri fondatori degli USA, Thomas Jefferson, aveva schiavi. La Declaration of Indipendence vale per noi, mica per gli ALTRI.
Che la nazione dovesse essere guidata da UNA etnia (W.A.S.P. = White Anglo Saxon Protestant) era chiaro sin dall'inizio. Il problema arriva dopo: quel film rappresenta non la totalità della nazione (come nel Terzo Reich) ma una piccola parte, la classe dominante che si sente minacciata.
Da chi? Prima dall'emancipazione degli schiavi e dopo dall'arrivo di centinaia di navi di stranieri (la guerra civile americana fece oltre 600 mila morti e 2 milioni di feriti su una popolazione di 32 milioni per cui dopo il 1865 diedero il permesso di far affluire ancora più immigrati).
Il più grande linciaggio nella storia degli USA avviene a New Orleans nel 1891 quando la folla impicca 11 immigrati, non gente di colore. Sono immigrati e per di più hanno un marchio d'infamia per il protestante: sono cattolici. E sono ITALIANI. Quindi i peggiori: passi per gli irlandesi ma questi sono i "papisti".
Quel film fu il grido di dolore di una classe specifica quindi siamo ben lontani dalla propaganda nazista che vuole abolire le classi e per farlo deve rivolgersi a tutte le classi.
Certo che è un film di propaganda ma il nazismo e il fascismo sono i primi che trasformano la propaganda in "sistema" con varie articolazioni, sotto l'egida dello Stato e con un controllo capillare della società che è sbalorditivo.
Chinacat

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Bombadillo

Carissimi,
non è facile commentare sinteticamente un articolo tanto ricco di spunti.
Forse, può rappresentare uno spunto ulteriore il riferimento al '68, perché mi pare evidente che qui si tratta dell'onda lunga di tale fenomeno "spontaneo" internazionale.
È il cd marxismo sociale, proposto contro la famiglia borghese, ovverosia contro ogni famiglia, che si fonda, in definitiva, sul "vietato vietare", sulla distruzione della figura del padre: oggi portata alle sue conseguenze ultime, come distruzione della figura maschile, sempre negativa.
Come spesso accade, questa cosa "di sinistra", guarda caso, è risultata strumentale al raggiungimento dei fini del capitalismo terminale, e alla creazione dell'uomo consumatore, preda dei propri istinti più bassi, senza capacità di autocontrollo.
È interessante, al proposito, il "nuovo" Re Leone, non a caso definito fascista (stigma per tutto ciò che non è allineato) da alcuni commentatori, perché mette in risalto, meglio dell'opera originaria, la vera caratteristica delle iene: sono, letteralmente, insaziabili. Come l'uomo consumatore voluto dalle consorterie internazionali -spesso, per altro, a base familiare- dei prestatori professionali di denaro.
Un caro saluto.
Tom

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L'uebete

Riflettevo su come ogni anno rievochiamo le persecuzioni naziste per 'non dimenticare', mentre per il caso di Bibbiano si invochi il silenzio e il rispetto fino a sentenza definitiva (tra una quindicina d'anni).

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↪ Il Pedante

Ella è ingiusto. Su Carla Racchetta, i medesimi hanno emesso sentenza un nanosecondo dopo, anzi prima.

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L'uebete

Grazie, mancava una sua analisi riguardante questo tema.
Come sempre riesce a mettere ordine nel caos di idee e intuizioni che mi nascono nella mente, ma che fatico a ordinare a seguito di una mancanza di mezzi culturali dovuta non ad una bassa scolarizzazione, ma ad un formazione prettamente tecnica. Questo fa comprendere come una formazione umanistica sia fondamentale per la comprensione di quanto accade attorno a noi.

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giovanni

il problema di Bibbiano è la privatizzazione dei servizi pubblici. Se le adozioni vengono appaltate al miglior offerente (ovvero a chi chiede di MENO per occuparsene), e ovviamente nel frattempo si smantella l'assistenza familiare in capo ai comuni e quindi qualsiasi forma di controllo degli appaltanti, è automatico o quasi che alle gare partecipino solo associazioni dedite a massimizzare il profitto aumentando a proprio arbitrio la "produzione", che nel caso specifico è la sottrazione di minori alle famiglie.
E' il lliberismo il primo nemico della famiglia. non Platone!

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↪ Il Pedante

Provi invece a riflettere su un dettaglio: che sovvenzionare una famiglia in difficoltà è MOLTO meno costoso di un soggiorno in casa famiglia o di un affido. Su questo blog non si parla di soldi, et pour cause.

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↪ SERENA

Gentile @Il Pedante, leggevo per esempio che un Comune della provincia di Modena, aveva messo un servizio di asilo nido gratuito. Ma come si fa sinceramente a fidarsi? grazie per quello che lei scrive

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