Il mio articolo Della magica poiesi è stato pubblicato nel volume Nel Regno della Quantità, ed. Il Leone Verde, Torino (2024).
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Appunti di meritocrazia


La meritocrazia è il governo - e per estensione, il primato civico - dei meritevoli. Chi sono i meritevoli? E che cos'è il merito? Definirne le qualità è un esercizio certo possibile, ma epistemologicamente improduttivo. Perché il merito esprime un giudizio, non un criterio di giudizio.

Lo ripetiamo: il merito esprime un giudizio, non un criterio di giudizio. I meritevoli sono cioè coloro che si è già deciso essere tali, secondo canoni di valutazione che precedono l'invocazione meritocratica e non ne sono pertanto causati. Sicché premiare il merito non è altro che premiare ciò che è bene, o meglio, o encomiabile, secondo il preesistente einespresso criterio di ognuno. La meritocrazia piace a tutti perché offre a tutti la promessa di un mondo perfettamente regolato secondo le proprie, personalissime, scale di valore. E continua a piacere proprio perché non mantiene la sua promessa - né può farlo, a pena di accontentare pochi per scontentare molti. È, la meritocrazia, come la locandiera del Goldoni: seduce tutti perché non si concede a nessuno.

Se ciascuno è singolarmente in grado di esprimere il proprio standard di merito, accade anche che ciascuno ritenga se stesso meritevole: per capacità personali, potenzialità inespresse (per via, ça va sans dire, della mancanza di meritocrazia), o più semplicemente perché ce l'ha messa tutta. Il miraggio della meritocrazia naufraga così ulteriormente nella sua stessa seduzione: non solo perché inconciliabilmente disseminato tra i suoi celebranti, ma anche perché, garantendo indistintamente la gratificazione di tutti, non può realizzare la sua missione selettiva e premiante.

Se i criteri di giudizio del merito sono in realtà plurali e in tacita concorrenza tra loro, chi decide quale sia da applicare? Prevedibilmente coloro che hanno la facoltà di imporre il proprio: cioè i più forti. La scoperta, invero ovvia, è che la meritocrazia esiste, è sempre esistita. Onori, ricchezze, riconoscimenti e cariche sono sempre stati attribuiti a coloro che se li meritavano, ovviamente secondo il canone di chi ne disponeva potendoli elargire, revocare, agevolare ecc. Sicché la meritocrazia, nel realizzare il criterio dei forti, è la legge del più forte.

L'autologia del governo dei meritevoli è evidente. Se chi governa - cioè chi ha il potere esclusivo di tradurre il merito in legge - si considera meritevole di quel ruolo, il requisito è già soddisfatto nei termini.

Allargando lo sguardo alle opinioni di tutti, non potendo darsi una comunità unanimemente meritocratica, essa non può che ambire a realizzarsi attraverso la violenza di una parte - la sedicente meritevole - sul resto. Ciò spiega, tra l'altro, il livore e l'aggressività che quasi sempre ne accompagnano l'invocazione.

Su questo blog abbiamo descritto un'applicazione concreta di detta violenza analizzando alcune reazioni al voto inglese sulla permanenza nell'Unione Europea (prima, seconda, terza e quarta puntata). In quel caso i commentatori auspicavano la revoca del diritto di voto di coloro che avevano scelto di abbandonare l'Unione: non lo meritavano, perché vecchi, pavidi, ignoranti, privilegiati ecc. Il richiamo alla meritocrazia offriva così una via apparentemente nobile alla soppressione del dissenso e alla coercizione del prossimo.

Curiosamente, nessuno di questi dittatori del meglio, dopo avere falsamente previsto conseguenze gravissime in caso di uscita del Regno Unito dall'UE, ha poi rassegnato le dimissioni, né si è scusato. Il che spiega meglio di mille parole come la meritocrazia non persegua né il bene né il vero, ma li utilizzi per imbellettare le prevaricazioni dei meno dotati.

La meritocrazia è tecnocratica. Chi parla di meritocrazia parla di test, performance, rating, ranking, references e via anglizzando nel tentativo di dare una definizione tecnica e ideologicamente apolide del meglio, cioè dei migliori. La meritocrazia ama dunque la tecnica, ma anche i tecnici amano la meritocrazia. Il mito di una società meccanicisticamente governata dai migliori secondo un criterio di bene sottratto alle idee è lo stesso che sostiene il delirio tecnocratico, cioè totalitario. Se il governo spetta ai meritevoli, e se il merito non ha colore politico, a che serve votare? E se i ruoli di responsabilità e prestigio spettano ai meritevoli ex lege, perché consentirne la critica?

La fortuna della meritocrazia coincide in buona parte con la sua fallacia, ma non mancano i moventi tutti psicologici. Chi invoca la supremazia di un gruppo sociale identificato da una virtù - il merito, la competenza, la cultura, l'onestà ecc. - include implicitamente se stesso nel novero dei virtuosi. Proprio come, nell'auspicare il castigo e la discriminazione dei meno virtuosi, se ne chiama fuori. La logica sottesa è intellettualmente elementare: se reclamo il primato dei meritevoli significa che non temo di esserne escluso o penalizzato. Quindi io sono meritevole.

Questa strategia dialettica consente di affermare i propri pregi in modo indiretto e avversativo - cioè criticando coloro che non lo posseggono - senza farsene un vanto. Essa si presta anche alla malafede (ad esempio il ladro che invoca pene più severe per chi ruba, per dissimulare i propri crimini) ma più spesso serve a convincere sé stessi e gli altri delle proprie presunte qualità morali e, al contempo, a fare di dette qualità un emblema positivo di appartenenza a un gruppo.

Altrettanto rivelatoria è la formulazione negativa: chi non invoca il primato dei meritevoli, degli intelligenti e degli onesti o - Dio non voglia! - ne critica le intenzioni o il senso ha qualcosa da nascondere, non la racconta giusta. Ha paura. La meritocrazia, al pari del governo degli onesti, mette in scena un rito gregario a cui tutti debbono obbligatoriamente partecipare per non destare il sospetto di temerla perché indegni, parassiti, incapaci.

Che poi, a conferma del punto, i lodatori più ossessivi della meritocrazia siano proprio quelli che non avrebbero altri mezzi per convincere il mondo dei propri meriti, è un'ipotesi che lasciamo allo studio dei lettori.

La critica classica alla meritocrazia è che, in un mondo di diseguali alla nascita per opportunità, patrimonio, stimoli ecc. un'applicazione rigida del criterio del merito finirebbe per ampliare la forbice sociale già esistente esacerbando gli effetti della fortuna. La meritocrazia funzionerebbe davvero solo in condizioni di assoluta parità in partenza, quali non si sono viste neanche nei regimi socialisti più ortodossi. Ma anche in quel caso resterebbero le differenze fisiologiche, intellettuali e di carattere degli individui. Se lo svantaggio del povero è ingiusto, lo è altrettanto quello dello stupido.

L'argomento è valido e ci porterebbe lontano, fino a interrogarci sul libero arbitrio, la grazia, il peccato. Ma è anche istruttivo perché dimostra come la meritocrazia, per schivare l'accusa di un darwinismo mostruoso, è costretta a postulare un'altrettanto mostruosa omologazione in larga scala. Un'omologazione rigorosamente al ribasso, come trapela ad esempio dalle proposte di inasprire le tasse di successione o di abolire tout-court le eredità per incentivare il merito e la mobilità sociale. Attraverso, cioè, la miseria.

Consideriamo i sostenitori più blasonati della meritocrazia, quelli che dagli scranni di università, giornali e alte cariche pubbliche ci assicurano ogni giorno che in Italia mancherebbe la cultura (?) del merito. Perché non si dimettono all'istante, loro che hanno fatto grandi carriere in un sistema che schifa il merito e premia i peggiori? O perché non ci spieganole fortunatissime circostanze della loro eccezione? Per il rito gregario di cui sopra, è forse sufficiente parlare di meritocrazia per esserne immuni? Qui Scanavacca ci cova.

Ma c'è del metodo in questa fallacia. Se chi sta in basso chiede meritocrazia per riscattarsi dalle diseguaglianze, chi sta in alto vi trova all'opposto l'alleato migliore per giustificare e amplificare quelle diseguaglianze. E ci riesce, ci sta riuscendo.

In una civiltà evoluta impoverimento, disoccupazione ed esclusione sociale sono piaghe, segnali di una cattiva politica che chiede rimedi. In meritocrazia sono all'inverso giuste conseguenze dello scarso impegno e della scarsa capacità dei singoli. È - appunto - ciò che si meritano. In meritocrazia ogni garanzia che non sia funzione contemporanea e diretta della performance degli individui è un ostacolo alla promozione del merito perché estende indiscriminatamente un beneficio a tutti. Così ad esempio riconoscere le cure sanitarie a chi non lavora, la pensione a chi non ha investito, la sussistenza a chi non è qualificato, la dignità a chi ha sbagliato, la certezza di un lavoro senza la certezza degli utili, fino alla gratuità del patrimonio e dell'assistenza famigliare, da abbattere rispettivamente con tasse ad hoc e sprezzanti appelli all'emancipazione dei bamboccioni.

Per farla breve, in meritocrazia i diritti diventano privilegi. Il discorso meritocratico centra così il duplice obiettivo di giustificare le diseguaglianze correnti e di nobilitare i provvedimenti politici fallimentari destinati a moltiplicarle. La meritocrazia si cura solo dei migliori, di #ChiCeLaFa. Gli altri, i perdenti, devono solo incolpare sé stessi.

***

Se la volgare contraddittorietà del mito meritocratico ne rende ridicoli il culto e i cultori, la sua Weltanschauung moralistica e punitiva ne rivela la pericolosità degli obiettivi. La visione sottesa è quella di un'umanità poco più che bestiale il cui progresso collettivo non può che far leva sui bassi istinti dei singoli: la volontà di superare i propri simili e la paura della rovina. Una visione, come tante altre scaturite dalla patologia liberista (qui un catalogo), pedagogica e infantilizzante, in cui gli uomini non sono uomini ma bambini o cani da condurre con la promessa di un biscotto o la minaccia di un digiuno.

Perché - qui sta il punto - chi parla di merito parla di colpa, e chi parla di premio parla di castigo. Se a parole la meritocrazia promette di esaltare i migliori, nei fatti esiste solo per sanzionare i peggiori - individuati di volta in volta secondo il capriccio e gli interessi del dominus. Non può sfuggire, ad esempio, che la liberalizzazione del mercato del lavoro non abbia minimamente prodotto vantaggi economici o di altro tipo per i lavoratori più diligenti e produttivi. Al contrario, precarizzando tutti ha disciplinato le pretese dei migliori e li ha resi più sfruttabili paventando decurtazioni, demansionamenti, perdita del lavoro.

È questa la meritocrazia. Il suo unico e vero premio è la promessa di non ricevere il castigo, almeno fino al giorno successivo. In passato ci siamo occupati dei sussidi di disoccupazione in Inghilterra, la cui riforma in senso meritocratico non ha comportato alcun premio aggiuntivo per gli assistiti più ligi al programma, ma in compenso ha introdotto sanzioni disumane per coloro che si macchiavano di infrazioni anche irrisorie, creando così tra gli indigenti una massa terrorizzata, umiliata, prona a ogni abuso.

Insomma, la meritocrazia è la sgualdrina dialettica degli sfruttatori. E chi tra gli sfruttati si illudesse di amoreggiarci per riscattarsi a spese dei riscatti altrui, quando si troverà con il coltello alla gola, eternamente sull'orlo della pattumiera degli immeritevoli, ebbene - mi si perdoni l'incoerenza, ma qui ci vuole - se lo sarà meritato.


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Commenti

Alessandro

Magistrale

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GAETANO

Ho letto tutto d'un fiato e sono d'accordo su tutto. La meritocrazia è solo un'illusione,

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via coi lupi

bello

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Antonio

Lettura illuminante.
Ho già l'opera di Young che mette in luce come il concetto di meritocrazia sia pieno di insidie.
A compendio aggiungo il link a questo recente interessantissimo studio scientifico, frutto di una simulazione, che suggerisce che in una popolazione, nel creare individui di successo, sia statisticamente molto più incidente e significativa la fortuna e non il talento: link
Questo fa tramontare l'idea che ci possa essere un premio sicuro per il talento, la passione o lo stacanovismo.

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bruno dagnini

Questo post è stupendo e ringrazio chi lo ha scritto.
La meritocrazia è particolarmente subdola e invasiva nel mondo della scuola.
Per questo ho citato e incorniciato il pedante in eteronomiascolastica, in opposizione a un articolo di Alesina e Giavazzi comparso sul Corriere tempo fa (la meritocrazia è di sinistra):
link
La meritocrazia non è affatto di sinistra.
Rappresenta infatti uno dei quattro pilastri della pedagogia €urista, insieme alla competitività, al produttivismo aziendalista e alla deflazione scolastica (abbassamento del valore dell'istruzione).
La meritocrazia è davvero la sgualdrina dialettica degli sfruttatori.
bruno dagnini

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↪ Snoopix

Gentile @bruno dagnini, davvero la meritocrazia è invasiva nel mondo della scuola? Mi pare che siamo ben lontani dalla meritocrazia.
La meritocrazia non è solo un modo per distribuire i premi ma anche per allocare le persone a fare quello che riescono meglio.
In Italia la meritocrazia non esiste (come può ben intuire in qualsiasi contesto lavorativo), questo ci ha forse regalato un ambiente aziendale piacevole? Aziende competitive? Salari alti? Posti di lavoro stabili? No, si sono usati altri criteri per mettere le persone nelle varie posizioni e per deciderne i compensi.
Io una prova con la meritocrazia la farei... che poi la meritocrazia non sia una formula magica, che ci voglia impegno per implementarla, che qualsiasi gruppo di criteri si scelgano si possano avere risultati non ottimali, siamo d'accordo, non esiste nulla di semplice in questo mondo complesso. Ma l'alternativa?

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LuciaS

Perdoni l'ignoranza, oltre la pedanteria lei ha anche un nome?

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Emanuele

Bellissima analisi.

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Lochlomond

link
Un articolo di qualche giorno fa del NYT su meritocrazia e i problemi della élite europea, credo possa essere di interesse
"In Europe, the meritocratic elite is a mercenary elite, not unlike the way the best soccer players are traded around to the most successful clubs across the Continent. Successful Dutch bankers move to London; competent German bureaucrats move to Brussels. European institutions and banks, just like soccer clubs, spend colossal amounts of money acquiring the best “players.”
"But what happens when these teams start to lose or the economy slows down? Their fans abandon them. That’s because there’s no relationship connecting the “players” and their fans beyond celebrating victories. They are not from the same neighborhood. They don’t have mutual friends or shared memories. Many of the players aren’t even from the same countries as their teams. You can admire the hired “stars,” but you do not have reason to be sorry for them."
"People trust their leaders not only because of their competence but also because of their courage and commitment, and because they believe that their leaders will remain with their own in times of crisis rather than being helicoptered to the emergency exit. Paradoxically, it is the convertible competencies of the present elites, the fact that they are equally fit to run a bank in Bulgaria or in Bangladesh or to teach in Athens or Tokyo, that make people so suspicious of them. People fear that in times of trouble, the meritocrats will opt to leave instead of sharing the cost of staying."

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jimmie

Arrivato al sito per caso, applaudo la trattazione di un termine (e problema) di fondo. Il merito e' un po' come la bellezza, che sta nell'occhio di chi la vede. Ma con la meritocrazia, chi la giudica (escludendoi casi estremi), ha il coltello dalla parte del merito. Il "ti uccido perche' non meriti di vivere" e', sotto-sotto, la giustificazione con la quale il paese 'eccezionale' (ergo 'meritevole'), distrugge paesi e popoli piu' o meno a iosa, anche quando i morti si contano a milioni. In esempi meno violenti, la 'meritocrazia' e' spesso un'invenzione lessicale per trasferire a un'entita' astratta la nostra presunzione di obiettivita'

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tito Pamio

....chiaro a me stesso che dopo la bocciatura da parte della mia interlocutrice su FB io cercassi qualche gratificazione per i miei interventi su FB... se ho capito tutto ritrovo molto di quanto ho sperimentato... le gratificazioni per quanto ho o non ho realizzato nella vita rimangono dubbie ...altalenanti....

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Georgejefferson

Se dedico del tempo per una esegesi critica, ma rispettosa ed educata, a questo testo ( rileggendo noto meglio l'impianto della visione mondo sottesa ), la pubblichi ?

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↪ Il Pedante

Gentile amico, ad oggi non ho censurato nessun commento, neanche quelli offensivi. Ogni contributo critico e costruttivo è benvenuto.

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Georgejefferson

Un buon articolo, in larga parte condivisibile, ma...
Cit:"...Un'omologazione rigorosamente al ribasso, come trapela ad esempio dalle proposte di inasprire le tasse di successione o di abolire tout-court le eredità per incentivare il merito e la mobilità sociale. Attraverso, cioè, la miseria."
A parte l'estremismo dell'abolizione delle eredità, associata qua al giusto principio di progressività fiscale ai fini di redistribuzione piu equa, e a parte lo spauracchio qualunquista tipico delle destre sulla omologazione al ribasso...
Dal momento che dici che :"... in un mondo di diseguali alla nascita per opportunità, patrimonio, stimoli ecc. un'applicazione rigida del criterio del merito finirebbe per ampliare la forbice sociale già esistente esacerbando gli effetti della fortuna",
fermo restando che approvi questa critica, significa che un giusto strumento di giustizia a posteriori e' proprio anche la progressività fiscale (ai fini dell'equità, e non di ruberie,ovviamente) che in seguito hai stigmatizzato con lo spauracchio della omologazione nella miseria (antica e sempre verde retorica di tutte le destre).

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↪ Il Pedante

Non ho mai stigmatizzato la progressività fiscale (anzi ne ho denunciato la violazione scrivendo di IVA) quindi non posso risponderLe, né giustificare ciò che non penso.

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Marco

Evidenzierei il fatto che la critica "standard" alla meritocrazia (quella secondo cui la differenza di condizioni sociali di partenza falsa l'attribuzione dei meriti) in realtà dà comunque piena legittimazione al principio: è solo per via delle contingenze che la meritocrazia crea ingiustizie, si dice, ma il principio meritocratico in astratto non è in discussione.

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roxgiuse

Pedante sono in crisi di astinenza. Urge nuovo post. Un grazie anche a tutti i commentatori che arricchiscono ancor di più il livello concettuale del blog

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Francesco Giannini

Caro Pedante, grazie per i tuoi articoli.
A proposito di "meritocrazia", se può aiutare a collocare storicamente il concetto, vorrei segnalare un articolo di Christopher Lasch, "L'opportunità nella terra promessa. Mobilità sociale o democratizzazione della competenza" (in C. Lasch, "La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia", trad. di Carlo Oliva, Feltrinelli 2001, pp. 47-69); dalla lettura del summenzionato sembra di capire come l'idea di "meritocrazia" sia emersa negli Stati Uniti tra gli anni '40 e i '50 del XX secolo: in particolare si cita un articolo di James Bryant Conan -allora preside di Harvard - apparso sulla rivista "Atlantic" nel maggio del 1940, "Education for a classless society", il quale proponeva la sostituzione dell'"aristocrazia della ricchezza" con un'"aristocrazia del talento" (che lo stesso Conant interpretava come "democrazia") e individuava nell'alto livello di mobilità sociale la realizzazione della società senza classi. Neanche a dirlo, il mezzo attraverso cui Conant intendeva implementare un'alta mobilità sociale era la pubblica istruzione: (cit.).
Per concludere, trovo estremamente significativo che il tardo epigono italiano di Conant, l'alfiere nostrano della meritocrazia, sia tale Roger Abravanel, il quale, oltre a scrivere libri di "propaganda meritocratica" e a fare pressione (con successo) sulle politiche dell'istruzione dei recenti governi italiani, ha il tipico curriculum dell'esponente della classe dominante nella società ultraliberale (link).

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↪ Fabio

Gentile @Francesco Giannini,
in realtà si ritrova tutto, ma proprio tutto, nella Repubblica di Platone, libri III, IV e V.
Altro che americani negli anni '40.
Noi oggi abbiamo a che fare con l'ennesimo (ma forse il più pericoloso) tentativo di costruzione di società ideale platonica. Tutti i precedenti sono finiti malissimo. Con danni sempre più gravi nel corso dei secoli.

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Carloarlo

"Sinners in the hands of an angry god"

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Emilio

Lei rappresenta, come al solito, un faro di logica. Un faro di conoscenza.
Il suo scomporre e rendere spogli, come scheletri, quegli enormi e gonfi cadaveri che, volta per volta, ci vengono spacciati come "dottrina sociale", è terribilmente utile. Per me.
Finiti i ringraziamenti, (non finti, davvero, nemmeno un po'):
Lei insiste da sempre sul tema del castigo (o della colpa, o del PECCATO ORIGINALE, nella mia lettura).
Io ho fatto tutto il cursus honorum da cattolico, e vivo in un perenne senso di colpa e di insoddisfazione, sebbene mi sia già da tempo reso apostata, rispetto al metafisico che mi era stato proposto.
Con chi me la devo prendere, oggi? Come faccio ad andare avanti?
Non riesco ad essere illuminista, né tantomeno mantengo un sufficiente senso del divino, che lei senza dubbio ha, e tiene.
Se un Dio c'è, l'ha già benedetta, quindi io posso solo salutarla caramente.
Le chiedo scusa, e
La ringrazio altresì, anche per tutti gli altri post che non ho commentato.
Un uomo.

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↪ Il Pedante

Gentile Emilio, quella che viviamo è una teologia umana, dove i concetti di peccato, colpa e redenzione sono diventati le sgualdrine di Mammona. Le leggi di Dio non possono essere le leggi degli uomini, né l'uomo può farsi Dio.

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↪ Emilio

Gentile @Il Pedante,
(Prenda con le molle, ché la mia capacità di esprimermi correttamente è limitata.) Se ho capito:
Lei mi consiglia di prendere coscienza della mia limitatezza, umana, e stare.
Sto, ma non bene.
Mi faccio forza del mio (scarso) impegno politico, e tengo vicini i miei, e la mia giovane amante, che si meriterebbe di sognare, almeno lei, un futuro radioso.
Un abbraccio caro, sempre Emilio.
Aspettiamo la prossima, sempre ottima, PedanZerìa.

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↪ Il Pedante

Si sbaglia. Io Le consigliavo di rendere conto a Dio e basta. La teologia degli uomini è una bestemmia che serve a sopprimere il debole. La nostra vittoria è nella lotta.

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↪ Stefano Longagnani

Gentile @Il Pedante, e gentile Emilio,
Vi segnalo volentieri questo interessante approfondimento sulla teologia del merito in ambito cristiano. Spero risolva o come minimo diminuisca i vostri dubbi.
link

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ws

Gli altri, i perdenti, devono solo incolpare sé stessi.
che e' l' essenza del "calvinismo" su cui sono fondati gli U$A e la ( finora *) sua "pace sociale" che permette il dominio oligarchico sotto la parvenza della "democrazia".
ws
(*) dico "finora" perche' l' enorme abbondanza di risorse ( interne e drenate altrove ) aveva finora permesso alla maggioranza dei "sudditi " di acchiappare comunque un suo pezzetto di "american dream "

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Federico

Sbaglio o nel lungo periodo la meritocrazia farebbe ritornare la schiavitù?

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valerio donato

la meritocrazia link ...
il significato del termine (seppure di origine incerta - pare creato ad hoc negli anni 50 per fare accettare la tecnocrazia) dice tutto: la meritocrazia, il governo del merito, è alternativa (e come tale incompatibile) alla democrazia e cioè al governo del demos.

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↪ x

Gentile @valerio donato, al contrario. Fu inventato negli anni '50 per mettere in guardia dai pericoli della tecnocrazia.

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Luca

...ECCEZIONALE: dopo essere stato sedotto, in gioventù, dal mito della "meritocrazia" (pensando di meritare qualcosa), ho iniziato a intuire quale inganno esso nascondesse, finalmente sintetizzato nel post di cui sopra

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Giorgio Vitali

In conclusione, la discussione è di estremo interesse, proprio perché alla fine la parola meritocrazia merita il giudizio che se ne dato, o che è emerso dalle varie considerazioni espresse. IL DATO PIU' SIGNIFICATIVO è il giudizio politico. Infatti, in politica, come nella vita, e come sosteneva il gran Trilussa, anche tra i pesci come tra i cristiani, i tonni sono di più dei pescecani. La morale è sempre una..il più meritevole è colui che dimostra il suo merito VINCENDO. Per questo il Papato è una entità meritevole. Leggere Golding.

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Giorgio Vitali

Pienamente d'accordo. gv

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Joel Samuele Beaumont

…e soprattutto, la dialettica e la retorica sono la cosa più importante.
Così in un clima autoreferenziale chi arriva primo inventa la categoria dei meritevoli, attraverso sistemi dove i parametri sono troppo generici per essere utili a valutare. E anche se fossero più precisi, si troverebbe, in caso di necessità un modo per dire che non sei meritevole, perché «quella volta un mese fa, sei arrivato in ritardo». Anche se tutti arrivano in ritardo, la mancanza viene fatta notare solo a chi non è avvantaggiato sottobanco, o è stato preso di mira.
I “meritevoli” invece non arrivano mai in ritardo, ma sono stati impegnati in “faccende di lavoro” o essendo meritevoli hanno dei bonus di diritto da spendere per queste piccole mancanze.
Fino a quando però, si ha bisogno di te che eri considerato immeritevole, perché si arriva al punto che le persone che avevano più capacità, inventiva, creatività, sono state messe da parte o relegate a ruoli minori.
Quindi il “megliocratico di turno” (passatemi il termine), ti chiederà di dimenticarsi di tutte quelle volte che eri stato messo all’angolo, e ti dirà che “se ti comporti bene” potrai far parte dei meritevoli.
Ma il meritevole di cui parliamo, ha paura che qualcuno che sia realmente più capace di lui sia emergente, e quindi lo tiene a bada facendolo stare bene quel tanto che basta a farlo respirare ed ottenere i risultati che servono ad andare avanti, ad incassare i risultati, prendendosene il merito.

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Bombadillo

Carissimi,
ribadiscono che il punto è il cambio di contesto: ci mancherebbe altro che il merito sia una cosa negativa in sé, lo sbaglio (strumentale) è quello di farlo diventare una categoria politica, complementare a quella dell'onestà, mentre non lo è ( così come, del resto, non lo è l'onestà). Quando bisogna scegliere chi, tra due, deve avere il posto come medico del pronto soccorso, come giudice, docente universitario, impiegato/funzionario/dirigente alla regione, o a quello che è, si deve premiare il più meritevole, cioè quello che esprime la cifra maggiore come prodotto tra capacità e impegno (che poi sono le due componenti del merito).
I politici, invece, non si giudicano in base alle capacità o all'onestà, ma in base alle politiche che propongono che hanno sempre una loro connotazione, e quando non è espressa vuol dire solo che ti stanno fregando.
Non credo che Einaudi fosse disonesto, né, tanto meno, incapace, ma non per questo l'avrei votato. Preferirei 100 volte votare un incapace e disonesto, che però esca dall'euro, faccia retromarcia sul divorzio, sulle privatizzazioni, sulla precarizzazione e mercificazione del lavoro, etc., etc. Questo equivoco -mutatis mutandis- mi pare simile a quello per cui si vorrebbe un Papa che non pecca che è buono, da ultimo che è pauperista (va tanto di moda). Mentre l'unico criterio per giudicare un Papa è quello della dottrina, e di come la difende. All'estremo, meglio un Papa assassino e puttaniere, ma di retta dottrina ed efficace nella sua difesa (il Papa infatti serve alla salvezza degli altri, di tutti i cristiani, mica alla sua), che un impostore che diffonde l'eresia vivendo a pane, acqua e buonismo.
Tom
P.S.: l'argomento della meretrice è suggestivo, ma niente di più, nel senso che non connota il merito negativamente. Anche merenda, del resto, viene da mereo. Credo che la genesi del vocabolo derivi dal fatto che al tempo difficilmente le donne lavoravano fuori casa, per cui le uniche che guadagnavano erano le prostitute.

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↪ valerio donato

Gentile @Bombadillo,
è vero esattamente il contrario.
Giudici, medici e in generale tutti i dipendenti pubblici, devono si superare un concorso, ma poi non devono essere valutati in base ai propri meriti.
Così almeno era nell'Italia DEMOcratica che funzionava.
Premiare un funzionario per i propri meriti, invero, comporta una ricerca degli stessi a discapito dell'imparzialità necessaria per esercitare la funzione.
Mi spiego.
Quali dovrebbero essere i meriti di un giudice? Il numero di anni di carcere inflitti? Il numero di processi celebrati (magari a scapito della qualità dei medesimi)? E quelli di un medico? I costi fatti risparmiare alla struttura (a scapito della salute dei pazienti)? Il numero di guarigioni (e cioè di dimissioni, magari affrettate)?

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↪ Bombadillo

Caro Valerio,
è proprio come scrivi tu: la fase in cui si deve premiare il migliore, assumendolo, mediante il pubblico concorso (che serve appunto per selezionare il migliore dei candidati), è quella dell'accesso -per altro, l'unica alla quale io abbia fatto riferimento, per cui la tua tesi non è contraria alla mia-, come da previsione costituzionale (art. 97, ultimo comma, Cost.).
La Consulta ha sempre interpretato tale disposizione, che contempla l'eccezione "salvo i casi stabiliti dalla legge", nella misura del 50%. Se devo assumere 10 funzionari, 5 posti li devo mettere per forza a concorso pubblico, mentre 5 li posso mettere come progressioni interne o stabilizzazione dei precari.
La premialità data all'assunto in base al suo comportamento, invece, paradossalmente rischia di entre in conflitto con i principi, espressi dal medesimo articolo, di imparzialità e buon andamento della pubblicazione.
Ovviamente, non esiste nulla del genere per i giudici e per gli universitari (e altrettanto ritengo possa dirsi dei medici), mentre ormai da anni una parte rilevante dello stipendio degli amministrativi, specie se dirigenti, è mobile, ed è legata a pseudo criteri di merito, con rischio di effetto boomerang conseguente.
Tom

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↪ L'immerit.

@valerio donato Sottoscrivo la sua critica. O possiamo conoscere il futuro, o il criterio meritocratico non ha senso in nessun caso. Posso accettare un criterio anti-meritocratico, nel senso di esclusione dei peggiori.

Rispondi

↪ Bombadillo

...sì, infatti il pubblico concorso non serve a prevedere il futuro, ma a valutare il presente: a valutare, cioè, chi -allo stato attuale- è il migliore dei candidati.
Proprio il migliore, per altro, e non il meno peggio, perché generalmente vale la regola dei 7/10, al di sotto dei quali sei fuori: per cui non è che il posto lo devo dare "per forza" al meno peggio dei candidati, se non ce ne è uno che arriva almeno al 7, il posto rimane vacante.
Non c'è altra possibilità.
Altrimenti, se si presentano dieci (o due o mille) candidati per un posto di medico al pronto soccorso, il posto chi lo prende?
Faccio un'estrazione numerica? Tipo tombola? Praticamente, lo assegno a ca... so!
Tom

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↪ L'immerit.

@Bombadillo In tutta sincerità, non riesco ad entusiasmarmi alla differenza tra un concorso pubblico ed un altro tipo di assunzione. In ogni caso, un concorso pubblico sensato implicherà dei requisiti che esulano dal puro giudizio del merito, anche in università. Perché definire "meglio" non è quasi mai banale (mentre definire "peggio" è spesso molto più facile). Una commissione dovrà valutare in base ad una strategia da seguire nel futuro, dovrà valutare qualità un po' intangibili come la motivazione personale, quella professionale, ecc. Rompo un tabù se dico che dovrà anche valutare la simpatia del candidato? Perché è ovvio che non sia la cosa più importante, ma verosimilmente dovrà lavorare con altre persone, se ci si può collaborare facilmente, potrebbe essere un grosso vantaggio. Una cooptazione ben fatta, farà uguale. In entrambi i casi, non si tratta di meritocrazia, perché non si tratta solamente di definire un metodo per raggiungere una espressione quantitativa (7/10) del giudizio di una persona. Anche se per ragioni formali poi si deve stilare una graduatoria con un voto. Se questo non è in linea con la legge italiana, bene, penso sia la legge a sbagliare.
Sono disposto a sopportare il fatto che non abbiamo la stessa opinione a riguardo.

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↪ valerio donato

Gentile @L'immerit., è proprio così che funziona in magistratura. gli scatti di stipendio sono legati esclusivamente all'anzianità e all'assenza di demeriti.

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x

Ovviamente il risultato di un sistema "meritocratico" e' l' esatto opposto di quello propagandato.
E per ovvi motivi.
Una eccessiva gerarchizzazione toglie spazio di autonomia a chi occupa posizioni subalterne. A essi dunque sarà completamente inibita la salutare azione di controllo (e correzione) su chi sta sopra gerarchicamente. Per ottenere una promozione o un premio dovranno limitarsi a "eseguire gli ordini" e basta. Insomma si. Gli stupidi in un sistema "meritocratico" saranno i vincitori.
E' una cosa di una semplicità sconvolgente che pure gente che vien unanimemente defita intelligente son sicuro non arriva a capire. Tipo Zingales.
C' è poi da parlare della "redazione" del metro di giudizio. Meno sarà studiato più sarà sbagliato. E "infatti" i "meritocratici" sono anche immancabilmente per la "rapidità".... e tendono a eliminare infantilmente il dubbio: il metro di giudizio una volta definito sarà infallibile ai loro occhi.
Inoltre:
Questo metro di giudizio tende a premiare i risultati a breve finendo per eliminare dal metro stesso quelli a lungo termine che dovrebbero -guarda caso- essere quelli da ottenere per i decisori saggi.
Si spigano così i disatri dei manager "stpckopzionizzati".
Il vero esempio del meritocratico di successo; da premiare è Madoff.....

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ambra

mi viene in mente la tesi di Laurrnce Peter del 1969 sul livello di incompetenza, che riguardava le dinamiche di carriera lavorativa su basi meritocratiche. Se vogliamo generalizzare potremmo assumere come "metrica" del merito, ciò che è funzionale ad un obbiettivo. Ebbene a quanto si arriverebbe alla conclusione paradossale che più si viene promossi per merito nella data gerarchia più non si è in grado di essere competenti nella nuova posizione e quindi si sarebbe riconosciuta come immeritata tale posizione.
A dir poco sconcertante, ma a seguito di quanto letto sopra parrebbero due facce della stessa medaglia. O quanto meno un altro argomento contro la tesi meritocratica?

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↪ lorenzo

@ambra
non so se stavi rispondendo a me, ma non ho ben capito questo principio di Peter. Io molto banalmente, usando il semplicissimo buonsenso, dico che la questione parrebbe ovvia, ma solo apparentemente, poiché quello che scrive il Pedante è più che vero, e fa parte delle strategie di propaganda che lui con grande abilità riesce a de-costruire per farcele capire meglio. Ma, d'altra parte, è vero anche che spesso il merito non viene riconosciuto. L'ovvio sarebbe che il merito, quando effettivo, venisse riconosciuto perché giusto, utile, benefico per la società (un bravo medico farà bene il suo lavoro e aiuterà gli ammalati, così come un bravo insegnante sarà utile agli studenti, ecc.). La "meritocrazia", invece, fa parte di altro, è un sistema di valori, è una ideologia, e si presta all'inganno, visto che, come il Pedante ci mostra, serve a schiacciare ulteriormente i deboli, e dunque funziona assai bene all'interno dell'ideologia liberista. Tutto qui, dal mio umile punto di vista!

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↪ Giorgio Vitali

Gentile @ambra , Il principio di Peter, che ebbe un certo numero di edizioni, anche tascabili, (Garzanti) è un dato ormai acquisito. Si scala sempre verso il livello della massima incompetenza. Ciò NON interferisce in nulla. Le mastodontiche comunità lavorative ( Aziende, multinazionali, Enti pubblici o privati..) hanno ai vertici individui assolutamente incompetenti, forse all'inizio del loro transito nelle strutture che hanno scalato erano solo esperti nel magheggio. Ma questo è ciò che li rende ATTIVI nei ruoli scalati. Ho molte esperienze in merito.

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↪ lorenzo

@Giorgio Vitali
Sì ma tralasciando le multinazionali, nel settore pubblico, almeno per un certo periodo, il merito effettivo non è stato anche UTILMENTE riconosciuto? Ad esempio l'eccellenza nella sanità, in certe nostre regioni, non è casuale, e se diventavi primario era perché avevi passato concorsi esami prove di vario genere. E gli ammalati hanno sempre ringraziato. Un trapianto di fegato non te lo fa il primo venuto o chi ha scalato i vertici grazie all'incompetenza. O no? Quindi la legge di Peter evidentemente non funziona sempre e comuunque.

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ambra

@lorenzo
Questo potrebbe essere spiegabile col cosiddetto 'principio di Peter': "In ogni gerarchia si sale di grado fino a raggiungere il proprio livello d'incompetenza" da ciò ne segue che
"Con il tempo, ogni posizione tende a essere occupata da una persona che non ha la competenza adatta ai compiti che deve svolgere."

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Roland

Può darsi che il meritare sia parte della intrinseca, acquisita socialità dell’uomo?
E come parte di questa, essendone il fondamento ricevuto dalla cultura più intima proveniente dai primi umani vicini al neonato nei primi 5-6 anni di vita, l’individuo fatica a liberarsene finché non si svezza psichicamente formando i propri pensieri morali, che sfociano finalmente dalla sua fantasia: fintanto che abbisogna di idee morali altrui dimostra altresì la sua immaturità.
Si direbbe, quindi, che quanto più una società si appoggi a criteri di merito per ricevere impulsi di cambiamento, tanto più sia puerile, e come tale “ne deve mangiare di pastasciutta per crescere!”.
Prossimo alla “indigestione”, solo allora l’uomo si accorge di essere realmente l’unico generatore di impulsi gratificanti il suo agire, che diventa così quello di un essere maturo, autonomo e libero.
Manterrei quindi la meritocrazia sullo stesso piano degli scambi commerciali (infatti: “se fai il bravo ti compro le caramelle”), se volessimo portarla sul piano psichico/spirituale questa non sarebbe sostenuta dalla mercificazione, per definizione appunto.
Interessante aver associato la sua immagine a quella della sgualdrina (non solo dialettica, secondo me) e della locandiera del Goldoni, che però agisce così sempre per scopi economici, infatti deriva dalla stessa radice anche la parola “meretrice”.

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Bombadillo

Caro Pedante,
il tuo interessante post capita "come il cacio sui maccheroni", in quanto rappresenta la continuazione ideale delle riflessioni che stavo facendo, a seguito della recente discussione che ho avuto con una mia amica d'infanzia, con la quale non parlavo da un paio di anni, e che, nelle more, è diventata una fervente grillina: le ho anche consigliato reiteratamente la lettura del tuo blog, sarebbe bello se mi leggesse e, magari, replicasse (anzi, a commento pubblicato, le manderò un sms di sollecito al proposito).
Tento di sintetizzare il tutto: il punto di partenza è stato quello dell'onestà, al che io ho replicato che l'onestà non è una categoria politica, ma pre-politica; poi la competenza, e chiaramente la mia replica è stata la stessa; dunque sono io che ho detto che per me il problema è che i grillini non sono chiaramente per l'uscita dall'euro (ma lei ha detto che lo sono: sul punto, in effetti, il M5S è sempre stato piuttosto ambiguo, forse ormai "fiutata l'aria" ci sarà una netta presa di posizione netta al riguardo? Vedremo.); quindi le ho contestato il reddito di cittadinanza, che lei ha spontaneamente difeso come se io volessi attaccarlo "da destra", mentre le ho spiegato che il punto non è che è troppo "de sinistra", ma proprio il contrario.
Più in generale, nonostante io stesso abbia conosciuto dei consiglieri regionali della mia regione e, in effetti, li abbia trovati dei bravi figli, simpatici, appassionati e anche competenti (sullo specifico tema ambientale), ho sostenuto che l'abbandono delle categorie politiche non possa altro che essere apparente, perché ogni politica rientra in una sua categoria, e che proprio il loro apparente abbandono non potrà che portare a riproporre -se è quando, com'è possibile, i grillini arriveranno al governo- politiche delle stesse categorie attuali, cioè di destra economica (come appunto il reddito di cittadinanza, et similia), e io sono contrario, più sinistra etica (meticciato internazionale, bimbi in provetta, adozioni gay, etc.), e io sono altrettanto contrario.
Poi è seguita una parte forse meno interessante, del tipo: vabbè, e allora chi votiamo, qualcuno bisogna votare "per forza", per cui votiamo i meno peggio, il M5S è una cosa Grillo è un'altra (questo perché le chiedevo se sapeva chi ha iniziato Grillo alla politica, e come lo odiano gli allievi del suo ex guru, che lo accusano apertamente di tradimento).
Ora, però, dopo aver letto il tuo post, mi viene alla mente una cosa che ha detto lei -non credo fosse una proposta M5S, ma proprio un'idea sua- relativa alle false maternità a rischio.
La morale è che, visto che siamo un popolo di disonesti, non ci resta che abbassare le garanzie. Dato, cioè, che ci sarebbero molte donne (specie infermiere, forse per contiguità con l'ambiente medico) che si fanno fare falsi certificati di gravidanza a rischio, per 4 - 5 figli, così facendosi tutti i 9 mesi a casa, appunto per 4-5 volte, la soluzione sarebbe prevedere che la gravidanza a rischio "vale" solo una volta, mentre, per le successive, se vuoi puoi stare a case tutti i 9 mesi, ma non prendi l'indennità. Chiaramente, la prima cosa che ho replicato è che, a mio avviso, con la crisi demografica che c'è, non mi pare verosimile che ci siano tutte queste infermiere che sfornano 4-5 figli (veramente, manco 2-3), e che, se invece così fosse, vista la situazione io sarei contentissimo di dare i 9 mesi a tutte (ovviamente, ho taciuto cosa succede ad un dipendente pubblico quando ha un figlio, e quanto tale politica -Monti non l'ha cancellata, forse la crisi demografica lo ha dissuaso dalla tentazione- sia stata stigmatizzata nel famoso manifesto di Ventotene: che infatti è di sinistra quanto il reddito di cittadinanza). Lei ha replicato: sì, ma non con i soldi delle mie tasse.
A questo punto, avrei dovuto ribattere che la rarefazione monetaria in corso è artificiale, che serve solo alle deflazione, e quindi a tenere in piedi l'euro evitando un eccessivo squilibrio della bdp, nonché soprattutto a far guadagnare di più i prestatori professionali di denaro, riducendo a zero la differenza tra tasso di interesse nominale e reale, e spingendo i consociati a ricorrere maggiormente al credito. Forse, ancor di più, avrei dovuto ribattere che in un sistema a moneta convenzionale le tasse/imposte non servono a finanziare lo Stato (non siamo ai tempi dello sceriffo di Nottingham, né l'euro -e pure la stessa lira, nonostante mi pare conservasse l'apposita dicitura- è convertibile in alcunché che abbia valore intrinseco), ma a redistribuire e, appunto, a controllare l'inflazione.
Solo che capirete bene che, sotto l'ombrellone, proprio non si può.
La morale è che il mito della meritocrazia e dell'onestà conduce alla riduzione delle garanzie: insomma, destra economica.
Ma c'è anche qualcos'altro che volevo evidenziare, perché se la meritocrazia non ha senso in sede politica, dove si trasforma in tecnocrazia (presunta), mentre le scelte politiche non sono mai neutre, e sono invece sempre.....politiche (inaspettato, vero?), ha senso in un altro preciso ambito, cioè quello concorsuale.
Io credo che sia davvero questo il problema che tante persone ha guadagnato all'ingrata causa "merito+onesta" in politica: il vero schifo (diciamo le cosa come vanno dette) che si è compiuto, negli anni, in sede di pubblici concorsi, sinonimo di mancanza di onestà e meritocrazia.
Mi pare, cioè, che il "grillino medio" vada alla ricerca di una sorta di "meritocrazia vicaria", persa dove dovrebbe essere l'unico criterio di scelta (cioè, appunto, nel pubblico concorso), e recuperata dove non ha alcun seno (ovverosia, in politica).
Per altro, complice di questo passaggio della meritocrazia, dal suo ambito naturale ad uno dove diviene strumento di prevaricazione del più forte, è stato il Parlamento dei nominati. Dato, infatti, che il singolo parlamentare non ha più il "merito" (in realtà, la legittimazione politica, che è cosa affatto diversa) di essere stato votato, ma è stato nominato dal vertice del partito, è chiaro che uno inizia a domandarsi con quali criteri di merito ciò sia avvenuto, temendo sia solo questione di taglia di reggiseno aut similia.
Ma torniamo ai pubblici concorsi.
Pensiamo a ciò che è avvenuto negli enti locali, nei ministeri. Pensiamo all'Università che, non me ne vogliano le altre categorie, dovrebbe essere per eccellenza la sede del merito, insomma il posto per quelli più bravi di tutti.
Io -evidentemente, prima di diventare di ruolo- sono stato il fondatore dell'APRI (Associazione dei Precari della Ricerca Italiani), e vi assicuro che, anche essendo stato per alcuni anni, di fatto, il consulente legale gratuito di una pluralità di precari, ho visto tantissime ingiustizie grossolane, e pure piuttosto oggettive. Perché, vedete, non è che si tratta di concorsi con delle prove (anzi, la nostra prima battaglia fu proprio quella di chiedere l'abolizione di scritti ed orali), ma di concorsi che si basano su quello che tu hai fatto fino a quel momento: fondamentalmente sulle pubblicazioni, oltre che sui titoli. E se io non potrei mai dire chi è meglio tra due con un cv analogo che sono matematici, fisici, economisti o anche semplicemente di diritto privato (io sono un penalista), quando le differenze tra cv sono lampanti, non c'è mica bisogno di essere competenti nella materia, di leggere e valutare le pubblicazioni, per capire che è stata consumata un'ingiustizia. E, semplicemente, si tratta di cose che non dovrebbero mai accadere, mentre sono accadute fin troppo spesso, e che finiscono per delegittimare, agli occhi dell'opinione pubblica, un sistema comunque fatto in grande maggioranza di gente molto brava, e spesso e volentieri perfino eccellente.
Lo scrivevo pure sull'ottimo sito che citava Mikez73, Roars, un sito specialistico per universitari (Mikez, sei un collega?), dove giustamente si criticano molte scelte ministeriali e delle varie agenzie collegate: è chiaro che la campagna mediatica contro l'università, in cui si è molto insistito sugli scandali, è stata strumentale solo al de-finanziamento dell'Università pubblica, che a sua volta è strumentale alla sua riduzione, per far fiorire il mercato delle private (e connessi debiti per iscrivercisi), secondo il modello liberista USA. Ma ciò non significa che il problema del merito nel reclutamento non ci fosse, e non ci sia, e che il bisogno di vincoli alla discrezionalità delle commissioni fosse e sia necessario (anche se l'unica azione davvero risolutiva sarebbe eliminare il conflitto di interesse endemico delle stesse, e pure questo sarebbe piuttosto semplice da fare, ma non è questa la sede per spiegare come).
D'altronde, pensandoci bene, anche la mia amica -causa e ispirazione di questo mio commento: molto brava, competitiva, dottorato in area scientifica- voleva fare la carriera universitaria, mentre le è stata preclusa, e ha dovuto gettarsi con successo in quella privata, con tante meritate soddisfazioni...ma la sua prima ambizione non era quella!
In conclusione, il miglior alleato (pure mediatico) della meritocrazia in politica, che poi è pseudo-tecnocrazia, e prevaricazione del più forte, è il concorso pubblico truccato, tanto più quando si gioca a carte scoperte (senza prove di concorso, ma tutto sui cv, che sono pubblici), come nell'Università.
Anche per questo motivo, urge ripensare radicalmente i meccanismi di reclutamento universitario.
Tom Bombadillo

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↪ L'immeritocrate

@Bombadillo In altri paesi il sistema a chiamata diretta, totalmente o quasi totalmente discrezionale, funziona piuttosto bene. In linea generale, mi sembra possa avere un senso perché riconosce il fatto che un'università dovrebbe essere anche centro di produzione di nuova conoscenza, non solo di mantenimento di quella vecchia. Mi sembra che la chiamata diretta riconosca l'esistenza di scuole diverse, in competizione tra loro, piuttosto che puntare su un bagaglio di sapere dato per acquisito (forse in altre discipline questo discorso non si applica, io penso alle scienze naturali). In questo senso, no, non sono d'accordo, nemmeno l'università dovrebbe essere governata dalla meritocrazia. Il fatto è che la competizione di cui parlo dovrebbe essere intellettuale, non per i fondi. Questo può essere solo se ci sono finanziamenti in misura appropriata. È un sistema fragile (e tra l'altro mi è capitato di assistere alla sua improvvisa trasformazione in camorra in un meritocratico paese nord-europeo infatuato dall'austerità). In Francia mi pare abbiano un sistema equilibrato, in cui c'è una prima selezione di base che tende ad eliminare quelli che non hanno i requisiti minimi, a livello nazionale, e con commissioni molto poco influenzabili a livello locale. Poi tra questo gruppo di qualificati, i singoli laboratori possono scegliere liberamente, se hanno i soldi per assumere. Sono certo che troveranno il modo di rovinarlo.

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↪ Bombadillo

@L'immeritocrate,
il reclutamento universitario, in altri Paesi, specie quelli di common law , per ovvie ragioni non è legato al concorso pubblico (di diritto pubblico, di cui non esiste un corrispondente preciso, come del resto non esiste un apposito giudice amministrativo), ma si basa su di un colloquio di lavoro (in sede del quale, ovviamente, conta la ricerca che hai fatto fino a quel momento, e quindi, in definitiva, le tue pubblicazioni).
In quei casi la discrezionalità pura funziona, perché -che l'università sia pubblica o privata- al potere (discrezionalità pura) corrisponde una responsabilità: se prendo uno che non è buono, poi è peggio per me, in quanto il mio dipartimento funzionerà male, prenderà meno finanziamenti, magari se sbaglio la politica di reclutamento può anche chiudere, e io -intendo, ovviamente, io reclutatore- mi ritrovo licenziato, senza stipendio.
In Italia la discrezionalità pura, la cooptazione, non funziona altrettanto bene, perché è totalmente irresponsabile: posso reclutare i peggiori o, comunque, posso permettermi di non reclutare il migliore che si sia presentato, tanto la mia vita professionale (di me reclutatore) è totalmente svincolata dalle mie scelte di reclutamento (il mio stipendio non me lo tocca nessuno).
Ora, io tra un sistema di concorso pubblico non truccato, ed un altro di privatizzazione dell'Università, preferisco il primo, anche perché essere indipendenti dai finanziamenti esterni ti consente di mantenere la libertà di ricerca, che è un valore costituzionale, mentre se ti leghi troppo agli sponsor privati finirai per essere a loro libro paga, e questo non va bene.
E' chiaro che molti precari della ricerca, soprattutto vedendo che all'estero avevano le porte spalancate e qui sbattevano la testa contro un muro, sono stati molto affascinati da questo secondo sistema, che comunque, per essere introdotto in Italia, avrebbe bisogno di una modifica costituzionale, visto che l'accesso per pubblico concorso nella pubblica amministrazione è previsto, appunto, dalla Costituzione.
Si farebbe molto meglio e prima, invece, con semplici regole, ad evitare che la commissione giudicatrice sia in conflitto di interessi, così si premierebbe sempre il migliore, visto che è appunto il pubblico concorso, che è un ambito puramente tecnico, a rappresentare l'ambito proprio della meritocrazia (anche se ammetto che il termine in sé risulta ambiguo, visto che si presta ad un'interpretazione come potere -appunto, kratos- politico).
Tom

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↪ @Bombadillo

@Bombadillo Sono molto ignorante in materia giuridica. Posso solo dire che, in base alla mia esperienza personale, la cooptazione, all'estero, è solo rare volte legata a finanziamenti privati di vario tipo. È sempre più legata a finanziamenti a progetto ma questa mi pare una contingenza legata a scopi politici ben precisi (= limitare libertà). Non vedo il legame necessario tra cooptazione e privatizzazione dell'università, ma sono tutt'orecchie verso ulteriori spiegazioni (for dummies). Un concorso pubblico può essere un'ottima soluzione. Come tutte ha dei limiti, anche quando funziona "bene". Uno di questi, a mio avviso, può essere la promozione di un certo conformismo (in quanto a suddivisione per discipline, in quanto a contenuto di una materia, ecc.).

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↪ L'immeritocrate

@Bombadillo Che razza di impedito che sono, ovviamente la risposta qui sopra è mia.

Rispondi

↪ Bombadillo

@L'immeritocrate,
non volevo sostenere che ci sia un nesso tra la cooptazione e la privatizzazione: nell'università italiana, infatti, abbiamo la prima, ma non la seconda (anche se un certo processo di privatizzazione è in atto), e proprio per questo, del resto, la prima è particolarmente inefficiente, visto che è totalmente irresponsabile, o comunque, il che poi è lo stesso, lasciata all'auto-responsabilità dei reclutatori.
Nei Paesi di common law si fa un colloquio di lavoro come per qualsiasi altro posto nel privato, perché l'università, anche se pubblica, funziona come una qualsiasi azienda privata, che deve stare sul mercato, cercando finanziamenti, pubblici o privati che siano, etc., etc., può chiudere, licenziare.
I professori e ricercatori italiani, invece, sono dipendenti pubblici. Per altro, lo sono in senso stretto, come ormai si può dire di pochissime categorie: i magistrati, i diplomatici, i militari e gli avvocati dello Stato.
Sono categorie -forse questo può darti un segnale della differenza- che non hanno un contratto di lavoro.
Per quanto riguarda il conformismo, mi pare un rischio sempre presente, indifferentemente se il regime è privato o di pubblico concorso. Il vero problema è solo quando in un regime pubblico, il pubblico concorso è truccato, e in realtà si tratta di una cooptazione irresponsabile, perché allora non viene selezionato il migliore, e prevalgono criteri lato sensu "politici", in una sede in cui dovrebbero contare solo quelli di merito.
Insomma, vogliamo fare tutto al contrario. Pseudo criteri politici nei pubblici concorsi, dove dovrebbero valere quelli di merito, è, "per compensare", pseudo criteri di competenza (e onestà) in politica, dove la scelta dovrebbe compiersi in base alle categorie politiche.
Due torti, però, non fanno una ragione, ma un torto maggiore.
Tom

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↪ L'Immerit.

@L'immeritocrate E aggiungerei anche: non perdiamoci in dettagli. Bisogna ripassare i cori "Tro-i-ka".

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↪ L'immeritocrate

@Bombadillo Grazie per la precisazione, ora mi è più chiaro quello che intendevi e non posso che essere d'accordo. Solo un appunto: non necessariamente cooptazione implica contratto assimilabile al privato (Svizzera, Olanda, Svezia, presumo altri). Non che voglia portare come esempio da imitare questi paesi (#facciamocome). Voglio solo dire: la forma del sistema cambia, e la sua essenza pure, ma non in maniera correlata.
TRO-I-KA

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↪ mikez73

Gentile @Bombadillo,
no, non sono un collega. Colgo l'occasione per dire che leggo sempre con molto piacere i tuoi commenti.

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↪ Bombadillo

@mikez73,
pure io altrettanto.
Però non avrei detto che ROARS fosse letto pure da "esterni".
Per quanto riguarda la TROIKA, invece, non credo che dovremo aspettare ancora troppo a lungo; del resto, qui in Italia, i suoi "famosi figli" sono arrivati al potere ormai da tempo!
Tom

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Roxgiuse

Ma quanto sei bravo pedante. Dai parole e linearità logica ad idee che sentiamo immanenti ma nn riusciamo a tradurre plasticamente come fai tu. Ma chi sei? Cosa fai nella vita?

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Lorenzo

Sintesi magistrale. Chapeau.

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Andrea Giannini

Ottimo lavoro.
Io nel mio piccolo ho sviluppato un argomento per spegnere gli ardenti sognatori della meritocrazia: qual è il criterio del merito? E se ci sono delle discordanze su questo punto, chi è 'meritevole' di stabilirlo? Ne consegue che servirebbe un criterio di merito per stabilire il criterio di merito: e così via.
Come spunto suggerirei poi di analizzare il fascino della tautologia nel linguaggio politico da Ventotene ai giorni nostri.

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rossana

Il Pedante: mai più senza (mi lenisce ogni dolore esistenziale...grazie)

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Alle

Sei un grande! Complimenti per l'ennesimo post meraviglioso!

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Anna

Alcuni italiani qui in UK (che evidentemente non conoscono bene il sistema britannico e non si preoccupano nemmeno di leggere i giornali locali o di seguire i programmi di BBC Radio4) affermano di ammirare la "meritocrazia" britannica. Non sanno di suscitare ilarità e incredulità nei loro interlocutori inglesi ...

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andrea

"la dignità per chi ha sbagliato".
l'umanità contrapposta alla meritocrazia.
veramente complimenti

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Maurizio Giordano

GENIALE

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Vittorio Bova

Grazie!
Eccellente Pedanteria, as usual.

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a perfect world

Ci provo: la meritocrazia esiste da sempre, e' semplicemente un aspetto dello stato di natura, la selezione del piu' forte a discapito del piu' debole. Ne deriva che una funzione fondamentale della democrazia e' la retroazione negativa al processo meritocratico, vedasi la nostra Costituzione (che appunto voglion cambiare). Certo esiste il rischio che un eccesso di appiattimento deprima i talenti. Conoscevo un ortopedico, un luminare, che possedeva una collezione di Ferrari. Per me se le era "meritate" tutte, mia madre ha camminato perfettamente per vent'anni con la sua protesi d'anca. E' un bel problema, anzi probabilmente e', il problema.

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Ghio

L'obiezione è la seguente: con quale criterio di valori sarà possibile dare giudizi di merito senza che questi divengano immediatamente tecnocratici? Come si potrà paragonare nell'ambito delle riforme costituzionali una Boschi con un qualsiasi costituente preso a caso?

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↪ Totò

@Ghio
Il criterio più civile per valutare il merito è quello democratico.
Il resto è barbarie.

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↪ Il Pedante

@Ghio L'obiezione è respinta. Un criterio non è intrinsecamente tecnocratico, ma lo diventa se è imposto da una minoranza facendo credere alla maggioranza che sia l'unico possibile.

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↪ Ghio

@Il Pedante Sempre preciso e pertinente. Grazie per l'ottimo lavoro :)

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Martin Savani

Vorrei complimentarmi per questo splendido post. Delle idee del genere mi frullavano in testa da qualche tempo, ma non sarei certo riuscito ad elaborarle in maniera così precisa. E' la prima volta che leggo questo blog, credo che da oggi lo farò spesso.

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Francesco Pansera

La leggo con interesse

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Luigi Maffei

Un articolo straordinario. Alcune di queste idee/sensazioni frullavano già per la mia testa ma in modo confuso. Dovrò rileggerlo almeno un'altra volta per meglio carpirne tutte le sfaccettature (anche se ammetto di leggere tutti i suoi articoli più di una volta). La sua sensibilità è impressionante. Persone come lei rendono il mondo un posto meno triste.
Mi sono ripromesso, appena avrò il tempo, di esprimere qualche commento più strutturato a qualche suo articolo (non recente) con il quale non mi sono trovato in perfetta sintonia. Purtroppo il lavoro, come lei ha ben spiegato, assorbe tutto il nostro tempo e sempre di più assomiglia ad una schiavitù. Grazie per quello che fa!

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x

Sapete chi ha inventato il termine meritocrazia? E perché?
E' stato la mente del programma dei laburisti vincitori delle prime elezioni inglesi del dopo-guerra. Quello che sconfisse Chirchill per intendersi.

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↪ Pike Bishop

Meritocrazia nella intenzione di chi ha coniato il termine aveva connotazioni decisamente negative. Michael Young, nel suo "Rise of Meritocracy" prospetta infatti una futura rivolta contro la meritocrazia la quale giungera' a bloccare tutte le dinamiche di riscatto sociale.
Come al solito, invece, l'infame Tony Blair ha rigirato la frittata trasformando quello che per chi scrisse il manifesto dei laburisti del 1945 (lo stesso Young) da un disvalore potenzialmente assai pericoloso ad un valore assoluto da accettarsi senza discussioni.
Non so se il Pedante abbia letto Young, ma le loro conclusioni sono parecchio simili.

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Ludovico

Merita molto...

Rispondi

↪ lorenzo

direi però di fare attenzione, perché tante volte abbiamo visto anche il contrario, ovvero i cani a ricoprire ruoli che mai avrebbero meritato, o dovuto/potuto ricoprire, se non vegliamo usare questo termine (gli esempi fateli voi, sono troppi). Tuttavia, è vero che diventa spesso una scusa per poter odiare meglio i deboli, schiacciarli ancora di più, trasformare i diritti acquisiti con secoli di lotte in privilegi, eccetera. Dunque qualcosa di estremamente funzionale a questa epoca di ideologia liberista. E allora, a questi sostenitori di QUESTA meritocrazia, noi risponderemo: "vi meritate il Pedante, vi meritate!"

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Peter Yanez

"Se a parole la meritocrazia promette di esaltare i migliori, nei fatti esiste solo per sanzionare i peggiori - individuati di volta in volta secondo il capriccio e gli interessi del dominus"
Allora siamo in un buco nero: una società basata sulla demeritocrazia ce l'abbiamo già, una società basata sulla meritocrazia è un boomerang perché la meritocrazia non è altro che "la sgualdrina dialettica degli sfruttatori " , non resta altro che vivacchiare alla giornata e giocare all'Enalotto ...

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↪ a perfect world

@Peter Yanez
Se ci riesce, cosa c'e' di male? Con l'Enalotto si pagano tasse allo Stato.

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↪ L'immeritocrate

@Peter Yanez Ti xe rivà a romper i cojoni anca qui si. Vuoi vedere il mio cv? Guarda che è molto lungo, ti avviso.

Rispondi

↪ Maurizio Moretti

Gentile @L'immeritocrate,
Probabilmente ce lo meritiamo

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mikez73

Per la rubrica "forse non tutti sanno che" (io per esempio non lo sapevo), nonostante l’allure antica della parola, il termine è stato coniato appena nel 1958 dal sociologo Michael Young nel suo “The Rise of Meritocracy”, un saggio distopico in cui la parola possedeva una connotazione totalmente negativa perché su di essa si basava la futura nuova oligarchia.
Ovviamente 
Tony Blair, il Renzi inglese, lo prese nei suoi rampanti anni '90 a testo di riferimento, salvo sollevare le ire dello stesso Young, che era un laburista vecchio stampo.
La traiettoria pericolosa del concetto fu delineata da Young fin dall'inizio, infatti nel titolo del suo libro erano riportate le date 1870-2033 (quindi ci siamo quasi): 
“E’ un libro di fantasociologia, in cui, dopo aver all’inizio fatto l’elogio del termine contrapposto alle varie aristocrazie e gerontocrazie dominanti, mostra le assurdità di una società in cui ricchezza e potere vengono distribuiti sulla base dei risultati scolastici e ancor peggio dei quozienti di intelligenza. In particolare la scuola finirebbe per rendere la selezione sempre più precoce concentrando sui pochi le eccellenze educative, ed aumentando a dismisura la selezione e la dispersione di quanti non si adeguano agli standard di intelligenza dagli stessi “intelligenti” definiti.”
 Ho ripreso le parole di Andrea Ranieri dal sito Roars, su cui si possono leggere diversi contributi al riguardo.
Come sempre, la battaglia delle e sulle parole è una battaglia contro il mito:
«In our book "The Meritocracy Myth (Rowman & Littlefield, 2004)", we challenge the validity of these commonly held assertions, by arguing that there is a gap between how people think the system works and how the system actually does work. We refer to this gap as “the meritocracy myth,” or the myth that the system distributes resources—especially wealth and income—according to the merit of individuals. We challenge this assertion in two ways. First, we suggest that while merit does indeed affect who ends up with what, the impact of merit on economic outcomes is vastly overestimated by the ideology of the American Dream. Second, we identify a variety of nonmerit factors that suppress, neutralize, or even negate the effects of merit and create barriers to individual mobility.»

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↪ x

L' epilogo del romanzo poi è illuminante....
Mi pare che Trentin negli anni '80 defini' la meritocrazia l' esatto contrario della democrazia.
Pensateci. La cosiddetta società meritocrazia e' la locuzione politicamente corretta per dire società fortemente autoritaria (più è meritocratica più e' gerarchizzata. A beneficio di chi è facilmente intuibile).
Ma di questo ha con la solita capacità parlato il nostro Pedante.
L' " ideologia" meritocratica nasce e cresce nella "cultura" aziendalista.
Immancabilmente un "meritocratico" (oggi il 99virgola% della popolazione; qualche anno fa- ....e tra qualche anno- un po di meno...) vi dirà che "lo Stato deve essere gestito come una azienda (privata)".
Ora.
Io non ho davvero nulla contro la libera impresa privata. Ma è un fatto che una azienda -per definizione- NON è democratica.

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Filippo

Posso chiedere un parere di come si interseca il saggio di C.M. Cipolla sulla stupidità con questo discorso della meritocrazia?
E' almeno auspicabile un governo degli intelligenti, o quantomeno dei furbi?
link

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↪ Il Pedante

Gentile @Filippo, il saggio di Cipolla è importante e ben scritto. Ma va chiarito che in quell'opera l'autore non parla di intelligenza secondo i canoni delle neuroscienze e della psicologia, bensì ne dà una definizione empirica come massimizzazione del vantaggio personale e altrui. In questo senso, volendolo leggere in parallelo a quanto qui ho scritto, il governo o meglio la società degli intelligenti è quella in cui - al MINIMO - tutti siano coscienti del proprio vantaggio. Una società degli egoisti, in sostanza, sarebbe già un enorme passo avanti rispetto a quello in cui la gran parte è persuasa che coltivare i propri interessi sia sbagliato, insostenibile, immorale (perché c'è il debito pubblico e il terzo mondo che bussa alle porte, perché siamo corrotti, scialacquatori, cinici, incompetenti ecc. ecc.). Sarebbe, quantomeno, una società che merita in quanto tale.

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↪ ippolito Grimaldi

@Il Pedante
Una società di egoisti consapevoli ed illuminati, come auspicava Max Stirner più di 170 anni fa, ho capito bene?

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L'immeritocrate

"La meritocrazia piace a tutti"
Aòo, piano con le parole.

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↪ gengiss

Mi pare che la meritocrazia sia un'UTOPIA PERICOLOSA: utopia perché impossibile (cos'è il merito? chi lo decide?), pericolosa perché, come ogni utopia, se si cerca di attuarla realmente si combinano disastri sociali.
Per questo avevamo ideato il principio opposto dell'Uguaglianza, non perché tutti siano uguali, ma perché non spetta allo Stato discriminare le virtù dei cittadini, riconoscendo a tutti pari dignità. E' più giusta una società di uguali, di una società in cui alcuni (che non sono mai i migliori) hanno più diritti di altri.

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↪ la funambola

la funambola il 1 novembre 2010 alle 16:01 (fatto copia incolla di un intervento su un sito di letteratuta molto in odore di dittatura degli intelligenti)
credo che la mutazione antropologica cui stiamo assistendo,che mi lascia sgomenta, sia la corruzione che ha pervaso ogni coscienza, corruzione così profonda che legittima l’idea della sostanziale indifferenza alla sottrazione da parte del sistema della dignità delle persone.
in questa discussione che fatico a seguire per miei limiti mi sembra che manchi un punto di partenza forte, condiviso, la condizione sinequanon.
occore interrogarsi su
cosa significhi essere
cosa significhi dignità
cosa significhi lavoro
cosa significhi prostituzione
cosa significhi merito
quale senso attribuiamo a queste parole
quale ruolo giochino strumenti come internet e la nuova tecnologia che nel mentre ci riversa addosso squintalate di notizie inessenziali e ci dà una parvenza di libertà di aggregazione e di parola e di possibilità di cambiamento, dall’altra funge da controllo sistematico (feisbuc per esempio) calmiere e sfogatoio delle enormi e ormai evidenti contraddizioni del sistema capitalistico.
una volta si diceva lavorare tutti lavorare meno, oggi si dice lavorare per merito, per capitale erotico e chi è fuori è fuori, son cazzi suoi se non sta al passo, se non si adegua, se non è stato baciato dalla fortuna di essere anche piacente esteticamente.
la coscienza di “classe” che prima si formava in luoghi fisici come la fabbrica ora si “forma” in luoghi virtuali?
ma poi di quale classe stiamo parliamo ormai?
c’è da mettere in discussione il concetto stesso di lavoro e di merito.
ora le vite delle persone si chiamano esuberi, risorse umane e con queste parole è passato il concetto di “indegnità”
nessuno osa pensare in modo “radicale” , nessuno, in nome di un “realismo” dei mercati che appartiene alla logica del dieci per cento della popolazione mondiale.
il discorso introdotto da larry sulla massoneria mi inquieta molto
penso che tutto passi sulle nostre teste, e per tutto intendo le cose che determinano il nostro destino e le nostre stesse vite.
sono molto, molto spaventata per i miei figli e per i vostri figli
baci angosciati e in tema con la giornata :)
la fu

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