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Dei diritti e delle pene nell'età del merito


Un recente e appassionato articolo di Frances Coppola mi obbliga a ritornare sul tema del reddito di cittadinanza, già ribattezzato su questo blog reddito di sudditanza. Nella prima puntata mi ero soffermato, tra l'altro, sulle possibili e immaginabili implicazioni della condizionalità sottesa alla proposta, cioè la subordinazione del sussidio all'accettazione di una o più posizioni lavorative selezionate dagli organi di collocamento a pena di esclusione dal beneficio. Sul carattere vessatorio di questa disposizione osservavo che essa non solo integra un'imposizione arbitraria delle regole e dell'etica delle classi dominanti - che con il ricatto della miseria decidono chi meriti il lavoro, quale lavoro debba svolgere e come - ma viola lo stesso diritto umanitario:

Se il lavoro garantisce dignità e indipendenza, l'assistenzialismo crea schiavi. La condizionalità del beneficio è uno strumento di governo degli ultimi dove alla partecipazione democratica si sostituisce il ricatto. Non è certo un caso che fin dall'inizio il dibattito sul reddito di cittadinanza sia stato caratterizzato da letture "meritocratiche", cioè moralistiche e punitive: chi rifiuta un lavoro - qualunque lavoro, a discrezione del proponente - perde il diritto all'elemosina. Chi non dimostra di cercare lavoro, idem. Chi fa lavoretti in nero, pure. La definizione e il controllo dei requisiti apre orizzonti illimitati di potere per il dominus, che può imporre il proprio modello etico-politico e i propri interessi mediante la carota (cioè il bastone) dell'obolo.

E ancora:

... se l'elemosina non è un diritto, lo sono invece il lavoro (Costituzione, art. 4), la sua retribuzione dignitosa (art. 36) e la salute (art. 32). Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, di cui l'Italia è parte e che ha - ci piace dimenticarlo - la stessa obbligatorietà di Maastricht, riprende e amplia i diritti costituzionali includendo il diritto di ogni individuo "alla sicurezza sociale" (art. 9), "ad un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario, ed alloggio adeguati" (art. 11), "alla libertà dalla fame" (ibidem), "a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire" (art. 12). La revoca del reddito di cittadinanza, per qualsiasi motivo e in assenza di misure sostitutive a garanzia dei succitati diritti, non è uno stimolo per costringere i "fannulloni" alla virtù paventando miseria, ma un crimine contro l'umanità: che è poi l'esito puntuale di ogni forma di moralismo collettivo.

Confesso che nel formulare questi logici sviluppi delle premesse mi ero chiesto se non stessi un po' esagerando. Ignoravo a quell'epoca che la mia immaginazione distopica era già realtà nell'Inghilterra del DWP (Department for Work and Pensions), l'ente inglese delegato a gestire i sussidi di disoccupazione. Dal racconto straziante di Frances Coppola apprendo che lì i sussidi sono erogati a condizione che i beneficiari eseguano infallibilmente le istruzioni degli uffici di collocamento e che in caso di violazione, anche minima, degli obblighi comunicati sono applicate sanzioni, cioè sospensioni del sussidio che variano da poche settimane fino a tre anni (!) secondo la gravità. Nel periodo di sospensione il disoccupato deve comunque continuare ad adempiere a tutti gli altri obblighi previsti per non accumulare ulteriori punizioni.

Secondo i dati del rapporto citato nell'articolo le sanzioni sono abnormi, sempre più frequenti e comminate per motivi futili, senza alcun riguardo delle circostanze né soprattutto degli effetti che prevedibilmente produrranno. Si cita ad esempio il caso di un disoccupato che, non essendosi potuto presentare a un colloquio nel giorno della morte improvvisa di sua moglie, è stato sanzionato con una sospensione di sei settimane. O di una disoccupata a cui è stato negato il sussidio per quattro settimane per essersi recata a firmare un modulo nel giorno sbagliato. O ancora, di un cinquantatreenne di Glasgow sospeso per sei settimane per non avere risposto a una telefonata del DWP. Non mancano i casi in cui le violazioni non sono da attribuire alla negligenza degli assistiti ma a disguidi e inefficienze della stessa DWP, un carrozzone la cui "incompetenza è leggendaria" (Coppola, ibi), e dei suoi partner. Così ad esempio un ventenne punito con 23 (!) settimane di sospensione per non avere risposto a una lettera che non gli era mai stata inviata.

I destinatari dei sussidi sono persone disoccupate in gravi condizioni finanziarie, emarginate e spesso portatrici di handicap fisici e mentali. Alcuni di loro sono stati giudicati completamente inabili al lavoro dalle autorità sanitarie. Come possono queste persone sopravvivere e nutrirsi - e a maggior motivo scrivere email, fare telefonate, presentarsi ai colloqui, frequentare corsi ecc. - nei mesi in cui è negata loro l'unica fonte di sostentamento? Semplicemente non possono. Chi può cerca aiuto presso amici e parenti. Chi non può si rivolge alle associazioni caritatevoli religiose o si dà al furto. Oppure si suicida. La frequenza dei suicidi e delle minacce di suicidio ha reso necessario un apposito training del personale DWP, chiamato a dover decidere se il disgraziato di turno intenda davvero togliersi la vita o stia solo bluffando.

Spesso i sanzionati sono padri e madri di famiglia che utilizzano il magro assegno di disoccupazione per mantenere i propri figli. Il rapporto citato stima che circa 100.000 bambini siano stati indirettamente colpiti dalle sanzioni - cioè privati di tutto - nel solo 2014. Centomila. La facilità con cui sono comminate le sanzioni crea angoscia in chi non ha altro per vivere. Il terrore di perdere il beneficio produce depressione e paranoia, aggravando la spirale del disagio.

Frances Coppola denuncia la "crudeltà gratuita" e l'inutilità di queste norme, ma è ancora poco. Questo è sadismo. E non per colpa di una burocrazia elefantiaca e indifferente ai bisogni dei cittadini - magari perché pubblica - ma per effetto di una politica lucidamente perseguita. Lo dimostra il fatto che le sanzioni siano cresciute esponenzialmente negli ultimi anni sia in numero che in intensità per effetto di precisi interventi legislativi. O che il governo inglese si rifiuti anche solo di autorizzare un'inchiesta sull'efficacia delle sanzioni. E lo dimostrano soprattutto le pressioni subite da funzionari e dirigenti DWP affinché intensifichino gli interventi disciplinari e adottino politiche sempre più dure nei confronti degli assistiti.

Appurata la natura criminale - in senso tecnico, non solo morale - di queste politiche, occorre interrogarsi su quali ne siano il senso e gli obiettivi. La risposta facile è che si tratta di un modo per contenere i costi restringendo l'accesso ai sussidi ai più diligenti e motivati. Non solo le sanzioni rappresentano un risparmio in sé, ma spingono anche disoccupati e disabili ad abbandonare definitivamente i programmi di assistenza - per scoraggiamento, disperazione, deterioramento fisico o morte - facendo così risparmiare soldi all'erario. Ma perché ricorrere a uno strumento burocraticamente così complesso quando si potrebbero ridurre direttamente i budget e quindi la platea dei beneficiati? Ammesso che i tagli al welfare giovino all'economia di uno Stato - ipotesi mai dimostrata né dimostrabile - e che la penuria di denaro sia un problema economico delle nazioni sviluppate - mentre ne è invece un deliberato strumento politico - la via assistenziale e sanzionatoria appare in realtà preferibile a un doppio livello: di comunicazione verso il pubblico e di vantaggio politico per le classi dominanti.

Il cinismo delle masse, per quanto bene indottrinate nei dogmi bestiali e primitivi della competizione sociale, non è ancora così cinico da accettare che individui menomati alla nascita siano lasciati morire per strada. Un'opzione tanto più raccapricciante per i più utili e inconsapevoli alleati di queste stesse politiche: la sinistra deamicisiana (dickensiana per gli amici inglesi) che vuole la botte piena del mercato globale e la moglie ubriaca di buoni sentimenti.

Come fare? La chiave è sulla bocca di tutti i gonzi e si chiama meritocrazia. Introducendo tranelli burocratici utili solo a trarre in fallo quei disgraziati, li si fa apparire come inadempienti e quindi irriconoscenti, giustificandone così la disgrazia. Ma come! La collettività li vuole aiutare e loro non si impegnano! Gli abbiamo dato una chance e l'hanno sprecata! Ecco: sono loro che non vogliono essere aiutati, quindi se lo meritano. Dimenticando soavemente che lo scopo dell'assistenza sociale è quello di aiutare i bisognosi, non di sostituirsi al dies irae per separare i giusti dai reprobi. E riproducendo una visione che nel colpevolizzare le vittime decolpevolizza gli aguzzini, tipica di ogni pensiero di sterminio: dagli ebrei cristocidi e usurai ai musulmani terroristi, fino alla Grecia i cui bambini muoiono perché i loro genitori avrebbero sperperato gli aiuti generosamente (?) offerti (??) dalle istituzioni internazionali. Una visione doppiamente gradita in quanto anche consolatoria, che offre a chi ancora gode di un precario lumicino di benessere l'illusione di non essere toccato dalla sorte di chi ha perso tutto: a me non può succedere, io rigo dritto e mi impegno, io!

Ma se quello meritocratico è solo un veicolo per estorcere la complicità delle pecore, il fine - inevitabile se non voluto - dell'etica sanzionatoria va misurato in termini di disciplina sociale e sfruttamento delle classi subalterne. Immaginiamo Audrey, Peter e le altre decine di migliaia di anonimi disoccupati colpiti ogni anno dalle sospensioni disciplinari della DWP. In che modo costoro potrebbero non dico manifestare, ma anche soltanto formulare rivendicazioni per migliorare la propria condizione e pretendere un trattamento più umano? Come può un individuo che deve strisciare per non morire di fame imporre i propri diritti? Tale è la forza della catena disoccupazione-assistenzialismo-sanzione. Una catena che non sta nell'ordine naturale delle cose ma è il prodotto di lucide decisioni politiche. Una disoccupazione funzionale alla deflazione salariale e un sussidio centellinato e negato così da spingere i disperati che vi si aggrappano, resi impotenti dall'umiliazione e dal terrore, ad accettare qualsiasi condizione. Non sbaglia la Coppola quando nel titolo del suo articolo allude al ritorno delle workhouse vittoriane, gli ospizi dove i nullatenenti, gli orfani e i disabili venivano rinchiusi per lavorare praticamente senza salario e in condizioni disumane. È questo l'obiettivo?

Ma veniamo a noi.

Si è visto che anche il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle contiene una clausola di condizionalità concettualmente compatibile con quanto sopra descritto, pur dando atto che al momento le sanzioni previste riguardano solo comportamenti gravemente dolosi (art. 18) e le condizioni sono mitigate da garanzie di dignità (art. 12). Preoccupante è la volontà più volte espressa da Grillo di rimpiazzare gli ammortizzatori sociali con questo nuovo strumento, negando così anche in principio la previsione di reti di salvataggio per gli esclusi. Nel frattempo però la condizionalità si è già insinuata nel nostro sistema di ammortizzatori con l'introduzione della NASpI (nuova indennità di disoccupazione), che prevede l'obbligo di seguire corsi di riqualificazione professionale e iniziative di avviamento al lavoro a carico dei disoccupati. Per carità, nulla di (finora) paragonabile al sadismo made in DWP. Ma il furor sanzionatorio è nell'aria e non ne vanno sottovalutate le avvisaglie. Si è del resto visto come la condizionalità si declini già in genocidio legalizzato nel modus operandi della Troika, alla cui macelleria dovremmo secondo alcuni sottoporci anche noi nell'anno entrante.

Stiamo parlando di salute fisica e mentale, libertà dalla fame e dal bisogno, casa, lavoro e istruzione primaria. Che sono diritti umani inalienabili. Inalienabili: agg. che non possono essere ceduti o revocati a nessuna condizione. Men che meno li si può utilizzare come moneta di scambio o di ricatto per indurre i cittadini a comportarsi in modo virtuoso (?). I diritti fondamentali sono per tutti, non per chi se li merita. Dove naturalmente il perimetro della virtù e del merito è tracciato da chi quei diritti può assicurarseli incondizionatamente imponendo così non solo la propria etica ma soprattutto il proprio interesse: prodotti, prezzi, condizioni di lavoro, livelli salariali, riforme economiche e sociali. La dottrina della conditionality - culturale prima ancora che politica - mette il debole nelle mani del forte e introduce l'orrore della negoziabilità dei diritti minando un impianto giuridico e civile dei diritti umani che include anche la nostra Costituzione e che nasce dalle ceneri di una guerra per scongiurare le condizioni di altre guerre. In ciò ci si avvale di una metastasi del pensiero contemporaneo, la meritocrazia, il cui vero premio si svela qui nel suo inganno: non un miglioramento della propria condizione commisurata all'impegno, ma la grazia (temporanea) di evitare il castigo e di non vedersi negare ciò che a nessun essere umano, per nessuna ragione, dovrebbe essere negato.

P.S. Anticipo subito i commentatori più fuuuurrrbi del tipo "Eh, ma la Coppola alla fine chiede il basic income. Come la mettiamo?". Non ho approfondito la proposta a cui aderisce l'autrice, se non abbastanza per capire che - ovviamente - non prevede né condizionalità né sanzioni. In ciò differisce radicalmente sia dal reddito di cittadinanza dei grillini sia dal FacciamoComeHartzIVCosìDiventiamoFortiComeLaGermagna dei piddini. Posto che dare dignità agli indigenti sia non solo un imperativo etico ma anche nell'interesse concreto della collettività, si può discutere se il trasferimento in conto capitale di un reddito - e non, ad esempio, la creazione keynesiana di lavoro - sia lo strumento anche macroeconomicamente più efficiente. L'opinione di chi scrive è nota.


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Commenti

Un passante

Volevo solo segnalare che il link su "impianto giuridico e civile" link non è più funzionante.
Un grazie per i suoi contenuti.
Cordialità.

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giovanni

il fatto stesso che le sanzioni siano decollate negli ultimi anni dimostra, alla faccia dell'aver "appurato" alcunchè, che il sistema non è naturaliter criminale, altrimenti dovremmo avere sanzioni altissime fin dalla nascita. La realtà è che c'è stata negli ultimi anni la volontà politica di tagliare il welfare state, ma per non farlo apertamente, si è seguito il metodo della rana bollita, ovvero, invece di dire apertamente ai disoccupati che devono crepare di fame, formalmente si mantiene il WS, di fatto lo si demolisce con le multe. Un po' come i comuni italiani che mettono il limite dei 30 km all'ora su strade di grandi comunicazioni per tirare su milioni e poi dire che le tssse locali non sono aumentate.
MA tornando al punto di partenza, l'unica cosa che dimostra il grafico è che lo strumento non è ipso facto contro i lavoratori.

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giovanni

Appurata la natura criminale - in senso tecnico, non solo morale - di queste politiche,
che nel paese col maggior indice di disuguaglianza economica d'Europa, governato da 35 anni da thatcheristi di destra e "di sinistra", i sussidi ai disoccupati siano gestiti come descritto è UN esempio, che non basta ad "appurare" un par de ciufoli.
Qui siamo proprio alle basi della logica.

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ws

Sempre straordinariamente lucido.
Aggiungo solo che essendo ogni uomo un mattone di ogni societa' umana, una societa' "malthusiana" siffatta sara' sempre piu' una costruzione traballante.
E forse non sara' una classica sfida " geopolitica" a far crollare questo edificio sociale , ma comunque bastera' una qualunque crisi "sistemica" a farlo crollare sulla stessa testa delle elites genocide e schiavistiche che cosi' lo hanno voluto.

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a perfect world

Grazie! E' un grande piacere leggerla. Condivido con Mario l'osservazione riguardo la demolizione del senso critico, della comprensione dei concetti, della percezione delle contraddizioni. @Baccio, il cinismo sembra una delle conseguenze della rassegnazione.

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Grazia Pintori

Ancora un post che brilla come un fuoco nella notte.
Questo modo, programmatico di agire serve ad annichilire, umiliare e rendere ancora più muti i poveri, che vengono trattati come malati infettivi da contenere, ma comunque punire perché la povertà, tantopiù nei paesi di cultura protestante, è un segno di colpevolezza. Questi comportamenti delle amministrazioni sono studiati e assolutamente voluti, anche se utilizzati casualmente per indurre incertezza, stress e uno stato di paura cronico. Si puùo parlare di mobbing istituzionale ?
Concludo facendole i miei auguri di buon anno e di un mondo migliore.

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rosa

Nel complimentarmi con l'autore, mi riallaccio a quanto detto da Baccio. Infatti il Pedante ha la lucidità di "unire i puntini da solo" ed aiutare molti a farlo. "Cosa sono "i puntini"?", mi chiedeva mio figlio. Sono riflessioni che nel corso del tempo una persona minimamente ragionevole fa osservando le contraddizioni del sistema, a cui spesso non sa dare una spiegazione razionale, di cui, appunto, sfugge la "ratio". Poi arriva uno come il Pedante e tutti puntini si uniscono a dare forma al disegno. Si può credere che ciò possa avvenire a chiunque, basterebbe che incontrassero un pedante. E invece mi accorgo parlando con colleghi, amici e parenti che troppi non hanno affatto "puntini" da unire. Forse io non so essere abbastanza pedante, ma la povertà umana di molti, che sento di aver sopravvalutato per un'intera vita, mi getta nella disperazione. In loro non vedo neanche il cinismo di chi, pur consapevole delle distonie, le accetta per puro egoismo. Sono d'accordo col Pedante: credono che a loro non può succedere e dà loro un sottile piacere vedere annegare quelli che sono finiti nel gorgo.
Ultimo commento per Dario Cimafonte: "si raccontano innumerevoli storie di frodi" orbene innumerevoli quante? Prescindere dai numeri reali lascia spazio ai miti, che servono a diffondere quella sottile invidia ed astio, che poi permettono alla propaganda politica di attecchire su un terreno già "fertilizzato".

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Alessandro

I soliti 92 minuti di applausi.
Mi permetta di augurarLe buona fine e buon principio, caro Pedante.
La speranza mia (e di molti altri) é quella di poter leggere altrettanto sublimi pedanterie nell'anno venturo.
Complimenti e grazie.

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Marco

Quando ho parlato ad un mio amico del sistema ricattatorio e vessatorio delle sanzioni verso chi riceve il sussidio Hartz (visto in una puntata i Report) lui ha risposto che quale che fossero le vessazioni il solo fatto che queste persone stavano ricevendo gratuitamente un sussidio "non dovuto" era comunque sufficiente a renderle tollerabili.
Il suo argomento potrebbe essere formulato in modo preciso in questi termini:
Confrontiamo le situazioni seguenti:
A) i cittadini non ricevono mai sussidi, possono sostentarsi solo se hanno un lavoro
B) i cittadini possono ricevere sussidi anche non lavorando ma questi sono elargiti con determinate condizioni eventualmente anche ricattatorie e vessatorie
Ora potendo scegliere tra questi scenari (supponendo che le situazioni siano tutte "sostenibili") quale dovremmo scegliere? La risposta "razionale" sembra essere ovvia: la scelta tra A e B deve necessariamente ricadere su B per il semplice motivo che il caso B offre più opzioni del caso A (chiunque nello scenario B può deliberatamente rinunciare al sussidio e rientrare nel caso A).
E dunque il sussidio con condizionalità costituisce in ogni caso un miglioramento delle condizioni di vita di tutti se si parte da uno scenario in cui non c'è... come è possibile parlarne come di una barbarie? Sembra assurdo e paradossale.
Io personalmente non so quale sia il modo più corretto di sciogliere questo apparente paradosso ma ho un paio di idee:
1) normalmente in un sistema privo di ammortizzatori sociali/sussidi il "dramma" esiste comunque ma è più facile ignorarlo, il sistema del sussidio con condizionalità "sposta" i problemi ad un livello di maggiore visibilità perchè un povero disoccupato che muore di stenti fa meno scalpore di un benestante sussidiato che diventa povero per un capriccio burocratico (le origini della disoccupazione nel primo caso sono ben nascoste, il capriccio burocratico invece ha una catena di responsabilità ben visibile)
2) il sussidio condizionato non è un "regalo" ma ha un prezzo che non è facile da vedere. Per fare un esempio: se quella stessa cifra che viene spesa in sussidi la si usasse per mandare in pensione prima i lavoratori si libererebbero posti di lavoro e quindi molte persone sotto sussidio "condizionato" potrebbero vivere da lavoratori non sussidiati che sopravvivono dignitosamente senza "dovere" niente a nessuno e quindi non ricattabili

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Baccio

Innanzitutto i doverosi complimenti per l'ennesimo capolavoro: se da una parte leggere pezzi del genere mi atterrisce, dall'altra la consapevolezza che esistono persone in grado di ragionare con tale lucidità mi infonde speranza.
Detto questo, abbandono per un attimo il mio ruolo di lettore passivo per condividere una riflessione, per quanto marginale: quanta parte dell'accondiscendenza al reddito di cittadinanza, mi chiedo, è dettata dall'illusione del "a me non può succedere" e quanta, invece, dalla consapevolezza del "può succedere anche a me"?
Perché purtroppo siamo sempre più invischiati in una società in cui imperversa (ma questo non devo certo spegarlo a Lei) la nefasta "signora TINA"; in cui ogni scelta politica viene presentata come inevitabile conseguenza di sottostanti leggi economiche imprescindibili, artatamente elevate al rango di leggi di natura; in cui il senso di precarietà, anche quando non sia già una condizione effettiva, sta diventando pervasivo, alimentato dalla consapevolezza che ci sono mille disgrazie che possono arrivare, all'improvviso, da mille direzioni diverse.
Certo, le alternative ci sarebbero, e praticabili, ma la maggior parte delle persone non ne viene a conoscenza, anzi, è costantemente bombardata da informazioni distorte (quando non addirittura false) ma singolarmente verosimili, per quanto contraddittorie nell'insieme. E purtroppo sono pochi quelli che hanno la fortuna, come il sottoscritto, di trovare chi li aiuta a "unire i puntini", e pochissimi quelli in grado di farlo da soli. In un tale contesto mi sembra quindi plausibile, anche comprensibile, di fronte alla paura per il proprio futuro o, peggio, per quello dei propri figli, abbandonarsi a dire “meglio il reddito di cittadinanza che niente”.
In sintesi, mi chiedo, predomina il cinismo o la rassegnazione?
E comunque non so decidermi su quale delle due risposte sia peggiore.

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Mario

Viviamo un'epoca in cui tutto è trattabile, rigorosamente al ribasso, inalienabile è ormai un aggettivo che svuotato di ogni significato. A molti mancano gli strumenti culturali per comprendere i concetti che sono dentro le parole che li descrivono. Hanno distrutto il senso critico e la conoscenza del popolo prima di distruggere il popolo stesso, oggi anche fisicamente, trovo difficilissimo immaginare un modo innescare una inversione di tendenza. Sono immensamente grato a chi, come lei, racconta l'ovvio, mi ricorda un artista che celava monumenti noti, ne faceva risalire alla memoria la visione nella mancanza, rivedevi quello che veniva sapientemente e volutamente occultato.

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Dario Cimafonte

Anche in UK si raccontano innumerevoli storie di frodi, gente che avrebbe portato avanti famiglie numerose senza mai pagare un affitto o cercare davvero un lavoro ecc. Al netto di ricami e invenzioni, il sistema delle conditionality premia a mio avviso proprio chi un reddito occulto ce l'ha, e può più facilmente adempiere alle prescrizioni date o incamerare una sanzione senza troppi problemi.

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