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Paura della paura


Su questo blog ci siamo occupati spesso della paura come strumento di governo. In Come si fabbrica un terrorista abbiamo documentato come l'intelligence interna americana organizzi e finanzi finti attacchi terroristici commissionandoli a disadattati che si vanterà in seguito di avere arrestato. In Dovete parlare di guerra civile abbiamo abbozzato una grammatica della paura decostruendo un'intervista di Enrico Letta, mentre in #facciamocome Israele si è osservato come l'esempio dello stato di Israele - il più colpito dal terrorismo tra le nazioni economicamente avanzate - sia paradossalmente indicato come un antidoto al terrorismo alludendo direttamente alla necessità di vivere nella paura dell'altro e di riconoscere poteri sempre più ampi alla sorveglianza di Stato.

Sullo stesso tema ci siamo recentemente imbattuti in una copertina di fine luglio del settimanale Sette. Qui campeggiano il mezzobusto del DJ parigino David Guetta in tuta mimetica e un titolo a caratteri cubitali gialli: "Ma io non ho paura". Più sotto: "Il terrore è parte della nostra vita, è come se non fossimo liberi di essere felici ecc.".


C'è evidentemente un problema: se il terrore è un "sentimento di forte sgomento, di intensa paura" (Garzanti), come può il suo essere "parte della nostra vita" conciliarsi con il fatto di non avere paura? Non può, appunto.

La contraddizione ricorre nella retorica post-terrorismo, che mentre carica con una mano il piatto della paura paventando rischi improbabili e scenari da guerra civile, con l'altra invita il gregge a non disperdersi e, anzi, a ostentare la propria misera routine come un eroico presidio: di resistenza e resilienza, di sberleffo al nemico. Sicché dovremmo immaginarci la rabbia dei mujaheddin - e non già una più verosimile noia - qualora si sintonizzassero sui tunzi tunzi di Guetta.

Perché si intende: la paura e il nemico servono ad affermare la disciplina, non il caos. Alla pars destruens degli spauracchi in prima pagina deve seguire la pars costruens dei richiami alla responsabilità e all'ordine, cioè all'obbedienza. Il trauma ha da essere fertile come un terreno sconvolto dal vomere, pronto ad accogliere i semi di chi coltiva il consenso. Alla paura subentra così il suo falso antidoto, che la moltiplica nella promessa di risolverla: la paura di avere paura.

Il timore della paura scaturisce dall'esigenza di non mostrarsi deboli in un ambiente competitivo. È un bisogno ancestrale e indifferente ai caratteri e ai valori degli individui, che affonda il suo imperativo nell'istinto di sopravvivere agli altri: i predatori e i nemici ieri, gli avvocati, i superiori, i colleghi, i cosiddetti amici oggi. Nel regno animale di cui siamo cittadini una debolezza percepita è più letale di una debolezza reale. Perciò nel linguaggio corrente l'epiteto di "debole" ferisce più di ogni insulto: perché insinua menomazione, parassitismo, inadeguatezza alla vita.

Nel modello socio-economico contemporaneo la competizione non è solo nei fatti, ma è celebrata anche nei principi. Di più: è fabbricata e imposta anche laddove non dovrebbe esistere. La scarsità monetaria delle banche centrali indipendenti costringe le economie nazionali a strapparsi l'un l'altra le risorse per procrastinare il collasso, mentre la scarsità occupazionale crea guerre e invidie tra giovani e vecchi, alloctoni e autoctoni, dipendenti pubblici e privati, imprenditori e sottoposti, cittadini e politici, tutti a invocare l'impoverimento altrui nell'illusione di salvarsi pasteggiando sulle carcasse del prossimo.

Di pari passo crescono le paure: del futuro, dei debiti, della vecchiaia e della malattia, dell'impossibilità di sostenere i propri cari, di perdere la casa e il lavoro ecc. Paure giustificate e sacrosante, che svolgono la funzione per cui la paura esiste: quella di segnalare un pericolo, di figurarci in anticipo un danno sì da poterlo analizzare ed evitare per tempo.

Sicché ad esempio, in assenza di contromisure dialettiche, il timore degli attacchi terroristici spingerebbe le popolazioni colpite a indagarne razionalmente le cause. Come minimo, suggerirebbe loro di non insistere con le politiche che da vent'anni falcidiano le libertà degli occidentali e le vite dei mediorientali, ma non quelle di chi piazza le bombe.

E la paura per la propria sicurezza economica produrrebbe una critica dei capisaldi ideologici e delle istituzioni che la minacciano. Chi rischia la disoccupazione e l'indigenza chiederebbe più tutele, chi dispera di ricevere una pensione si interrogherebbe sul senso di una finanza pubblica asservita ai già ricchi, chi teme il fallimento o il licenziamento reclamerebbe protezione per le imprese e denuncerebbe i danni di una politica monetaria e fiscale che consegna il mercato alle produzioni straniere. E qualcuno - non voglia il Cielo - potrebbe finanche decidere di non rispettare le leggi che gli portano danno.

Ma nulla di ciò accade. Perché, per fortuna di chi impone queste politiche, la contromisura dialettica esiste ed è appunto la paura della paura, che da residuo antropologico diventa il fulcro di una retorica per convincere le vittime a desiderare il proprio svantaggio. Vediamo come.

Innanzitutto presentando loro i pericoli certi della precarietà e della desertificazione dei diritti come una sfida appassionante per mettersi in gioco, dimostrare il proprio valore e, con tanto impegno e un pizzico di fortuna, ambire a un premio ben più appagante delle loffie tutele del passato. Le bombe diventano così la sfida dei terroristi all'occidente, il crollo dei salari e la morìa delle imprese la sfida della globalizzazione, la crisi delle PMI la sfida dell'innovazione, la morte della democrazia la sfida dell'integrazione, l'aumento delle tasse e la soppressione dei servizi di base la sfida del risanamento, l'aumento delle spese energetiche, sanitarie e autostradali la sfida del mercato, l'attacco alla Costituzione e in genere qualsiasi riforma, anche la più criminale e demente, la sfida del cambiamento.

Il senso di questo maquillage semantico si intuisce dai suoi effetti: se il cambiamento imposto dall'alto è una sfida, chi vi si sottrae dal basso è un vigliacco. Così i più giovani che non accettano paghe da fame sono choosy e quelli che, avendole accettate, dormono dai genitori per non dilapidarle in una topaia in co-housing, sono bamboccioni. Gli imprenditori che non investono hanno paura del futuro, i lavoratori che sperano in uno stipendio sicuro hanno paura di mettersi in gioco e, se vogliono proteggersi da un licenziamento arbitrario, temono il merito. Chi difende i diritti conquistati dai padri vuole vivere di rendita, chi dubita che la corruzione strombazzata dai giornali stia in cima ai problemi del nostro Paese ha qualcosa da nascondere, chi non vuole cedere la sovranità dei popoli alle lobby euroatlantiche si rinchiude nel proprio orticello.

Questa aggressione morale non conosce limiti, né vergogna, tanto da insinuare apertamente la malattia psichica di chi resiste all'agenda di regime. Superati i confini degli ambulatori psichiatrici, la fobia entra nel linguaggio comune e si fa suffisso da appiccicare ai critici dei diritti cosiddetti civili (omofobi) e della deportazione del Terzo Mondo in Europa (xenofobi) con i suoi corollari di morte per mare, sfruttamento, delinquenza e conflitto sociale. Trattandosi di persone malate che hanno paura del diverso, le loro previsioni non contano: neanche se sono vere.

Per rendere più credibile la manipolazione occorre infine dimostrare alle vittime che la sfida è sì difficile e pericolosa, ma non impossibile, e che il premio vale comunque il rischio. Soccorre all'uopo il dispositivo dialettico del #ChiCeLaFa, già analizzato su questo blog, che amplificando (o inventando) i rari casi di successo ingolosisce i perdenti, ne occulta la normalità del fallimento e suggerisce loro un messaggio: che chi perde deve incolpare se stesso, non il sistema. Che le opportunità non mancano per chi se le merita. E che la rovina degli altri è un'occasione per elevarsi sul mucchio. Un messaggio degno di una lotteria dove le autorità, invece di denunciare i rischi del gioco, promuovono la ludopatia, illudono i sottoscrittori e chiedono sangue e diritti in cambio di un biglietto che non sarà mai estratto.

Per non peccare di astrazione, oltreché di pedanteria, agevoliamo nel seguito pochi esempi tra i tanti, incominciando da quello forse più famigerato. Qui un accademico con doppio nome e doppio cognome si scaglia contro i "figli di papà col culetto al caldo" che difendono i diritti ereditari:


Secondo il professore non bisogna temere l'esproprio dei beni di famiglia, ma al contrario temere che esso non avvenga, perché ciò farebbe di noi dei codardi. L'idea sarebbe insomma quella di cedere un bene reale in cambio di una qualifica morale. E senza chiarire dove sia dimostrato che gli ereditieri sarebbero meno competitivi di chi non riceve nulla dagli avi, indirizza il suo attacco a un istituto - quello della successione - riservato di norma alla classe media, i cui membri dovrebbero ricominciare dalla miseria a ogni giro di giostra mentre i patrimoni delle dinastie dei più ricchi continuerebbero a trasmettersi intatti nei trust, nelle società di comodo e nelle giurisdizioni più esotiche, come avviene da secoli.

Perché è chiaro, la paura della paura è rigorosamente pro domo dominorum. Sul Corriere della Sera del 22 giugno 2015 Francesco Giavazzi si chiedeva:

Perché queste reti [elettriche, del gas, della banda larga] devono essere pubbliche? Di che cosa abbiamo paura? Che il Fondo Sovrano di Singapore, che sarebbe interessato ad acquistarle, smonti i tralicci elettrici e li sposti in Asia?

La paura evocata è volutamente grottesca e inaudita per insinuare la paranoia di chi si oppone alla privatizzazione delle reti. Nessun cenno invece al timore di un aumento verticale delle tariffe a beneficio di pochi speculatori sotto l'egida del regolatore (qui un nostro saggio sul tema). Essendo quest'ultimo razionale e confermato dai precedenti storici, scombinerebbe l'apologo del mercato.

Scrivendo di riforma scolastica, Fabrizio Forquet esibiva sul Sole 24 Ore del 6 maggio 2015 un catalogo di fobie da manuale DSM:

[Titolo: Se la scuola ha paura di autonomia e merito] Chi ha paura del merito? Chi ha paura della valutazione? Chi ha paura di una governance che privilegi la qualità dell’insegnamento e l’efficienza organizzativa?

Attribuire alle posizioni degli avversari moventi patologici e/o emotivi consente di non affrontarne le critiche e di evitarne così le buone ragioni. Ancora più esplicito Giampaolo Galli:


L'inversione è ormai completa: il timore degli strapoteri concessi alle multinazionali sarebbe in realtà un pretesto per veicolare una più opportunamente irragionevole "paura dell'altro".

Concludiamo questa rassegna con le parole di un economista di tutt'altra scuola, il prof. Gustavo Piga, che a proposito di uscita dalla moneta unica scriveva quanto segue:


Qui siamo oltre. Qui l'adeguatezza e l'opportunità dello strumento economico non contano più nulla. Diventa una questione di machismo, di eroi e di perdenti che disertano il fronte, e di chi ha il coraggio di restarci dentro per guadagnarsi il rispetto dei commilitoni.

***

La paura è un meccanismo fisiologico prezioso che ci aiuta a prevedere le minacce e a schivarle: siano esse fisiche, morali o politiche. Chi ascolta la paura trova i modi per difendersi e per difendere il proprio interesse. Sicché predicare la vergogna della paura mira appunto a disinnescare questa salvaguardia naturale per espropriare le vittime facendo leva sul loro amor proprio.

La strategia è in fondo primitiva come lo sono gli obiettivi di dominio di chi se ne giova. Ma come tutte le cose semplici è anche straordinariamente efficace e dimostra quanto il bisogno di inclusione e rispetto dell'homo socialis prevalga sulla ricerca stessa del proprio vantaggio. Anche in questo caso, come nei tanti già descritti altrove (qui un catalogo ragionato), le tecniche di spoliazione delle classi dominanti fanno leva sui bassifondi irrazionali degli spogliati e li chiamano a collaborare al proprio declino.

In quanto a noi, per non essere altrettanto primitivi, cederemo educatamente il posto a chiunque ci sfidi a tuffarci nel baratro. Per farci confidare che sì, il suicidio è una prova di coraggio, ma solo se è praticato dagli altri.


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Commenti

gengiss

Strano lo scivolone di Piga, che di solito è dalla nostra parte.
Andrebbe contestualizzato: forse intendeva dire che, anche se l'Italia esce dall'euro, rimane comunque vincolata dai parametri di Maastricht, Fiscal compact ecc. ? Obiezione però debole: molti "sovranisti" chiedono di uscire anche dall'Unione europea (Italexit come la Brexit)

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↪ Il Pedante

Sta sopravvalutando l'uomo.

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Barbara Berni

Grazie per i suoi post che con una acutezza e lucidità rare ci aiutano a tenere la rotta e a districarci nelle complessità di pensieri e correnti che paiono a prima vista irrilevanti o senza senso, ma in realtà hanno un filo logico nel bene e nel male. E così anche un piccolo innocuo corto animato mi pare un piccolo tassello di questa marcia verso la desolazione!
link

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MimmoLimmo

Non riesco a concentrarmi per un commento se non risolvo questa cosa.... Ma scusate come fa un articolo pubblicato il 18/10 come si legge qui sopra ad avere commenti postati dal 10 di Ottobre?
Mah
In ogni caso sarebbe carino aggiungere ad una fenomenologia della grammatica della propaganda giornalistica, che e' assolutamente incontestata, un minimo d'interpretazione che ci indichi attraverso quali meccanismi si giunge ad un quadro cosi diffuso (voluto, non-voluto, pseudo manipolato) e nel caso quale sarebbe il progetto, la finalità... E quali le evidenze a carico di una simile tesi....

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Maccio

Il fratello ha la varicella, asilo nido in allarme per bambina: "Tenetela a casa". Caso nel Chianti
A volte produrre paura si ritorna contro chi l'ha provocata, anche se l'effetto è comunque deleterio per tutta la collettività
Succede in provincia di Firenze. La sorellina non è vaccinata: la scuola chiede alla famiglia di non esporre gli altri piccoli non ancora immunizzati
di MICHELE BOCCI
Il fratello ha la varicella, asilo nido in allarme per bambina: "Tenetela a casa". Caso nel ChiantiUNA piccola comunità, un bambino non vaccinato che prende la varicella e tante famiglie che si preoccupano per i loro figli e chiedono che la sorellina del malato non vada all'asilo nido. In uno dei comuni del Chianti il sindaco, l'ufficio di igiene e i pediatri stanno avendo diversi grattacapi per risolvere un caso nato dalla sempre più diffusa diffidenza verso lo strumento di prevenzione sanitaria.
A prendere la varicella è stato un bambino che frequenta la scuola materna. I suoi genitori non gli hanno fatto il vaccino quadrivalente (che si chiama Mprv perché copre da morbillo, parotite, rosolia e varicella), la cui prima dose si inietta intorno ai 14-15 mesi di età e per il quale viene fatto il richiamo a 5-6 anni. Il motivo di questa scelta sarebbe legato a reazioni verso il vaccino esavalente, che invece si fa nei primi mesi dopo la nascita, che quel bambino avrebbe avuto da piccolo. I suoi compagni di classe hanno tutti l'età per essere vaccinati (ma non è escluso che qualcun altro non sia coperto per scelta dei genitori) e quindi lì nessuno ha fatto questioni. Il problema è sorto nell'asilo nido dove va la sua sorellina.
Qui infatti ci sono alcuni alunni che la vaccinazione non l'hanno fatta perché sono ancora troppo piccoli. I genitori si sono preoccupati, temono che la malattia venga trasmessa ai propri figli. In certi casi, inoltre, qualcuno di questi bimbi più piccoli avrebbe anche dei fratelli o delle sorelle di pochi mesi, ai quali la malattia potrebbe passare in seconda battuta. Insomma, dalla scuola sono stati avvertiti il sindaco e i pediatri della zona, che a loro volta hanno interpellato l'ufficio di igiene dell'azienda sanitaria della Toscana centrale. La varicella, come tutte le malattie esantematiche, in certi casi, anche se rari, può portare a complicanze. Tra l'altro può essere pericolsa per le donne incinte, in particolare all'inizio e alla fine della gravidanza, ovviamente se non hanno avuto già la malattia, cosa che copre da successivi contagi.
Autorità sanitarie e Comune hanno pensato a cosa fare per convincere la famiglia a non mandare al nido la sorellina del malato nel periodo dell'incubazione della malattia, cioè un paio di settimane, così da escludere la possibilità di un contagio, sempre che anche lei sia stata colpita. Addirittura si è valutata l'ipotesi di fare un'ordinanza specifica (cosa resa possibile anche perché non si sta parlando di scuola dell'obbligo), poi si è optato per una linea morbida. Cioè si è pensato di parlare con la famiglia, spiegare la situazione e chiedere di evitare rischi di contagi tra i più piccoli.
Non è ancora chiaro cosa abbia deciso di fare la coppia. Nel frattempo altri genitori hanno contattato i loro pediatri. Qualcuno già ieri si è presentato in ambulatorio per anticipare la vaccinazione mprv dei figli. La prima ma in certi casi anche quella di richiamo. Del resto lo stesso ufficio di igiene
avrebbe sollecitato, per i bambini vicini nell'età giusta, di anticipare di un po' il richiamo.
Proprio nel Chianti, a San Casciano, una bambina immunodepressa e quindi impossibilitata per un certo periodo a vaccinarsi, nei mesi scorsi era stata costretta a lasciare la scuola perché i genitori di alcuni dei suoi compagni avevano deciso di non fare i vaccini, cosa che l'avrebbe esposta a malattie che nel suo caso sarebbero state ancora più violente.

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Gavino Sanna

Ecco servita una paura quotidiana:
link
Torino, arrivati in Piemonte 13 mila migranti: 1000 quelli assistiti dai Comuni
I dati del dossier sull'immigrazione. L'assessora Cerutti: bisogna vincere la paura

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a perfect world

Grazie grazie grazie. Non mi vergogno a dir di provare un senso di piacere fisico a leggerla. Non è che ci starà manipolando? Vabbè, si vive ricercando il piacere, e libertà è scegliersi chi seguire.

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Nicola

Semplicemente grazie. Pensavo di esser il solo a pensarlo. Viviamo ormai in una società che vanta il motto "fotti il prossimo tuo come non vorreati essere fottuto te" e se non lo fai sei un codardo, un perdente. Rimpiango i tempi in cui valori come il rispetto dell'altro e l'altruismo erano valori positivi. Ora dobbiamo vivere guardandoci di sbieco come iene fameliche pronte ad esultare della malasorte di un altro. Peccato, potevamo fare molto... la nostra avidità ci porterà all'estinzione. Ma forse è meglio così.

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Andrea Evangelista

Insomma il suo è u
“Dire che una parziale modifica della costituzione, conseguita in un modo così costoso per il bilancio pubblico, sarà molto benefica per la crescita economica e sociale dell’Italia è una valutazione che non posso accettare. Se prevarrà il sì avremo una costituzione riformata, forse leggermente migliore della precedente, ma avremo con essa l’approvazione degli italiani a un modo di governare le risorse pubbliche che pensavo il governo Renzi avrebbe abbandonato per sempre, come ha fatto meritoriamente con gli eccessi della concertazione tra governo e parti sociali. Speravo che fosse arrivato il momento in cui gli italiani potessero essere e sentirsi adulti, non guidati dalla mano visibile del potere politico”.
Mario Monti oggi

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↪ luigiza

Gentile @Andrea Evangelista,
Alle argomentazioni, quanto mai fantasiose, per non dire faziose, di M3 bene risponde Persio Flacco qui:
La trappola partitocratica referendaria spiegata da Persio Flacco

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Palmiro c T

Questi fatti accadevano già venti anni fa sotto i governi degli attuali paladini del “NO”. Viene da chiedersi: dove eravate tutti, cari compagni? Forse dietro qualche scrivania a fregarvi le mani perché non eravate travolti dagli eventi? O in pausa caffè davanti alla macchinetta a denigrare e deridere l'interinale/co.co.co di turno? Oppure a pigolare a pagina undici de L'Unità? Questa continua elaborazione e pelosa trasformazione della sinistra da “tutto” a “contrario di tutto”, soltanto per non togliere mai il disturbo, ha veramente stufato.

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↪ Il Pedante

Chi sarebbero i cari compagni?

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L'Im.

Volendo buttarla in uno slogan (sicuramente già usato): l'unica cosa di cui hanno davvero paura è che non abbiamo paura. Quindi, almeno una freccia al nostro arco ce l'abbiamo.

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ws

"tanto da insinuare apertamente la malattia psichica di chi resiste all'agenda di regime "
questo fu fatto anche ne l' URSS terminale ma non gli porto' bene 😎

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Citodacal

Leggo oggi, per la prima volta, cosa pensava il marchese di Vauvenargues del coraggio (dal testo “La conoscenza dello spirito umano”, XLV, di Luc de Clapiers de Vauvenargues) e, come sempre, colgo l’occasione come spunto di riflessione da esperire, e non come assoluto simulacro di verità:
“Il vero coraggio è una di quelle doti che maggiormente presuppongono la magnanimità. Ne registro di molti tipi: un coraggio contro la fortuna, che è filosofia; un coraggio contro le miserie, che è pazienza; un coraggio in guerra, che è valentia; un coraggio nelle imprese, che è ardimento; un coraggio fiero e temerario, che è audacia; un coraggio contro l’ingiustizia, che è fermezza; un coraggio contro il vizio, che è severità; un coraggio di riflessione, di temperamento ecc.
Non è consueto che un uomo riassuma in sé tutte queste doti.”
Siccome mi pare che il presupposto della magnanimità latiti alquanto nelle proposizioni dei vari deputati, economisti e uomini col doppio-triplo cognome riportati dal Pedante in questo post (1), e che nessuna delle doti elencate dal de Vauvenargues possa realmente appartenere loro, almeno in questo contesto, mi chiedo dunque se il loro presunto coraggio non sia da attribuirsi ai vantaggi che l’attuale posizione renda a ciascuno di loro o, piuttosto, che la veemenza del loro linguaggio non dipenda soltanto da arroganza ed alterigia.
Non resta quindi che accompagnarli cortesemente, nel migliore dei casi, ad “andare a fare” da quelle parti specifiche, senza dover peraltro pregarli di muoversi, poiché vi si sono collocati da lor stessi; nel medio dei casi, auspicare per loro quell’educativo e provvidenziale cazzotto sulla faccia di cui parlava Roberto Buffagni nel suo commento; nel peggiore, di lasciar fare alla sorte.
(1) sempre che non si debbano tenere corsi di recupero per provare a suggerire cosa significhi davvero il termine “magnanimità”, assai spesso confuso con quella grandeur filantropica ch’è soltanto spocchia e pienezza di sé.

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Bombadillo

Carissimi,
mi unisco anch'io al coro di complimenti al nostro Ospite, per questa boccata di aria fresca.
Dal punto di vista della mia materia, posso segnalare come la questione della fobia sia arrivata ad una contraddizione senza precedenti, con la pretesa di inserire, nel codice penale, un'aggravante della c.d. omofobia.
Insomma, si vuole vincere due volte.
La prima, perché deve passare il messaggio che chiunque, per qualsiasi ragione, non sia "gay-friendly", abbia paura degli omosessuali, perché, in realtà, omosessuale latente.
Qui il ricatto è chiaro: caro amico, non dire nulla che non sia gay-friendly, altrimenti vuol dire che hai paura di loro, e quindi, in definitiva, che, in fondo in fondo, sei solo un vigliacco, omossessuale latente, che non vuole riconoscerlo neppure a se stesso.
La seconda perché, con gusto del paradosso, si vuole far diventare una fobia...un'aggravante.
Ovviamente, le fobie sono cause di esclusione (o comunque diminuzione) della pena, non di un loro aggravamento. Se Tizio, claustrofobico, rimane bloccato nell'ascensore, ha una crisi di panico, e tira un pugno in faccia al malcapitato Caio, che ha l'unico torto di aver preso l'ascensore con lui, la sua infermità potrà renderlo non punibile per le lesioni personali...e di certo non più punibile.
D'altronde, l'homosexualfobia, negli USA, dove da tempo e considerata dalle Corti, è appunto una insanity defence, che si applica a seguito di avance omosessuali nei confronti di omossessuali latenti.
Tizio fa delle avance (magari violente o comunque insistenti) omosessuali a Caio, omosessuale latente, e perciò affetto da homosexualfobia. Caio le respinge ma, per via della sua fobia, le respinge in maniera scomposta ed eccessivamente violenta, a limite (c'è diversa giurisprudenza su questo), uccidendo Tizio. Ebbene, in virtù della sua fobia, non rispondere di omicidio di primo grado, ma di terzo, o non risponderà proprio...non è che sarà punito di più.
Ho portato questo esempio perché mi pare che quanto evidenziato dal Pedante, per qualche ragione che ancora dobbiamo investigare, trovi il suo culmine -tanto da portare al paradosso summenzionato- proprio in Italia. Sono certamente meccanismi posti in essere anche negli altri Paesi occidentali, e che, anzi, sicuramente abbiamo importato dagli USA ("patria" delle lobby transnazionali), ma che in tale Paese non arrivano agli eccessi manifestamente irragionevoli che li caratterizzano in Italia.
Insomma, da questo speciale punto di vista, siamo il Paese peggiore del mondo, e dovremmo tentare di capire perché.
Tom Bombadillo

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↪ epifaniog

Un apporto estremamente pertinente. Mi sembra molto opportuno far notare che un disturbo della personalità non è motivo di aggravamento della pena, ma bensì di sua attenuazione. Ciò dovrebbe essere chiaro ai nostri giuristi, ma non sembra lo sia. Anche perché di fatto se si volesse purgare veramente chi osa dissentire dalle politiche e dalle ideologie omofile basterebbe l'aggravante del "futile motivo". Visto il livello della nostra magistratura, troverebbe una facile applicazione.

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mikez3

Un paio di note a margine.
1. Direi che il messaggio, da Letta in poi, è arrivato forte e chiaro: abituatevi! Gli attacchi terroristici continueranno.
A questo livello di comunicazione peraltro non credo si possa manco parlare di double bind: il primo messaggio è l'atto terroristico; il secondo, che è il meta messaggio di Letta e company, cioè l'istruzione per la plebaglia su come interpretare il primo messaggio, il terrorismo, è appunto quello di abituarsi, perché è inevitabile. Non mi sembra una comunicazione paradossale (diverso il caso dell'intervista a Guetta), anzi.
2. Quando il gioco si fa duro, quando si arriva al dunque, il sapere dei sofocrati evapora, si disigilla come neve al sole, e lascia posto alle antiche strutture del comportamento umano: nel caso specifico quando i tre Nobili Cavalieri della Cattedra Rotonda citati dal Pedante cianciano di coraggio, eroismo e paura, sempre col loro culetto al caldo, lo fanno in realtà più che altro per mancanza di altri argomenti. Ma resta sintomatico.
Basti pensare ai peana che si sollevano quando c'è una crisi bancaria: "è un problema di fiducia, è un problema di credibilità… etc. etc." Quei codici dell'onore, dell'eroismo, e del dono, che sono stati fatti uscire dalla porta sostituiti dal sapere degli esperti rientrano dalla finestra nel momento della crisi.

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Citodacal

Nella prefazione all'edizione italiana de "Il Signore degli Anelli" l'ostracizzato Elémire Zolla scriveva che non si deve affatto confondere la spinta del prigioniero ad evadere con la diserzione o la fuga del soldato. Attualmente non si confonde affatto l'una cosa con l'altra: si sovrappone a bella posta la seconda alla prima annichilendone, sino alla scomparsa dei tratti, la liceità morale - qualora il prigioniero sia detenuto ingiustamente - e l'identità umana di voler rifuggire quello che, dopo assodata riprova, appare assurdo e insopportabile.
In Hagakure, Tsunetomo scrive che il coraggio è saper stringere i denti. Ora, i denti si possono stringere anche per sopportare il freddo - e dunque dovremmo scorgere uno scampolo di coraggio anche in una reazione all'apparenza così banale -, ma è sufficiente una giornata invernale particolarmente rigida per sperimentarlo, senza dover ricorrere alla mancanza di metano nelle abitazioni. A dispetto dei luoghi comuni sulla cultura giapponese tradizionale, un samurai cercava di guardarsi anche e soprattutto dalla stupidità, la propria come l'altrui, al punto che uno dei precetti del Bushido recita: non ho nemici, l'imprudenza è il mio nemico. Che la cultura moderna abbia trasformato i guerrieri del Sol Levante in fanatici privi di senno, disposti ad abdicare acriticamente a ogni cosa pur di compiacere il proprio signore, fa parte del gioco ambiguo e malsano che vuole le circostanze perfettamente bianche oppure nere, alla superficie, per poi invece mescerle nelle infinite tonalità di grigio dietro alle quinte.
In tempi recenti invece, un ex-membro dei famigerati SAS britannici ha scritto, sotto pseudonimo, di avere considerato come uno degli atti di coraggio più elevati della prima Guerra del Golfo il comportamento d'un sottufficiale suo collega il quale, scodellato dall'elicottero con la sua squadra in una zona calda dietro alle linee nemiche, aveva valutato impossibile il compiersi della missione e si era affrettato a richiamare il velivolo per caricarvi nuovamente armi, bagagli e compagni, rientrando alla base.
Com'è possibile osservare dunque, esistono molte altre possibili coniugazioni del senso attribuibile al coraggio, che non siano il mero darsi fuoco per vedere quanto tempo impiega l'epidermide a incenerirsi, e quanto si sia saputo virilmente resistere nel procedimento; in effetti si pensa al coraggio come a una forma d'ostentazione - il che si traduce spesso in un valore sociale di dubbio fondamento reale -, ma in svariate occasioni lo stesso coraggio mostra di possedere piuttosto il dono della discrezione.
Quanto al sottoscritto, dopo anni di ricerche individuali è giunto al punto di considerare come coraggioso l'interrogarsi seriamente e costantemente su cosa sia da ritenersi veramente coraggioso.

Rispondi

Sergio

Non ho parole per ringraziarla per quello che sta facendo
Mi viene a mente, per il suo lavoro, una citazione se non sbaglio di George Orwell " nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario".
Saluti
Sergio

Rispondi

↪ Luca Baldassi

Gentile @Sergio,
non per rubare il mestiere al Pedante stesso, ma le faccio notare che la citazione da lei proposta campeggia GIA' nell'homepage di questo blog :)
Saluti
Luca

Rispondi

tiziana

Lo scenario delineato è, a sua volta, spaventoso.
Va da sé che la ristrettissima minoranza dei lettori che ha letto questo articolo o che lo leggerà comprendendolo (e chissà se io stessa l'ho compreso) ne farà una digestione lenta a mo' di protezione gastrica.
Per tutti gli altri (compresa quella parte di me un po' sgomenta) suggerisco e chiedo una chiosa 'come fare per'.
Grazie, tt

Rispondi

Fabrizio Bertini

Svergognano la paura perché la paura, presa alle dosi ottimali, produce movimento: attacco oppure fuga oppure paralisi (freezing).
Per ottenere il freezing, che è ciò che vogliono, danno suggestioni contraddittorie: Temi! Non temere! Il doppio legame che ne risulta produce la paralisi della vittima che può essere così attaccata e sbranata.
Loro hanno paura della paura dinamica, perché genera attacco o fuga (dipende dalla percezione del rischio o dalle circostanze o da esperienze precedenti). Entrambe queste risposte dinamiche sono pericolose per chi teme la paura (non paralizzante) della gente, perché potenzialmente sovversive.
Rimane comunque da sottolineare che è la paura dell’emittente che produce l’attacco svergognante. Un tipico esempio di come si proietti nell’atro un proprio problema non ben risolto.
Non so perché, ma aggiungo un esempio tratto dalla mia esperienza di timido che fa un mestiere che lo confronta quotidianamente con le minacce e le ansie (psichiatra e psicoterapeuta). Una notte, faccio una consulenza ad un ubriaco che noto per essere molto aggressivo che mi fa: “hai paura di me”?
Ho risposto (senza mentire) “sì ho paura: ho paura di me!” Intendevo dire che: “ho paura di quel che potrei farti se mi aggredisci”. L’ho spiazzato completamente. (sconsiglio di usare questa risposte se prima non si ha la chiara consapevolezza di poter vincere lo scontro)

Rispondi

Mario

Bell'articolo complimenti.
Pauroso = Debole. Anticamera del fascismo.

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↪ bb

Gentile @Mario, a me è capitato di avere attaccato a viso aperto e ingenuamente alcuni magistrati, denunziandone comportamenti gravemente antigiuridici.
Per conseguenza, si è attivato nei miei confronti un meccanismo di feroce repressione in tutti gli ambiti della mia espressione.
Da ultimo, ho concluso con me stessa che la mia paura, il male più grande che ne è conseguito, è dei miei pensieri, dei miei propositi.
Una volta che ho identificato la mia sola paura: reagire meccanicamente (attacco) e andare incontro a sicura sconfitta (mio annientamento sociale, morale o fisico), sono riuscita a sottrarmi al meccanismo funesto della re-azione e ho valutato (anche istintivamente).
L'alternativa (la fuga) non era più possibile (sono costantemente sotto controllo o mi sento costantemente monitorata), sicché ho praticato la paralisi.
La paralisi è una forma di resistenza passiva che ti consente di accumulare forze per la fuga o l'attacco successivi, giovandoti anche dello sfiancamento o della perdita di interesse dell'avversario.

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↪ roberto buffagni

Gentile @Mario,
la condizione necessaria (non sufficiente) per essere coraggioso è avere paura. Il coraggio è dominio della paura. Uno che non ha paura di fronte a un pericolo (vero) non è coraggioso, è malato.
Aggiungo che il fascismo non c'entra niente.

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mila mercadante

Questo blog è un non-luogo dove si può respirare. Fornisce strumenti di analisi fondamentali per la comprensione del nostro tempo.

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Coltrane

Davvero trovo notevole tutti questi articoli, questo tentativo di demolire strati e strati di condizionamento. Non trovo mancanze, neppure li trovo pedanti, come si potrebbe trattare argomenti di questa natura in modo più conciso? Non credo sia possibile senza decadere nella più banale superficialità. Complementari al messaggio del Pedante sono i lavori degli psicologi/economisti comportamentali i quali attraverso decenni di esperimenti in ambiente controllato, seguendo i principi del metodo scientifico, hanno ben illustrato i meccanismi che permettono al condizionamento di funzionare così bene, così persuasivamente. Si legga dunque Daniel Kanheman oppure Dan Ariely. D'altra parte e purtroppo sembrano lasciare ben poco spazio a una qualsiasi possibile evoluzione "positiva" in tempi non biologici, ma a questo era già arrivato, per altra via, Dostoevskij. Trovo pure in quanto scritto dal Pedante, echi del pensiero di Henri Laborit, la cui lettura tanti hanno or sono ha così felicemente condizionato la mia vita da non trovare le parole per ringraziarlo. Continui così Pedante, in questo mondo che farebbe sorridere Goebbels, lei è acqua di fonte.
"Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama desiderio."

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umberto

fino a poco fa ero convinto che gli intellettuali non abitassero piu' in questo Paese. Continuero' a seguirvi. Non ho nulla da commentare: concordo

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andrea

Molto intetessante..normalmente non si tiene conto di quanto scritto..

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Alessandro

Caro Pedante, adesso non ci resta che vincere.

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loredana

Lieta che qualcuno ancora pensi ed eserciti con rigore e con vigore tutte le opzioni che i più tragicamente lieti di lasciarsi scippare. Adelante, "pedanti"!

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marco p.

complimenti, un capolavoro di articolo!!!!!!

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Joel Samuele Beaumont

Levateje er mitraaa!!
Devo apprezzare la pedanteria di questo blog, che cita anche il vocabolario da dove ha preso la definizione (Garzanti).

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Marcello Mauro

Grazie, grazie, grazie. Altro che "bazooka" (de draghi): queste sono le armi di cui abbiamo un bisogno disperato. Appena lo tocchi con la punta del tuo spirito, il mare di menzogne che ci assedia si rivela in tutta la sua oceanica vastità: ma per l'ultima volta. A colpi di luce separi le onde ed eccola, appare: la via della salvezza. Pedante-Mosé, sei bibblico. Con affetto e ammirazione.

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Michele

Diffondo i suoi articoli più' che posso. Ho una profonda ammirazione per la sua chiarezza di pensiero.
grazie

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Mauro

Grazie. Il suo blog è uno dei pochi diaframmi tra sanità mentale e demenza, tra voglia di vivere e voglia di suicidarsi, che siano rimasti in Italia.

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Daniela

Strepitoso.

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Laura

Splendido intervento.
Da leggere e commentare nelle scuole superiori, per educare i giovani alla critica del sistema, a non essere supini al mainstream, a ragionare con la propria testa, fuori da ogni luogo comune, ipnosi mediatica, imposizione (in)culturale.
Essere fuori dal coro oggi non paga. Proclamare la nudità dell'imperatore davanti alla moltitudine degli ossequiosi lecchini è sommamente impopolare. Ma è indizio di lucidità, intelligenza, irriducibilità alla banalità quotidiana dello scontato stucchevole. E soprattutto è riflessione libera sulle grandi dinamiche del mondo che qualcuno vorrebbe propinarci in assenza di ogni critica, elaborazione, ragionamento.
Bravo! Grazie.

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Roxgiuse

Grande Pedante, fornisci le parole ai nostri pensieri, sì da renderli chiari e articolabili dialetticamente, come i grandi classici che lasciano l'impressione di aver dato ordine e dissipato nebbie da idee che già albergavano in noi.

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Luciano

Articolo straordinario. E' deprimente osservare come le persone non si rendano conto minimamente di queste dinamiche, anche perché, se ciò accadesse, non ci troveremmo in questa situzione e non sarebbe stato scritto quest'articolo. E' un circolo vizioso che non ho idea di come possa essere fermato.

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Giulio

Articolo notevole, raro è prezioso
Mi permetto di segnalare un elemento mancante, l'inversione semantica è permessa e funziona perché a monte c'è stata una preparazione a ricevere il comando post ipnotico che permette il funzionamento di una metafora invertita
Tutto questo è possibile perché da decenni l'istituzione scolastica sostanzialmente prepara il sistema cognitivo degli studenti all'assegnazione di significato specifico previsto da una semantica distorta
La maggior parte delle persone ignora che sistema cognitivo, ovvero, il sistema che ci permette di assegnare un senso alle nostre esperienze, è completamente metaforico
La metafora, per definizione, contiene una parte del tutto, e la capacità di riuscire ad avere l'opportuna ricezione del comando post ipnotico, permette il funzionamento perfetto di tutto ciò che magistralmente avete illustrato nel vostro articolo
Ancora grazie, i miei migliori auguri per continuare la vostra opera

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↪ Roxgiuse

Gentile @Giulio , potrebbe chiarire l'interessantissimo concetto con parole più accessibili ad un profano come me è magari con un esempio?

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↪ luigi

Gentile @Giulio
io credo che ad avere importanza sia il pensiero astratto che idealizza le condizioni ideali affinché si provi un'emozione ed idealizza anche le facce dei destinatari delle nostre emozioni poi avviene che le emozioni provate nell'astrazione non incontrino le facce ideali nella realtà e l'emozione non si concretizza.
p.s. per facce non intendo solo facce .é assurdo relegare la fattibilità di una emozione ad un immagine è non limitarsi alla condizione che la genera.

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↪ luigiza

Gentile @Roxgiuse,
forse ciò che il lettore Giulio ha ben descritto é quel processo che una volta si chiamava: trasbordo ideologico innavvertito tramite il quale si demolisce in una persona il credo a cui aderisce per fargliene adottare un altro senza che l'interessato se ne accorga.

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Zani pietro

Tutto perfetto però nel branco primordiale il debole non era considerato affatto un peso morto, lo ha dimostrato la paleontolgia.

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↪ Il Pedante

La prego, approfondisca. Feci una scoperta analoga mesi fa a proposito del branco canino.

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↪ Giorgio

Gentile @Il Pedante,
ricordo bene di avere seguito una discussione sul ruolo del maschio alfa e beta tra lupi, in cui, appunto, si dimostrava il ruolo fondamentale dell'"ultimo del branco". Purtroppo, non ricordo altri dati.

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Meester

Ciatazione dall'articolo: "Questa aggressione morale non conosce limiti, né vergogna, tanto da insinuare apertamente la malattia psichica di chi resiste all'agenda di regime."
Eccoci serviti: link

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Daniele Bonora

La ringrazio dell'invito che mi ha fatto a integrare,commentare o segnalare imprecisioni.Innanzi tutto non mi sopravvaluti,io sono equiparabile a un infermiere che ha lavorato in psichiatria e nulla di più.L'ho fatto con passione con successi e sconfitte.Il tema da lei affrontato ha una letteratura scientifica immensa e io posso solo mettere l'accento su alcuni aspetti portando esempi ed esperienze personali.Dal punto di vista strettamente psichiatrico e non neurologico la paura,il terrore,il panico,l'angoscia,hanno certamente una radice antropologica comune alla maggior parte degli esseri viventi ed è sul come affrontarla con raziocinio che il problema è evidente nell'essere umano.E qui posso dare il mio contributo.In poche parole la mia esperienza è che se si ha un gruppo o un individuo "sano",che affronta/no la paura in modo corretto scatta un automatismo di identificazione,similitudine e appartenenza perfino terapeutico.Ma succede anche il contrario,ahimè! Cioè lo stesso meccanismo viene veicolato anche fra individui o gruppi ove le paure fanno da mastice omogeneizzante.La paura,il timore patologico non sono ammessi in altre specie animali di predatori.Una delle paure più comuni è quella della pazzia oltre che quella della morte.Nei cosiddetti "pazzi" ho riscontrato proprio questo:le loro sovrastrutture mentali,vuoi per traumi o per lesioni neurologiche o per genetica,sono ancorate all'evitamento della paura e dell'angoscia.E' su come affrontare individualmente questo processo il nocciolo della questione.Riconoscere da "dentro",nel proprio ego il problemadi questa paura atavica è complicato.Se inculcato dall'esterno con manipolazione,coercizione è più riconoscibile e non meno difficile da risolvere se si è rigidi mentalmente.Proprio l'estremità del processo nei folli,schizofrenici,autistici,psicotici ecc...aiuta a comprendere.Tra gli anni 80 e i primi 90 ho intrapreso,pagando di persona un prezzo eccessivo,non in uno studio asettico,questo mio percorso.E ne ho tratto il vantaggio che,io per primo,ho potuto riconoscere l'irrazionalità delle mie paure prima di poter avere un qualche risultato positivo su altri individui tutti malati ma vulnerabili più che i cosiddetti "normali".Al di là della sua ottima analisi rimane appunto questo problema: come può approcciarsi un individuo alle sue paure se ha solo un sistema di riferimento,il suoi E qui casca l'asino che sono.Oggi si va dal medico,ai CPS o altrove pur di ricevere una prescrizione che sollevi questa dolorosa situazione.Psicofarmaci per mitigare i sintomi dell'evoluzione di queste paure.Benzodiazepine ed antidepressivi sono al top nelle vendite.E l'isolamento in cui viene lasciato l'individuo amplifica a dismisura questa solitudine.L'intervento dello Stato,della sanità pubblica potrebbe far molto di più.Il terrore di perdere il lavoro io l'ho provato quando improvvisamente le mie ossa hanno cominciato a cedere.E il lavoro l'ho perso definitivamente,ma non l'attività e la combattività con la quale son riuscito a tappare i buchi del welfare minimalista liberista (o ordoliberista come lo definisce Luciano Barra Caracciolo).Ma,appunto,ero vaccinato e per ora,ho vinto sul sistema.Spero di non essere fuori tema puntualizzando.Il mio approccio è psicologico,un semplice commento.Nella sfera emotiva da qualche parte abbiamo tutti delle vulnerabilità per questo confido che in un prossimo futuro sia la scienza a contribuire alla comprensione della biochimica sulla"paura". Il potente però può permettersi di "acquistare" mandrie di competenti manipolatori,mediatici,politici,giuristi ecc...
E concludo:come affrontare le paure,innate o indotte,da Lei magistralmente descritte nel suo articolo?
Grazie

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roberto buffagni

Bell'articolo. Segnalo en passant che l'unica forma di coraggio vivamente scoraggiata dai powers that be è il coraggio fisico di fronte alle aggressioni fisiche. Autodifesa, guai! Mai! Se rendi il colpo, diventi *fobo!
Noto, inoltre, che i coraggiosi da lei citati hanno tutti il profilo umano e professionale di gente che non ha mai preso un pugno in faccia in vita sua. Peccato, perchè si tratta di un'esperienza fondamentale che illumina la mente e facilita l'accesso al realismo storico e politico.

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Cristina

Articolo più che interessante e chiarificatorio, per chi non sa ascoltare le proprie capacità intuitive. Un'appunto però è d'obbligo. Se fosse scritto in modo più "potabile" avrebbe maggior impatto. Ricordiamoci che l'argomento è rivolto soprattutto a coloro che assecondando la pigrizia nell'elaborare ciò che la loro intelligenza mostra chiaramente, il rifiuti a riconoscere le ragioni del proprio intuito. Come potrebbero sforzarsi di leggere un articolo così lungo e in alcuni punti difficile da intendere? Alleggerire il lavoro alle menti "stanche" è da sempre il miglior modo di comunicare con loro.

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↪ Il Pedante

Caro amico, i Suoi appunti mi feriscono perché sono giustificati. Io stesso mi sono sempre posto il problema ed è per questo che mi sono imposto lo pseudonimo di Pedante. Se è vero che non ci si può rivolgere a tutti è forse anche vero che una mente più agile della mia riuscirebbe a condensare il messaggio in meno spazio e con un lessico più leggero. Faccio quel che posso, si consoli pensando che è gratis.

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↪ Mikez73

@Il Pedante
Io invece non sarei tanto d'accordo. Mi ricorda il fu Luttazzi del "questo telegiornale andrà in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre ridotte capacità mentali". L'esperienza del blog di Bagnai sta lì a dimostrarlo: ha avuto successo non nonostante ma grazie al suo stile, alla sua prolissità e alla difficoltà della materia, e in barba a ogni consiglio contrario di chi all'inizio gli suggeriva di semplificare, semplificare.
Non so, secondo me è meglio non snaturarsi, se scrive così scrive così.

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↪ Donatella

Gentile @Cristina,
le faccio un appunto: un appunto si scrive senza apostrofo. E le faccio una proposta: sforziamoci.

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↪ Il Pedante

Non tema: non sarei capace di fare diversamente.

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↪ Davide

Gentile @Il Pedante, nel caso mi rendo disponibile per una versione che potremmo chiamare ilpedantelight.org
Ovviamente sto scherzando, la ringrazio per le sue pedanterie che mi sforzo di diffondere.
Saluti texani!

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↪ lorenzo

@Cristina
Forse tutto l'articolo si potrebbe riassumere con una battuta. Dice il PDiota medio renziano manipolato, insieme al manipolatore: "Vigliacco! Hai paura, non sai cogliere le sfide del mondo moderno! Vergognati!". Risponde il sano di mente (che perciò non vota PD e le pericolose proposte di riforme annesse): "Certo che ho paura, e NON ME NE VERGOGNO, dato che sono l'unico lucido qui, l'unico in grado di vedere la realtà".

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↪ laiutoepitomista

Cara @Cristina,
hai perfettamente ragione, senza ironia, e la Pedante risposta m'a commosso (l'acca che manca [e senza accento] è per @Donatella :) proprio perché é quello che avrei voluto scrivere anch'io, se ne fossi capace (non il post, ma la risposta; sì anche il post, vabbé, lasciamo stare). Il tuo commento è sinteteco e "potabilissimo" ed io non ne sarei capace (lo vedi, in due periodi ho già usato 5 parentesi [di cui due quadre]) perciò propongo a te, a @Davide, che m'ha convinto e prendo sul serio, e a @Lorenzo, che ha 'osato', di potabilizzare quest articolo (non ci metto l'apostrofo e non lo chiedo a @Donatella che fa troppo la secchia). E' evidente che io non potrei correggere o riassumere alcunché (bhé, anche se ho usato il registro neutro almeno non t'ho dato del carO amicO [scherzo eh]) ma noi 4, in un paio di mesi (o anni) potremmo riuscirci (anche fossero anni, ne potrebbe valere la pena) e sai che soddisfazione (sul serio, senza ironia). Il mio apporto, quasi inutile, potrebbe essere solo in revisione (ad es. @Lorenzo: il Ns. non direbbe [ne intenderebbe] "io sono l'unico lucido qui" ma ci vogliono anche quelli che osano, che cazzo, siam già in troppi a relativizzare).
Scusate la lunghezza ma come diceva lo Sciascia non ho avuto tempo per farla più breve (non è vero, c'ho messo du ore, è per quello prevedo parecchi mesi di lavoro).
p.s.
Anche un'altro articolo se dite, ce n'è di belli (un'altro? Vabbuò, a Donatella glielo facciamo correggere, ma solo alla fine)

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Valerio Santoro

Di Kipling ne sono sempre esistiti e sempre ne esisteranno. Il vero problema è che oggi mancano i Twain, i Dickens e gli Hugo.
E, comunque, Bob Sinclar tutta la vita.

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Federica

Professore, fino a poco tempo fa non la conoscevo, l'ho vista in TV ed ho cercato subito il suo Blog, il motivo è che trovo le sue argomentazioni chiare, comprensibili ed anche condivisibili, mai banali e soprattutto mi fanno pensare. Grazie

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↪ Il Pedante

Gentile Federica, la ringrazio per le belle parole ma non sono professore né mai sono apparso in TV. Temo che Lei mi confonda con altri.

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↪ Lux

Gentile @Il Pedante, svelo io l'arcano: l'articolo è stato segnalato su FB dal prof. Bagnai, che ne ha abbracciato con tale fervore i contenuti da ingenerare in qualcuno l'idea che potesse essere un suo scritto.

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cristian curella

Articolo interessante, soprattutto l'ultima parte in difesa della paura come meccanismo naturale volto alla tutela dell'uomo. Purtroppo i ragionamenti in esso contenuti divengono sempre più noti. Al contrario, una soluzione ad un dominio occulto ma onnipresente è sempre più difficile da rinvenire. Credo, inoltre, che molti cittadini siano all'oscuro di quali forze intervengano nella nostra vita che è già stata profondamente cambiata. Ma lo abbiamo veramente capito?

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Emanuela Colatosti

Considerata la natura decisamente divulgativa delle riflessioni, il pezzo non solleva forti obiezioni. Ciò che "scandalizza" i profani di questo metro di pensiero è la quasi totale assenza di dati. Sicuramente appesantirebbero la lettura, ma epurerebbero gli articoli da quello che ho sentito chiamare "arbitrio", "imprecisione" e "luogo comune". È una sottigliezza che allontana ancor di più i ben-pensanti sa letture come queste, che è un pensiero non buono (piantiamola di usare categorie morali per ciò che concerne il ragionamento), bensì non convenzionale.
Per il resto, ottima analisi della retorica della vergogna.

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↪ Il Pedante

Sì, in effetti i dati appesantirebbero, ma il genere telematico consente l'inserimento di collegamenti esterni nel testo. Se mi indicasse quali affermazioni secondo Lei dovrebbero giovarsi di note di approfondimento potrei cercare di integrare l'articolo.

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Stefano Longagnani

Errata corrige (spero di non sbagliare): "sul loro amor proprio" è diventato, probabilmente per colpa del maledetto correttore, "sul loro amori proprio". Se sono io che sbaglio (non ho mai trovato un refuso nei suoi post, e la cosa so che non è casuale), chiedo gentilmente riferimenti per chiarirmi le idee sui plurali. Fino a "i pescicane" ci arrivo...

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↪ Il Pedante

C'era semplicemente una i di troppo.

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Paolo Di Remigio

Mi sia concessa la pedanteria di notare che il signore con due nomi e due cognomi, oltre a ignorare che chi è sovranista non può avere nostalgia né del feudalesimo né della legge salica: né del feudalesimo perché è il sistema sociale in cui la sovranità pubblica è infranta e dispersa in una pluralità di poteri privati, né della legge salica perché non ha motivo di paventare la successione dinastica femminile - oltre a ignorare tutto questo, dicevo, ignora anche l'ABC dell'etica. Forse vale la pena ricordarlo: " ... le azioni ... sono soggette a divenir imperfette o per difetto o per eccesso ... : infatti sia gli eccessivi sia gli scarsi esercizi ginnici nuocciono alla forza, parimenti anche il bere e il mangiare che siano sovrabbondanti o deficienti rovinano la salute, mentre la giusta proporzione la produce, l'aumenta e la preserva. Così dunque accade anche intorno alla moderazione, al CORAGGIO e alle altre virtù. Infatti chi fugge e teme ogni cosa e nulla affronta diviene timido, chi invece non teme proprio nulla, ma va contro ogni cosa diviene temerario; ... dunque la moderazione e il CORAGGIO vengono rovinati sia dall'eccesso sia dal difetto, mentre vengono preservati dalla via di mezzo". (Aristotele, Etica Nicomachea, II, 2, 1104 a-b)

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rossana

Grazie.

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Roberto

Veramente interessante ed illuminante
Adesso mi spiego perché mi sembra di essere sempre al di fuori della realtà.

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Viviana

Grazie!!

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Antonio

Bellissimo e illuminante articolo. Invidio la sua abilità di scrittura,conseguenza evidentemente di chiarezza di pensiero.
Grazie!

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Antonello

Solo una comunicazione di servizio.
Il link "Dovete parlare di guerra civile" porta a #facciamocome Israele
Complimenti anche per questo post

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↪ Falsomagro

Consiglio di informarsi sul fratello del DJ Guetta, noto politologo e giornalista di cui ho letto di recente nefandezze assortite. E anche sulla famiglia di origine.
Buona serata.

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↪ Il Pedante

La relazione non ci è sfuggita, ma non si voleva mettere troppa carne sul fuoco...

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