È uscito il libro delle Arie Pedanti!
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Seul o le 120 giornate


Per una tortuosa evoluzione degli algoritmi, forse per aver cercato in una stessa sessione notizie sul cinema coreano e sui sistemi di parental control, o per qualche altro motivo, la piattaforma YouTube mi ha proposto un breve filmato di una giovane psicologa che non conoscevo e che non cito, di una fondazione per la tutela dell'infanzia che non conoscevo e non cito, sulla serie televisiva sudcoreana Squid Game. Che pure non conoscevo, non usando la televisione da quasi vent'anni.

Mi sono incuriosito e ho guardato alcuni spezzoni del prodotto. Di cui non posso dare un giudizio tecnico, ma che in una più ampia tassonomia delle rappresentazioni collocherei senz'altro nel novero delle visiones inferorum, ancorché in un vestito laico e moralmente agnostico – cioè gratuito. Più che un'idea narrativa, la trama della serie è un pretesto per gozzovigliare in ogni gradazione di male morale: odio, brutalità, invidia, sadismo, materialità, egoismo, degrado, tradimento, rancore, terrore. In una siffatta antropologia della disperazione, dove gli esseri umani spogliati del barlume divino diventano insetti come i nudi dannati di Bosch e demoni gli uni degli altri, la violenza fisica è davvero l'ultimo dei problemi. Non è che il corollario di una violenza epistemica più profonda, di bandire ogni traccia di bene. È questo, non quello dello splatter in alta definizione, il danno che si vuole infliggere all'anima frustrandone un'inclinazione imperfetta, ma vitale. Chiarita la matrice, non ci sarebbe altro da aggiungere se non, con un un altro esploratore averno, «misericordia e giustizia li sdegna; non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

Si capirà allora la mia sorpresa – e la mia ignoranza dei trend psicologi, oltreché cinematografici – all'udire le raccomandazioni che la citata dottoressa rivolge a genitori ed educatori, oltre a quello più ovvio di «evitare di mostrare la serie TV» ai «bambini sotto l'età consigliata». Bontà sua: nel nostro Paese la visione è vietata ai minori di 14 anni (quindi non solo ai bambini) e nel resto del mondo ai minori di 15 (UK), 16 (Spagna, Francia, Austria, Brasile), 17 (Stati Uniti) o 18 (Germania, India, alcuni Stati australiani) anni. In Corea, dove la serie è prodotta, vigono sanzioni per chi la mostra ai più giovani di 19 anni. Insomma, la psicologia dell'età evolutiva, che pure reclama dignità di scienza, cambia a seconda del passaporto. Prosegue l'esperta: per quanto riguarda invece i «ragazzi preadolescenti» (che, lo ripetiamo a lei e a chi legge, non possono guardare il programma) e «adolescenti» il consiglio sarebbe «innanzitutto quello di provare a vedere la serie per avere coscienza dei contenuti» e successivamente «di parlarne insieme a loro... per attivare un dibattito... e capire un po' quali siano state le emozioni che abbiano provato». «Tutto questo», conclude, «per dire che il problema non sta direttamente in Squid game ». Il video si chiude e resta una domanda: perché? Perché un genitore dovrebbe trangugiare veleno e condividerlo coi propri figli? «Quale padre... se il figlio gli chiede un pesce gli darà una serpe»? E poi lo interroga, per vedere l'effetto che fa? Boh.  E in generale: perché il male dovrebbe essere un divertimento e non proprio un «problema» di cui è già abbastanza generosa la vita, non uno schifo da contenere con azioni, raffigurazioni e concezioni di segno opposto?

Mi rendo conto che l'ultima domanda è ingenua. Questi spettacoli hanno un pubblico perché soddisfano un bisogno, per indagare il quale bisognerebbe addentrarsi in certi abissi che richiedono tempo, competenza e coraggio. Ma che si tratti almeno di abissi problematici mi sembra confermato da una scoperta che ho fatto mentre mi documentavo sul fenomeno. Tra i più pensosi cultori del programma, apprendo, dilagherebbe una lettura accreditata dal suo stesso ideatore Hwang Dong-hyuk, secondo la quale in quei drammi si metterebbero allegoricamente in scena le brutture morali della società capitalistica: materialismo, competizione e diseguaglianze, che proprio in Corea toccherebbero vette estreme. La serie Squid Game, prodotta e distribuita da un colosso del capitalismo mediatico che fattura oltre 30 miliardi di dollari all'anno, nasconderebbe dunque una raffinata denuncia anticapitalistica.

Ermeneuticamente parlando, questa però è una sciocchezza. Va da sé che tutte le rappresentazioni del male rimandino a mali reali, se non in senso storico almeno in senso morale. L'arte può inventare l'atto, non il vizio. Sicché, nel suo alludere sempre a un vissuto – direttamente o indirettamente, realisticamente o figurativamente – la mera rappresentazione non può integrare da sé una denuncia, altrimenti sarebbero generi impegnati anche i videogiochi sparatutto, gli spettacoli sadomaso e i film horror. Serve dell'altro. Come nelle denunce sporte alle autorità si citano gli articoli violati, così nelle denunce morali occorre dichiarare la norma infranta in modo esplicito o, come più spesso accade nelle produzioni artistiche, implicito, introducendo ad esempio un eroe positivo, un testimone viruoso, un narratore orientato, un riferimento ideale ecc. Senza questa cornice didascalica è lecito immaginare un messaggio, ma è altrettanto lecito immaginarne un altro, o il suo contrario. O che non vi sia alcun messaggio.

La denuncia di un fatto, come è un fatto la società capitalistica in certe sue declinazioni, non si sposa con la rappresentazione fantastica. La sua crudezza deve essere realistica se non cronachistica, avendo appunto lo scopo di focalizzare l'attenzione del pubblico su un fatto vero o verosimile ma scomodo, rimosso, negato. Una denuncia (di qualsiasi tipo) è efficace se è scevra dalle esagerazioni e dalle censure che caratterizzano gli scenari onirici, dove invece si riflettono i paesaggi interiori dell'autore: le sue speranze, i suoi timori, le sue ossessioni, i suoi vissuti trasfigurati, il modo insomma in cui si percepisce nella realtà secondo criteri di cui la realtà è solo un innesco seminale. Giacché la violenza si agisce nei sistemi sociali di ogni epoca, di ogni luogo e di ogni colore politico, un autore (e un pubblico) che ne è attratto troverà sempre materiali per dipingerla. Ad esempio, ne Le 120 giornate di Sodoma, che si iscrive nello stesso filone di pretesi j'accuse truculenti, alcuni hanno visto una denuncia della spietatezza nazifascista. Con più onesta, lo stesso Pier Paolo Pasolini spiegò invece che l'opera svilupperebbe una riflessione sull'archetipo dell'«anarchia del potere». Ma veramente onesto sarebbe stato riconoscervi innanzitutto i fantasmi propri del regista incarnati nell'involucro tutto contingente di un fatto storico tra gli altri (il fascismo) e antropologico tra gli altri (il potere). Un ritratto di sé costruito con i pezzi del mondo, non del mondo.

La strumentalizzazione di un «messaggio» – che, scrive ancora Pasolini a proposito del suo film, «è quasi sempre sclerotico, menzognero, pretestuale, ipocrita, anche quando è sincerissimo» – per magnificare l'esibizione del male è il gemello oscuro di una specie più familare, di esibire e strumentalizzare il male per magnificare un messaggio. Lo si fa con certi martirii religiosi e civili, con le atrocità selettivamente attribuite a un nemico designato o a un perdente a cui negare pietà, con i drammi innocenti di cui, si dice oggi, «siamo tutti colpevoli». È il vizio antico di attivare la triade istintiva di raccapriccio, identificazione e difesa per attentare alla libertà critica del pubblico oltrepassandone il metabolismo razionale.  Ma se si accetta questa operazione è facile credere che la violenza narrata abbia sempre qualcosa da insegnare, anche quando di quel qualcosa non c'è traccia. Che ci debba essere una lezione, e che debba essere una lezione importante perché scomoda, come è scomoda la visione del male. Secoli di traumatismo didattico hanno scavato il solco: chi mostra il male significa il bene. E se non si vede, non si è cercato abbastanza.

Essendo antico, il vizio era già famigerato tra gli antichi. Affinché la tragedia espletasse con equilibrio la sua funzione didattica e catartica, Aristotele raccomandava che le «cose terribili» (τὰ φρικώδη) avvenissero fuori scena e fossero narrate da un messaggero (Poetica, cap. XIV). Per Orazio, la loro esibizione sul palco avrebbe suscitato solo incredulità e disgusto («incredulus odi», Ars Poetica, vv. 185–188). Sarebbe facile capire che l'orrore non può essere edificante proprio perché è distruttivo. Produce condizionamento, non convinzione; manipolazione, non trasformazione. Imprime casomai un messaggio per avversione e difesa, siccome le percosse i lividi, e non può dunque farsi base di una ricerca desiderante del bene e degli strumenti per conseguirlo nella complessità.

Allora, perché il voyeurismo della depravazione? Non lo so. Ma, appunto, questa ansia di imprimergli o di estorcergli un insegnamento sembra lo scudo, poco credibile eppure creduto, di qualcosa che non deve mostrarsi. Una catarsi forse, ma non aristotelica, senza margini per elaborare un antidoto o un senso che non sia appiccicaticcio e inventato. Non una presa di coscienza collettiva, ma la proiezione dell'ombra singolare di chi guarda e spera di alleggerire le proprie paure e tentazioni collettivizzandole nella «viralità». Diventa allora un esorcismo, epperò monco e avventato, perché non ci sono esorcisti e poteri che dissipino gli spettri evocati, sicché questi dilagano invece di perdersi, infestano le sfere benevolenti e razionali del paziente e ne paralizzano la facoltà di reagire. Chi cerca il male ha dentro il male. Non è un'accusa, ma un invito a spingersi nel proprio buio con uno scopo e una mappa, possibilmente anche una guida, senza fingersi che il suo riflesso sia un prodotto d'arte, un manifesto, un monito, uno svago o un gioco di società. Le piaghe vanno scoperte perché le si curi.


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Commenti

Joel Samuele

Ho anche fatto una recensione, in cui sconsiglio di vedere la serie, dopo averla vista io stesso...
Ma come si fa...
Ma come si fa...
link
Il video è stato pensato anche per chi non ha mai guardato la serie, ma a visto solo dei riferimenti in giro per il web.

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Joel Samuele

Dopo aver letto questo post cosa ho fatto? Ho guardato anche la terza stagione delle serie!
Qualcuno potrebbe dirmi: ma allora te la sei cercata? E sì, me la sono cercata, ma sono andato a verificare per per l'ennesima volta, se ci fosse stato davvero un cambiamento di narrativa in questa serie. Rispetto anche al genere sudcoreano, dove più spesso si vedono situazioni di competizione estrema. Si vede che i sudcoreani sono immersi in questo aspetto culturale, molto più di noi.
Qualcuno nei commenti ha fatto presente che la serie stava per andare verso una svolta. Ci sarebbero anche dei personaggi positivi, come uno dei protagonisti principali, che è rientrato nel gioco, nonostante avesse già vinto, fosse ricco, e l'avesse scampata.
Non solo, sembrerebbero esserci altri personaggi positivi, che cercano di sconfiggere il sistema del gioco, e tutta la seconda e terza stagione è basata sull'aspettativa che qualcuno metta fine a tutto. Ma alla fine la cosa non riesce per vari aspetti.
Quello principale è che ognuno è prigioniero del proprio ego. E questo sia i personaggi buoni che quelli cattivi.
Vediamo in che modo alcuni personaggi sarebbero solo prigionieri di se stessi.
Il protagonista principale, il giocatore numero 456, è entrato nel gioco per non aver saputo gestire la propria vita. Per risolvere i problemi ha accettato di entrare nel gioco, e arrivati ad un certo punto della prima stagione, riesce a convincere la maggioranza delle persone a votare per uscire dal gioco.
Quindi i giocatori che erano sopravvissuti alla prima giornata di gioco, erano riusciti a tornare a casa, e nessuno sano di mente sarebbe rientrato nel gioco.
Però dopo qualche giorno decidono di rientrare tutti, nonostante tutti sapessero che il gioco poteva costargli la vita.
Qui c'è l'aspetto interessante della serie: il sistema di gioco, ti propone questo come una scelta che i giocatori hanno fatto. Non solo, si chiarisce quasi fin dall'inizio, che le persone possono votare per terminare il gioco, dopo essere sopravvissuti al gioco precedente. Però non è che ognuno può scegliere per se stesso di terminare il gioco o meno, ma è la maggioranza a decidere se terminare il gioco o proseguire con la prossima partita.
Nessuno riesce a scappare dalla trappola logica dei giochi. Nessuno va alla polizia una volta uscito dal gioco, per denunciare cosa sta accadendo.
Al contrario di altre serie, dove i protagonisti riescono a svelare la verità al mondo, postando un video dal proprio smartphone, in questa serie è impossibile comunicare al mondo che il gioco sta avvenendo.
In realtà sia nelle serie dove si può svelare la verità al mondo tramite lo smartphone, sia in quelle come Squid Game, dove è impossibile comunicare alle autorità quello che sta avvenendo, c'è un esagerazione. Però quello che avviene nel mondo reale è che molte cose accadono, ma è difficile digerirle, e si creano delle bolle dove all'interno dei vari gruppi si possono credere cose, mentre in altri gruppi si può credere l'opposto.
Però nessuno ci vieta di raccontare quello che viene considerato incredibile, ad altre persone.
Uno potrebbe entrare in un bar, e raccontare al primo che passa, una cosa impossibile da decifrare nel mondo di oggi. Nessuno ti bloccherebbe, ma non verresti capito. Questo è quello che oggi avviene.
A questo punto mi sorge una riflessione. Lo Squid Game non avviene solo all'interno della serie, ma anche per chi la sta guardando. Tutti i giocatori, io compreso, siamo in una prigione mentale, e continuiamo a guardare la serie anche se questa ci far star male.
Anzi, non vinciamo neanche i soldi del montepremi, ma ci abituiamo all'idea che possa esserci un gioco dove ti viene proposto di giocarti anche la vita, in cambio di un montepremi da capogiro.
Quindi mi sono promesso dopo la fine della terza stagione di non guardare più questa serie, soprattutto dopo il finale che evidenzia di come nessuno abbia capito nulla. Gli unici vincitori dello Squid Game, sono coloro che escono dal gioco, senza chiedere il permesso a nessuno, spettatori della serie compresi.
All'interno della serie viene fatto vedere più volte, che gli organizzatori del gioco, ti danno degli indizi per farti capire che volendo puoi giocare la partita in un altro modo.
Di fatti in uno di questi giochi, viene indicato a tutti i giocatori di formare dei gruppi di un determinato numero per poter partecipare al gioco. I giocatori allora si affannano tra di loro per formare dei gruppi, ed evitare di rimanere fuori. Ma nessuno si chiede cosa accade rimanendo fuori...
Alla fine un giocatore rimane fuori perché non riesce a trovare un gruppo, e questo passa al prossimo gioco, senza rischiare la vita.
Di fatto gli organizzatori non hanno detto che era obbligatorio formare dei gruppi, ma nessuno si è chiesto se questo fosse stato possibile. Tutti avrebbero potuto non formare un gruppo e restare da soli, passando al prossimo gioco.
Il problema è che il gioco ha una regola di base: ad ogni partita aumenta il montepremi. Ogni giocatore sa che poi il montepremi viene suddiviso in parti uguali tra i sopravvissuti, e tutti sono consapevoli che meno sopravvissuti ci sono, più è alta la vincita individuale.
Quindi nonostante il gioco sia mortale, tutti si affannano non solo per sopravvivere, ma anche per far morire gli altri concorrenti. Solo che nel fare questo non si accorgono di come loro stessi potrebbero sopravvivere e passare il turno. La smania di vincere un premio più alto li rende ciechi, anche quando con i soldi vinti potrebbero già campare di rendita, senza particolari preoccupazioni per il futuro.
Ci sono anche delle giustificazioni di tipo logico, del perché il gioco continua. Alcuni giocatori hanno perso tutti i loro risparmi, per loro basterebbe vincere una quantità di soldi per uscire dalla condizione di miseria assoluta. Ma il giocatore numero 100 della seconda e terza stagione, ha un debito considerevole che deve ripagare, e in più si capisce che proviene da un tenore di vita alto, e avrà bisogno comunque di tanti soldi in più oltre quelli che deve come debitore.
A questo punto mi viene in mente, che il giocatore 100 potrebbe anche cercare aiuto presso gli altri giocatori, per trovare una soluzione alternativa al suo problema. Ma tutti sono chiusi nel proprio individualismo, e nessuno riesce a vedere oltre.
C'è anche un personaggio ribelle, all'interno delle guardie del gioco. Quelle vestite di rosso, con la maschera.
Questo personaggio, una donna, sembra voler distruggere il gioco dall'interno, e quasi ci riesce.
Il personaggio ribelle in realtà stava solo salvando uno dei giocatori (256 credo...), perché lei stessa era interessata a salvarlo.
Gli spettatori della serie invece si aspettavano un colpo di scena, ma alla fine il personaggio ribelle pensa solo ai suoi interessi. Nell'ultimo episodio riesce a distruggere l'archivio cartaceo dei giocatori e del personale di guardia. In modo da eliminare le tracce documentali di coloro che non sarebbero più dovuti rientrare nel gioco in nessun modo.
Il problema è che la sua azione non serve a nulla, perché la guardia costiera è arrivata nei pressi dell'isola dove si stanno svolgendo i giochi. Il comandante della struttura, da l'ordine di evacuare subito dopo che il giocatore 456 si suicida per permette alla bambina ( nata dal giocatore 222 morta durante i giochi), di sopravvivere all'ultimo gioco.
Con l'ordine di evacuazione viene avviato il conto alla rovescia che distrugge tutta la struttura, e l'archivio cartaceo si sarebbe comunque distrutto da solo.
La serie ha anche dei personaggi all'esterno dei giochi (per modo di dire).
Il giocatore 456 dopo aver vinto il primo montepremi milionario (milionario in moneta sudcoreana), decide di finanziare una squadra di ricerca, per trovare l'isola dei giochi. E poi lui stesso ci rientra per mettergli fine in qualche modo, mentre la squadra di ricerca è impegnata nel trovare l'isola.
A comandare la squadra di ricerca c'è un poliziotto che sta indagando per conto proprio sulla scomparsa del fratello. Il fratello è il comandate dei giochi, quello che avvia l'ordine di evacuazione alla fine della terza stagione.
Gli spettatori si aspettano di vedere un colpo di scena. Di vedere la polizia arrivare nell'isola per bloccare i giochi. Solo che alla fine questa in un certo senso arriva, ma nella serie non si vede. Nessuno delle forze dell'ordine è interessato a capire come mai c'è un'isola che, poco prima dell'arrivo della guardia costiera, viene fatta oggetto di esplosioni multiple. La questione passa inosservata, anche se chiunque avrebbe potuto indagare sulle strutture demolite dall'esplosione. Su chi le avesse costruite, con quali risorse e perché. Ma questo non avviene.
Il poliziotto ingaggiato privatamente dal giocatore 456 riesce ad entrare nelle strutture dell'isola poco prima delle esplosioni.
Riesce a vedere il fratello da distante andare via con la bambina (222) che il giocatore 456 avrebbe salvato sacrificando inutilmente la sua vita, dato che i giochi qualche minuto dopo sarebbero stati interrotti a forza.
Il poliziotto riesce a scappare in tempo dall'isola, e poi le indagini finiscono. Non accade nulla per un po' di tempo. Fino a quando il fratello comandate dei giochi, non gli fa trovare a casa la bambina (222) e una carta di credito con all'interno il montepremi totale vinto dall'unica sopravvissuta al gioco.
Quindi anche il personaggio diciamo positivo che avrebbe dovuto indagare, rimane intrappolato nel sistema. Dovrà occuparsi della bambina nata durante i giochi con i soldi che gli sono stati affidati.
Rimane un'ultima scena dove il comandante dei giochi, che è anch'esso inserito in un gerarchia più grande, va a casa della moglie e della figlia del giocatore 456. E consegna alla figlia piccola, una scatola con all'interno la tuta sporca di sangue che era del padre morto durante il gioco, per salvare la bambina (222) al termine del gioco finale.
Insieme alla tuta c'è anche una carta di credito, con all'interno i soldi che proprio il comandante dei giochi ha recuperato da un luogo in cui il giocatore 456 li stava custodendo in contanti.
Il comandate dei giochi era rimasto impresso dal sacrificio ultimo del giocatore 456, e la serie fa vedere come questi due personaggi siano diventati familiari tra loro, anche se antagonisti. Tanto che per il comandate del gioco non c'è stato alcuno sbarramento logico nell'andare a prendere i contanti del giocatore 456, per poi andarli a sistemare in una carta di credito da dare alla figlia. Nessuno si chiede come lui facesse a sapere di dove stavano sistemati i contanti, e tutto va avanti così. I personaggi non riescono a fare 2+2.
Scusate per questi dettagli, ma secondo me gli autori della serie non hanno lasciato nulla al caso. Anche la scelta di mettere i soldi in una carta di credito, senza avere l'idea di dove fosse il conto corrente, se ci fosse una filiale da contattare in caso di problemi... tutte queste sono scelte stilistiche per aumentare il senso di spiazzamento e di individualità estrema. Tutti immersi in una società dove è impossibile comunicare con il prossimo.
Qualcuno che ha visto la serie potrebbe aspettarsi qualcosa di diverso dalla quarta e già annunciata prossima stagione.
In realtà no, tutto quello che è stato visto e già una ripetizione di altre serie e altri concetti già ripetuti.
Il fatto che il comandate dei giochi abbia consegnato la tuta del giocatore 456 alla figlia, è un messaggio che può comprendere solo lo spettatore della serie, che sa come sono vestite le persone all'interno dei giochi. Visto proprio che tutta la serie è basata sull'impossibilità di poter comunicare, allora come fa una tuta sporca di sangue a dare delle informazioni sul significato di quella tuta, simboli annessi.
Infatti le tute, scusate per lo spiegone, hanno due pezze indicanti uno il numero, e l'altra la scelta se rimanere o meno nel gioco. Chi indossava la X rossa sul petto indicava di aver scelto di non rimanere nel gioco durante la precedente votazione.
Tutti questi dettagli però, che in un certi ambienti vengono chiamati infodump, non lo sono per chi ha visto la serie. Ma per la figlia del giocatore 456 lo sono. Lei non comprende il significato di quella tuta e dei suoi simboli. Al massimo comprende la carta di credito che gli viene consegnata.
Quelli che sono imprigionati nei simboli del gioco sono i protagonisti. Anche il comandante del gioco è imprigionato, e non fa altro che ripetere quello che viene ripetuto in questo tipo di serie. Il senso del debito/colpa, che poi è la base di qualsiasi economia monetaria, che viene ripetuto attraverso sempre gli stessi stereotipi. In questo caso il sacrificio di un padre nei confronti di una bambina. Il personaggio cattivo che diventa buono. etc etc.
Tutto questo potrebbe dare speranza che nella prossima stagione ci sarà un cambiamento. Ma non ci cascate. L'unico modo per terminare i giochi e non parteciparci. Spettatori compresi.

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Censore

Deprecata censura, necessaria censura. "Metti la tua vita al sicuro: non GUARDARE indietro e non ti FERMARE in alcun luogo della pianura, cerca scampo sul monte altrimenti perirai...il sole spuntava sulla terra quando Lot arrivò a Soar. Allora il Signore fece piovere su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco..ma la moglie di Lot si FERMO' e si volse a GUARDARE e divenne una statua di sale. Gn 19 passim

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Truffatore imbroglione

Per qualche dettaglio in più sulla condizione sociale sudcoreana che immagino il regista voglia narrare, vero e proprio testacoda tra la tradizione millenaria cinese della selezione statale e il capitalismo sfrenato, si può leggere:
link
A margine, questa serie sembra inserirsi nel solco di The Hunger Games, con pesanti ispirazioni dal manga Kaiji:
link

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Pastinaca

Ricollegandomi a ciò che recitava a suo tempo un noto sito (cito a memoria): "In Paesi evoluti come la Corea del Sud basta un tozzo di pane per scatenare la competizione".
Calzante o esagerato che sia, chi decida di mettere in immagini le bassezze derivanti da questa affermazione non starà di certo facendo "critica al sistema", ma solo realizzando un'opera che porterà i fruitori a familiarizzare ancora di più con ciò che in essa viene rappresentato.
I personaggi di quella serie del resto sono i primi ad accettare questo stato di cose, e non si muovono contro di esso, ma "al suo interno". Stanno cioè al gioco.
Cosa c'insegnano del resto le miriadi di film e telefilm americani in cui qualcuno si trova a dover pagare conti esorbitanti per curarsi? Ci si lamenta contro il sistema? Si fa fronte comune e lotta senza quartiere finché non si ottiene ciò che dovrebbe essere IL MINIMO per qualsiasi società civile? Ma certo che no! "Si sta al gioco", "si ingoja il rospo", ci si impegna PER SE STESSI e alla fine, se si è stati meritevoli, si ottiene ciò che si anelava.
Qui è (ovviamente) la stessa identica cosa. (la Corea del Sud del resto è la parte "americana" della penisola, a seguito della nota guerra)
Una delle frasi ricorrenti dei "cattivi" della serie è "Tanto questa gente sarebbe morta male comunque, noi se non altro diamo loro un'opportunità di giocarsela".
Al che i "buoni" se non ricordo male non trovano mai niente da replicare, a parte qualche frasetta generica. Addirittura anche molti "morituri" si trovano fortemente d'accordo con questa affermazione, tanto che poi - dopo esserne usciti - decidono di rientrare nel "gioco", per l'appunto per "giocarsela". E nessuno dice niente. (è questo a mio parere ciò che fa più rabbrividire di quella serie)
Poi alla fine "il bene" e "quelli degni" trionfano sempre, e qui accadrà la stessa cosa, ma cosa accadrà a quel punto? Quel che sempre accade in questi casi, naturalmente.
"I buoni" sconfiggeranno la tal azienda/fazione/accolita "deviata" responsabile dell'"iper-depravazione" in oggetto, e tutto ritornerà alla normalità (cioè al sistema che si diceva di voler criticare, che così facendo diventa però il più classico dei "migliori dei mondi possibili", o benissimo che vada "il migliore a cui possiamo legittimamente aspirare").
Non sono perciò critiche, ma favole morali.
Che insegnano e ajutano a introjettare la "morale" imperiale.

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↪ Il Pedante

Ottima analisi.

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Valerio

Quindi, l'Inferno di Dante (unica cantica disponibile per decenni) è diseducativo in quanto descrive la depravazione umana?

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↪ Il Pedante

Ritengo di avere risposto più volte a questa domanda nel testo. Ma se ho mancato di chiarezza, mi scuso.

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Loredana

Articolo magistrale, come sempre

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Etnadep

Buongiorno, vorrei argomentare in risposta a ogni passaggio ma mi rendo conto che ci vorrebbe un testo di pari e probabilmente maggiore lunghezza. Mi limito a precisare che, nel caso specifico di Squid Game, la presenza di personaggi “positivi”, a loro modo eroici, rappresenta il fulcro stesso della “storia”. Il protagonista, tale Seong Gi-hun, malgrado abbia vinto il gioco ottenendo una cifra sufficiente a renderlo ricco per tutta la vita, resiste alle minacce subite e si ingegna per partecipare nuovamente al macabro spettacolo al fine di cercare di salvare i nuovi giocatori, ma soprattutto rivelare l’identità degli illustri quanto enigmatici personaggi che ogni anno organizzano questo circo sfruttando la disperazione di gente ridotta sul lastrico. Seong, animato dal desiderio di giustizia e dal rimorso per le proprie azioni, rinuncia a tutto il denaro accumulato per dedicarsi alla sua missione la quale, diversamente dalle consuete narrazioni di stampo angloamericano, assume un carattere strettamente altruistico e generico, cioé riferito al prossimo in quanto tale, e non per salvare un proprio parente, la propria amante, o “il mondo intero” come entità al punto astratta da riflettere soltanto l’ego mitomane dei soggetti hollywodiani. Da qui a parlare di denuncia ce ne passa, ma non é un dettaglio, come non lo é la messa in scena di innumerevoli storie personali, motivazioni, caratteri e debolezze dei personaggi più o meno secondari, di volta in volta positivi o negativi, e che a mio parere rappresentano l’aspetto più sibillino della serie. Essi infatti sembrano a tratti confermare l’ineluttabilità del male attraverso la congenita subordinazione del povero al ricco, tratteggiando il ritratto di un’umanità miserabile nella quale le vittime sono soltanto carnefici che non ce l’hanno fatta, a tratti invece sembrano voler premiare lo slancio quasi ascetico del protagonista, facendosi portatori dei suoi stessi valori e accompagnandolo nella lotta di liberazione. Questo generico binomio, fatto di decine di frammenti diversi, é l’aspetto più “sociale” dello show, il quale, consapevolmente o meno (ma per denunciare qualcosa bisogna esserlo), mostra un’umanità devastata dalla povertà e soggiogata da un potere iperclassista al quale si concede o per debolezza o per costrizione, del quale condivide i piaceri pur odiandone i privilegi. Non ricordo film americani moderni nei quali sia emerso questo aspetto in maniera tanto manifesta e brutale. Non significa che sia un merito né tantomeno un progetto, ma il suo effetto, per quanto mi riguarda, non é sovrapponibile a quello di un qualunque sparatutto o di un horror movie.

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↪ Il Pedante

Gentile lettore, La ringrazio innanzitutto di avermi fornito un dettaglio che non conoscevo - e di avermi così risparmiato la pena di conoscerlo guardando la serie. Condivido la Sua osservazione: siamo lontanissimi dal format hollywodiano la cui manipolazione si fonda invece sul pieno riconoscimento dell'aspirazione al bene e sul suo utilizzo per lubrificare visioni e messaggi politicamente orientati, nel senso più ampio del termine. Né la mia menzione di videogiochi e horror movie voleva tracciare un'analogia puntuale. Le Sue riflessioni, che reputo preziose, non spostano però di molto il mio sospetto che questo e altri prodotti artistici non ritraggano tanto una società disperata quanto uno sguardo disperato, degli autori e del pubblico.

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Liceo 1979

...SALVO PASOLINI...SUA CULTURA E STORIA ..POESIA....CINEMA& VICINANZA AI "CELERINI" SICURAMENTE AL DI SOPRA DI DUBBI...IL RESTO VERO...CONDANNABILE..INCUBO PERSONALI!!!?

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↪ Il Pedante

.....DIECCI LIRE....

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Phaselus ille

Non posso glissare sulla necessità, per me, di attestarLe (è la volta ennesima) la mia stima.
Sono rare le persone dalle quali mi capiti di apprendere veramente, o che mi offrano prospettive e strumenti concettuali tanto originali e raffinati.
Sull'oggetto di questo Suo intervento, tuttavia, il mio sguardo è diversamente orientato.
Presto (e più banalmente) detto: si tratterebbe (sin da Agostino) del morbo degli spectacula, tanto più attraenti e soggioganti quanto apparentemente repulsivi o, sempre, emozionalmente potenti...
Sul "coso" coreano: non potrebbe spiegarsi semplicemente con la fenomenologia del pornografico (e non mi riferisco necessariamente a donnine e megalomembri in fregola)? Insomma, ricorrendo a uno sbreccato e rugginoso rasoietto di Occam, tenderei a una lettura più riduttiva - che non esclude la Sua, più concentrata (mi pare) sullo sbugiardamento del pretesto addotto da quegli orridi ostensori di scelera: io vedo tanto uno sfruttamento del Male esibito il cui fine immediato sia commerciale (strumento) e quello ultimo consista nel controllo, nella sedazione, nel vero potere (Lei non usa il televisore: La informo che un tg non si allontana molto da ciò che intendo). O potrebbe anche invertirsi l'ipotesi. La chiudo rozzamente: un far soldi rimbecillendo tutti - sfruttandone la (naturale?) inclinazione voyeuristica - o un rimbecillire tutti per far soldi, o le due cose assieme (questo sì essendo molto, molto... capitalistico).

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↪ Il Pedante

Gentile lettore, La ringrazio del Suo contributo, ma appunto non credo che esso integri una visione alternativa a quella che propongo. Nel testo ho cercato, tra le altre cose, di sviluppare i moventi di questo voyeurismo, o almeno di abbozzare una mia idea in proposito. Che esista e che qualcuno lo sfrutti per consolidare poteri e patrimoni è sotto gli occhi di tutti. Più nascosti e interessanti sarebbero i motivi per cui tutto ciò funziona.

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