Leggo e ascolto molte persone parlare di cose sessuali. Apparentemente non per trastullo o per curiosità, ma per fissare una norma da imporre a sé stessi e, se possibile, agli altri, mossi dalla preoccupazione che l'assenza di tale norma sia causa di molti mali. I protagonisti di questa ricerca oppongono generalmente una morale di tipo tradizionale all'approccio libertario degli ultimi decenni. Sennonché anche i loro antagonisti dispiegano una vis normativa di forza uguale o forse maggiore, come dimostrano propugnando un rinforzo dell'educazione sessuale scolastica, cioè di una regola sessuale (la loro) negli istituti normativi per eccellenza, o anche il varo di nuove leggi, cioè appunto di norme, che la impongano. È dunque una guerra tra regolatori «antichi» e «moderni» in cui nessuno, almeno dal suo punto di vista, invoca l'assenza di norme.
Fin qui nulla di nuovo. Tutte le civiltà hanno eretto recinti morali per proteggersi dalle conseguenze nefaste di una passione irrestitibile e necessaria alla vita. Fino a tempi relativamente recenti il problema non era il sesso in sé, ma ciò che le persone sono disposte a fare per inseguire il suo richiamo tirannico. Il vecchio catechismo cattolico ammoniva che la sregolatezza erotica «trascina a molti altri peccati e vizi» (Cat. magg., 425), ma il potenziale delittuoso di una sessualità senza freni era già tutto nei miti. Eros e l'impetuoso Himeros, i più famosi degli Eroti figli di Afrodite, avevano per padre la guerra (Ares) e fu infatti una passione illecita a causare gli eccidi di Troia, ma anche la disgrazia di Edipo, la furia omicida delle baccanti, la degradazione e la morte di Atteone. Nel vasto catalogo biblico spiccano l'adulterio di Betsabea e del re Davide, che per coprire il suo peccato fece vigliaccamente morire il marito di lei, l'idolatria degli israeliti sedotti dalle prostitute di Baal, la rovina di Sansone per mano di Dalila, la calunnia degli anziani giudici infatuati da Susanna, l'esecuzione del Battista per un capriccio incestuoso e senile.
Di nuovo c'è invece la democratizzazione del discorso normativo, facilitata senz'altro dalle «cattedre» digitali che permettono di predicare a migliaia o milioni pigiando un bottone, ma più in fondo dalla concorrenza di diverse morali e quindi dalla loro incertezza. Siccome una civiltà senza dèi è anche la più superstiziosa perché «capace di credere in qualsiasi cosa»,[1] quella senza morale è anche la più moralistica e irta di comandamenti tra cui districarsi. La ricerca, il dibattito e la declamazione di un canone erotico vanno dunque rubricati tra le voci che animano il «mercato delle verità» in cui ciascuno cerca con fatica una propria collocazione e uno spazio.
C'è però un grosso problema: che il sesso non è un esercizio ginnico, ma una sfera dell'essere che si attiva nel pensiero, nella parola e più raramente negli atti. Fatte salve poche e opinabili eccezioni, parlare di cose sessuali è dunque un modo di fare del sesso. Il caso particolare in cui ciò avvenga con l'intenzione o il pretesto di dare una norma è così frequente da configurare una fattispecie a sé nel diritto canonico (sollecitatio ad turpia, art. 904). E non solo.
Forse unica tra le passioni, quella erotica sconta un doppio carattere: è da un lato strettissimamente intima e perciò anche irripetibile nelle sue minute declinazioni, dall'altro naturalmente vocata a realizzarsi nell'altro. In questa sua sofferta natura bipolide cova il seme delle frustrazioni, dei conflitti, delle violenze, dei complessi, delle incomprensioni e di tante altre pene che corredano i «piaceri» d'amore. Perché quel desiderio scaturisce sì da un bisogno e dunque da una fragilità così profondi da dover essere inconfessabili e gelosamente sottratti allo scrutinio degli altri, epperò impossibili da soddisfare se non subordinandosi a quella stessa alterità che il pudore vorrebbe escludere. Per risolvere questa contraddizione tra intimità e condivisione, l'uso dei popoli ha fissato il locus dell'amor sessuale nel matrimonio, il cui scrigno è sorvegliato dalle leggi umane e divine.
Non è saggio ignorare la natura così soggettiva e segreta della sessualità. Ciò crea equivoci, come ad esempio il credere che le dilaganti rappresentazioni oscene violino quel segreto, mentre invece quasi sempre lo proteggono offrendo un controcanone «basso» che depaupera la rivelatrice ricchezza degli immaginari e li scherma dietro un più neutro catalogo di stereotipi e di mode commerciali, o ideologiche. Volendo massimizzare le vendite (o i proseliti) l'oscenità pubblica parla una koiné conformata e conformante che solletica molti, ma non identifica alcuno. Ugualmente equivoco è l'uso inaugurato da una fortunata teoria psicologica di ridurre ogni movente psichico al soddisfacimento o alla frustrazione di certi desideri sessuali. Come spesso accade in queste faccende, quella teoria non si limita a postulare l'indimostrabile o il falso, ma piuttosto il contrario del vero. Mancando ogni prova – fisiologica, neurologica, antropologica ecc. – di un monopolio eziologico dei moventi sessuali, è più logico che siano invece questi ultimi a riflettere la personalità e il vissuto degli individui, specie nel travagliato ambito delle relazioni: desideri di riconoscimento e di affetto, rapporti di forza, accudimento, attaccamento, riscatto, possesso, gratificazione, imitazione sociale. È dunque il carattere che si «sublima» nel sesso, non viceversa. È il sesso un volto dell'esistenza che rimanda a tutto, non tutto al sesso. Casomai si deve appunto ammettere che per la sua natura travolgente e istintiva la sessualità esprime quelle istanze in un modo così impresentabile e diretto da doversi nascondere sotto il manto della pudicizia, come le parti intime sotto i vestiti.[2]
L'avventura freudiana offre un altro spunto che qui ci interessa. Come è noto, il medico austriaco riconduceva le «nevrosi» a uno specifico immaginario incestuoso che ci piace tacere. Ma per sua stessa ammissione quell'immaginario morboso e violento scaturiva dall'analisi del suo vissuto e della sua famiglia d'origine. Era perciò il suo immaginario divenuto metafora delle sue inclinazioni e dei suoi problemi, non di quelli dell'umanità. Sicché i tanti che lo accusano di avere elaborato una teoria psicosessuale valida solo per gli individui di genere maschile sbagliano per ampio difetto, essendo casomai applicabile a un maschio, cioè al suo autore. Il caso, che si ripeterà in altre occasioni[3] e toccherà vertici di raccapriccio con certi seguaci, suggerisce una legge: chi parla di sesso[4] parla di se stesso. E lo fa con tanta più inconsapevole spericolatezza quanto più crede di imbastire un discorso impersonale.
Gli antichi si sono saggiamente guardati dal cadere in questa trappola, sicché mancano quasi del tutto gli esempi: forse certi trattatisti la cui furia misogina desta franchi sospetti, forse quel filosofo che nel tornare insistentemente sul tema della copula coniugale tradisce la sua rinnegata lussuria e il suo fallimento famigliare. Le cose cambiano all'alba della contemporaneità. Nell'ambito di una fiorente industria narrativa dell'eros, l'età dei lumi pratica anche la divulgazione della biologia e delle condotte sessuali con l'intento dichiarato di prescrivere al grande pubblico una buona norma igienico-sanitaria, che per la mentalità positivistica dell'epoca (e di oggi) coincideva con la buona morale. In questi testi (pseudo) scientifici e morali è difficile e invero ozioso stabilire quanto autori e lettori fossero mossi dal desiderio di edificarsi e quanto invece da quello di esporre e consumare i propri fantasmi.[5] Più importante è osservare che quel modello di moralismo voyeur, o di voyeurismo moralizzante, inaugurava una sintesi inedita che avrebbe ugualmente conquistato progressisti e conservatori, libertini e castigatori.[6]
Dopo un profluvio plurisecolare di contributi sessulogici le cui rappresentazioni e i cui giudizi si intrecciano fatalmente con gli spettri dei loro autori, grazie ai social network ora anche l'uomo comune può provare l'ebbrezza del pulpito. Ma la musica non cambia. Come non credere che chi denuncia ostinatamente certe condotte non ne sia singolarmente turbato, se non in qualche caso sedotto? Che non desideri normalizzare una sua singolare ferita gabellandola per una condizione comune? Siccome il tempo e le energie sono scarsi, dedicarli a certe faccende può tradire un interesse speciale. E tradirsi in pubblico è poco prudente. Ai protagonisti di questi pulpiti vorrei dunque dire: copritevi! Non rispondete a chi denuda il corpo denudandovi l'anima. Riportate il fuoco nel tempio, proteggetelo, non datelo ai porci.
«When men choose not to believe in God, they do not thereafter believe in nothing. They then become capable of believing in anything». Spesso erroneamente attribuita a G.K. Chesterton, la frase è del suo commentatore Émile Leon Cammaerts (The Laughing Prophet: The Seven Virtues And G. K. Chesterton, Methuen & Co. Ltd, London, 1937). ↩
Da qui si capisce perché i ricatti più efficaci, come quelli orditi su un'isola famosa, siano di natura sessuale. ↩
Ad es. in modo particolarmente disturbante nel c.d. caso di Dora, in cui F., attribuendo a un'adolescente vittima di molestie sessuali moventi libidinosi repressi, «built gratuitous reconstructions, projecting onto the young Dora his own excitability and wishes for her excitation [!] and corralling her desires within the orbit of his knowledge and ambitions» (P.J. Mahony, Freud's Dora: A Psychoanalytic, Historical, and Textual Study, Yale University Press, 1996). ↩
In realtà di argomenti sessuali. Qui si è scelto il termine per amor di rima. ↩
V. ad es. la diatriba sorta sui fini del celebre manuale sessuale Aristotle's Masterpiece (1684), o la morbosa ambivalenza del vendutissimo pamphlet morale Onania: or, the heinous sin of self-pollution (inizio sec. XVIII). ↩
V. ad es. i casi opposti di Richard von Krafft-Ebing e Alfred Kinsey. Furono entrambi autori di un vasto catalogo di pratiche sessuali eterodosse, ma il primo per affermarne l'origine patologica, il secondo, pornografo e bisessuale, per normalizzarle. ↩
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