Che cosa ci insegna l'elezione al Parlamento europeo dI Ilaria Salis, condannata in Italia per alcuni reati e ultimamente reclusa in attesa di processo a Budapest, dove la si accusa di avere preso parte ai pestaggi di due cittadini ungheresi? Nulla di nuovo, ma ce lo insegna con rara chiarezza. Le persone che hanno scritto il suo nome sulla scheda elettorale (sembra più di 175 mila) non possono essere state persuase dal suo programma: non ne aveva uno, o se lo aveva non poteva esporlo agli elettori, trovandosi in arresto. Né dai suoi trascorsi mandati, non avendo mai ricoperto la carica. Perché allora hanno votato proprio lei? Per tanti immaginabili motivi: per la sua storia, per gli ideali che incarna, per salvarla da un procedimento giudiziario considerato ingiusto o comunque troppo severo, per fare dispetto a un governo ritenuto ostile e agli avversari politici che si auguravano una condanna esemplare.
Tutte ottime ragioni per chi l'ha votata, sennonché c'è un dettaglio: che nessuna di esse ha a che fare con ciò che ci hanno raccontato essere la democrazia. In quest'ultima, ci hanno detto, gli eletti rappresentano la volontà, non l'identità degli elettori. Entrambe le condizioni possono verificarsi, ma la prima è necessaria, la seconda accessoria. Ciò che distingue l'eletto da uno qualsiasi dei suoi elettori dovrebbe essere il fatto di avere non solo la «giusta» visione delle cose, ma specialmente la capacità di tradurla prima in un programma e poi in provvedimenti, o alla peggio in un'azione di contrasto ai provvedimenti contrari. Altrimenti quel voto non differirebbe in nulla dal voto delle competizioni televisive con cui si premia il più simpatico e il più bravo, quello con cui ci si identifica meglio, o viceversa si punisce l'antipatico, ma alla fine si spegne e si va tutti a dormire.
L'operazione Salis dice che si vota per essere, non per agire. Per dire «io sono», «vorrei essere» e più ancora «non sono» – qui i «fascisti», là i «comunisti», i «globalisti» ecc. – sperando che il resto venga da sé. Una speranza, intendiamoci, praticamente obbligata. Se da un lato auguro agli elettori dell'onorevole Salis di realizzare attraverso il suo lavoro parlamentare le proprie idee, dall'altro mi permetto di dubitarne assai, se non altro perché il parlamento in cui operererà è l'unico al mondo in cui non si può neanche fingere di legiferare! Quindi tanto vale mandarci personaggi e bandiere; allestirlo come un teatro o un'esposizione, non come un'assemblea di lavoro. Che può fare? Sventolare da lì il suo simbolo e infiammare il pubblico con qualche intervento in traduzione simultanea e qualche intervista concessa nei corridoi, magari esibendo cartelli e magliette, siccome altri un altro pubblico ammiccando ai memorabilia del Ventennio, altri ancora un altro iconico campionario. Come i beniamini dello spettacolo, ciascuno darà ai propri fan l'ebbrezza di calcare un palco sontuoso e la soddisfazione di far infuriare i propri nemici. E ciascuno dai divani di casa troverà in quel cast di che alimentare il proprio non sum per dimenticare il proprio non possum. Questo post(?)voto degno di una post(?)democrazia non ha dunque nulla di eccezionale, se non il fatto di illustrare meglio di tutti una norma.
Lascia un commento