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Prima Repubblica, quarto potere


Con tanti altri figli del baby boom, ho fatto in tempo anch'io a conoscere la Prima Repubblica. L'ho vista e vissuta da bambino nei suoi risvolti pratici, quelli dell'Italia spendacciona (leggi socialdemocratica) e provinciale (leggi sovrana). Da adolescente, prima che un manipolo di magistrati smantellasse tutto, ne intravidi anche i metodi politici.

Nel mio paese alla periferia della periferia di un grande capoluogo del Nord, la Democrazia Cristiana aveva il volto del parroco don Remigio e del maestro Orlando. Il primo fu a capo della parrocchia per più di trent'anni. Andai a trovarlo poco prima che morisse, nel suo paese natale all'imbocco della Valsassina, dove si era ritirato. In quella grande casa c'erano migliaia di libri. Don Remigio mi spiegò che, essendo anche una sezione locale della DC, vi si era costituita una piccola biblioteca a disposizione dei militanti. Sugli scaffali trovai di tutto: autori cristiani di ogni epoca, romanzi anche recenti, classici greci e latini, saggi, enciclopedie, dizionari e grammatiche di lingue straniere. In un angolo a parte, una collezione di poeti in lingua còrsa di cui Remigio era cultore.

Il maestro Orlando era un ex seminarista che insegnava religione nei licei, grecista e bibliofilo, giornalista e critico cinematografico. È ancora vivo. Oltrepassati gli ottanta ha pubblicato una bella raccolta di poesie in cui si dichiara omosessuale e racconta il tormento di avere represso quel segreto per tutta la vita, ricavandone una lunga e grave depressione. Oggi ne parla con serenità e ha imparato ad amarsi come Dio lo ha creato.

Il braccio secolare dei due uomini DC era un gruppetto di industriali e dirigenti d'azienda che in quattro decenni, dal '50 ai primi anni '90, ha dato lavoro a mezzo paese. Di questi, l'unico ancora in vita ha incassato una serie impressionante di lutti famigliari e si è visto l'azienda, un tempo leader in Europa, messa in ginocchio dall'apertura del mercato ai produttori stranieri, dalle delocalizzazioni dei concorrenti e dagli squilibri del cambio.

Più sotto c'era la «scuola di partito». Che non era un luogo, ma un sistema capillare di reclutamento e formazione delle nuove leve politiche che pescava dal vivaio cattolico per eccellenza, l'oratorio. Lì si selezionavano i «talenti» da preparare alla professione politica - non ci si vergognava allora di definire la politica una professione: difficile, nobile, faticosa - e a un cursus honorum che dagli aspera dei consigli comunali poteva dischiudere gli astra del governo nazionale.

Nei primissimi anni '90 frequentai brevemente la «scuola di partito». Le «lezioni» si tenevano in gruppo in una saletta dell'oratorio sotto la guida di ragazzi più grandi già avviati alla carriera, o dallo stesso Orlando. Ciò che mi colpì - allora negativamente - fu il fatto che durante i corsi non si parlava della situazione politica allora attuale, né di storia dei partiti, né di leggi o di diritto pubblico. Gli istruttori si limitavano a sbattere sul tavolo un pacco di quotidiani del giorno e ad analizzarne con noi non già le notizie, ma il modo di dare le notizie. Ci invitavano, ad esempio, a interrogarci sul perché alcuni giornali riportassero in prima pagina fatti che in altri occupavano poco spazio o non erano affatto menzionati, sui toni utilizzati nel testo, sulla scelta dei titoli, delle foto, dei commenti. Nel corso dell'analisi ci fornivano informazioni sul posizionamento politico degli editori, sul contesto delle notizie e sugli interessi sottesi ai fatti riportati, ma in modo indiretto e mai sistematico, come tessere che i candidati, con l'avanzare della formazione, avrebbero dovuto autonomamente comporre.

Per un tredicenne «normale» era francamente un po' troppo e cedetti presto alla noia. Ma ripensandoci oggi, oggi che quel mondo e quel modo di fare politica non esistono più, mi rendo conto che per quei formatori e per la tradizione in cui si erano a loro volta formati, una conoscenza precisa e disincantata della macchina dell'informazione, delle sue leve retoriche e del suo vero ruolo di costruzione e decostruzione del consenso non era solo un bagaglio importante per chi si avvia alla carriera politica, ma il primo, fondamentale requisito di accesso a quella carriera, tanto da mettere in ombra, filtrandola, ogni altra competenza. Perché agli esponenti della scuola democristiana - come, immagino, anche di quella comunista e delle altre - era lampante che le narrazioni della stampa sono per chi è governato, non per chi governa. E che la lettura dei giornali non serve ad avere le notizie, se non per eterogenesi dei fini e in mancanza di fonti migliori, ma per conoscere e anticipare le intenzioni di chi scrive, pubblica e finanzia i giornali. Per quei maestri il politico doveva al limite ispirare l'informazione ma mai, per nessun motivo al mondo, lasciarsene ispirare.

Quelle preoccupazioni e quei metodi possono sembrare ossessivi, ma il tempo trascorso da allora ha dimostrato che non lo erano affatto. Oggi alcuni amici, credendomi interno alle cose del Palazzo, mi chiedono consigli su come iniziare una carriera politica. Io mi rallegro che come allora ci siano persone, soprattutto giovani, che desiderano impegnarsi nel governo comune, ma quando chiedo loro quali siano i loro programmi scopro che, a seconda dei casi e del giorno del mese, essi intendono contrastare «l'avanzata delle destre» o «i comunisti», dichiarare guerra al «razzismo», al «populismo» o alla «corruzione» (che-mangia-miliardi), «fare qualcosa» per i «migranti», frenare le «spese pazze» dello Stato, «mettere ordine nei conti pubblici» eccetera. Al che mi taccio. Non perché quelle idee non meritino discussione. La meriterebbero se fossero appunto... idee e non parafrasi, nei contenuti e nelle formule, degli editoriali del giorno. Se aggiungessero un'analisi o quantomeno una parola, un punto di vista, a ciò che può già leggersi nelle bacheche delle edicole, nei titoli dei telegiornali o sui portali web dell'informazione «accreditata». Se ci fosse insomma la sensazione, anche vaga, che ci si stia solo affacciando da una piccola finestra distorta sul mondo e sulle possibili scelte di pensiero e di azione per comprendere e per cambiare quel mondo.

Capisco allora che sta accadendo oggi ciò che ieri l'Orlando e i suoi giovani assistenti temevano: che il quarto potere di Welles, diventato il primo, avrebbe dettato a chi fa la politica e a chi sogna di farla non solo l'agenda ma più gravemente i confini di un dicibile e di un percepibile da non oltrepassare. Che pochi manovratori avrebbero condotto le classi politiche come falene alla luce, illuminando questo o quel minuscolo spigolo del tutto e lasciando sprofondare nel buio tutto ciò che non deve essere compreso, né disturbato. Già oggi sempre più politici, docili al guinzaglio della rassegna stampa mattutina, commentano le notizie mentre le notizie commentano i politici che commentano le notizie, in un teatro degli specchi tutto letterario in cui trionfa la parola e i fatti seguono a distanza, o non seguono affatto.

Tornando ai miei giovani amici, avrei potuto risponder loro che destra e sinistra sono due modi antichi e legittimi di intendere i rapporti sociali, ma che non devono necessariamente identificarsi ne «le destre» e ne «le sinistre» di cui scrivono oggi - non ieri, né domani - i giornali. E che il dramma delle migliaia che entrano nel nostro Paese non è più urgente di quello delle migliaia che lo lasciano, dei milioni che non possono o non vogliono partire e dei miliardi che, in generale, non hanno la fortuna di riscaldare il cuore o l'interesse della grande «opinione». E ancora, che il problema dei soldi pubblici si colloca nella loro definizione e giurisdizione, non nella loro quantità. Sono sicuro che avrebbero compreso senza fatica queste e altre nozioni, ma non altrettanto che avrebbero riconosciuto loro la dignità di esistere al di fuori del cono di luce del riflettore mediatico. Perché il merito è accessibile solo a patto che il metodo ne autorizzi l'inclusione. Temo perciò che sarebbe servito a poco.

Affinché la filologia e l'educazione al possibile diventino sistema e non tesi stravaganti di qualche blogger o anziano professore, servirebbe altro, ad esempio una scuola. Come la vecchia scuola di partito della vecchia Repubblica. Che forse anche per questo motivo, pur tra i tanti suoi limiti, ha smesso di esistere.


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Commenti

Pupi (RR)

E' un panorama assai familiare anche a me, che ho frequentato scuole cattoliche: asilo ed elementari dalle suore, liceo dai Barnabiti.
Il mio professore di latino scriveva per il papa. Il mio docente di italiano, un laico, ci formò in maniera superba.
L'insegnante di storia e filosofia era una donna stravagante, di preparazione e dedizione mostruose.
Ora tutto chiuso, sbarrato. E' un mondo che rimpiango profondamente.
RR

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EpifanioG

Un bel contributo, anche per il dibattito che ha suscitato, mi sembra. Anche se poi gli interventi sono stati prevalentemente incentrati sul perché è caduta la Prima Repubblica, che non era il tema principale del post fino a prova contraria.
La Prima Repubblica è finita, e questo è un dato di fatto da accettare. Ma i politici "nuovi" (Renzi in testa) sono dei tipici esempi di "governati", e non di "governanti", anche quando siano al governo.
Governati da un potere che ormai nei suoi gangli più vitali è fuori dall'Italia, completamente esternalizzato.
Questo è il destino che ci ha riservato il post Guerra Fredda.
Lo scambio che c'è all'interno di questo blog è uno dei pochi esempi (degli ultimi esempi?) di dialettica politica, e di tentativo serio di analisi. Grazie anche all'equilibrio del gestore, e al garbo con cui propone i suoi punti di vista.
Perché blog con analisi serie e degne di attenzione ce ne sarebbero, ma troppo spesso i gestori sono delle primedonne nevrasteniche, o dei professori frustrati insofferenti ai punti di vista altrui (esempi naturalmente non posso farne, e probabilmente li conoscerete da voi).
Non a caso, ho notato che sempre più blog non hanno più lo spazio per i commenti.

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Gengiss

A proposito di agenda setting e cose che non si possono dire, non è strano che nessuno dica che il crollo del ponte di Genova potrebbe essere stato un attentato e non un incidente? Non dico che lo sia, ma potrebbe esserlo. Ci sono vari indizi in questo senso: l’anomalia della dinamica, i lampi di luce visti poco prima, l’alto valore simbolico dell’opera ( a Genova, città pentastellata per eccellenza)... E non è strano che la pagina di Wikipedia, in italiano inglese e francese, sia sta aggiornata il giorno stesso (da chi?) con tutte le informazioni sul ponte, in modo che i media di tutto il mondo dessero la notizia allo stesso modo? La Bbc (la stessa che spaccia le notizie false sulla Siria) da’ la notizia come seconda per importanza...

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↪ Il Pedante

Non sono un giurista, ma nell'ambito di indagni "a tutto campo" non mi è chiaro perché non sia stata nemmeno ipotizzata la fattispecie.

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↪ mikez

Gentile @Gengiss,
direi che manca l'altro elemento fondamentale di un attentato: la rivendicazione. Cioè la pubblicità dell'agente (nel senso neutrale di soggetto individuale e/o collettivo che agisce) che compie l'attentato. E senza pubblicità l'atto terroristico non ha senso (in primis per chi lo fa) perché non trasmette alla popolazione il terrore.
Il sentimento pubblico di questi giorni è disperazione, rabbia, sconcerto, pena. Ma non terrore.

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↪ Rifle

Gentile @mikez,
ammesso e non concesso che l'ipotesi attentato possa essere veritiera, non sempre la rivendicazione è necessaria, in particolar modo quando l'obiettivo non è quello di seminare terrore.
Dopo il crollo del ponte per il governo si è aperta la possibilità di rivedere importanti assetti economici come le lucrose concessioni a favore di attori economici schierati con un certo tipo di establishment economico.
I contrastanti interessi geopolitici che oggigiorno attraversano l'Europa e anche l'Italia sono profondi e senza scrupoli.
Anche quando l'aereo di Mattei precipitò, per un possibile sabotaggio, il terrorismo, come lo intendiamo noi, non c'entrava ma a qualcuno la sua morte fece comodo.
Non credo alla possibilità di attentato, sto analizzando a 360° le motivazioni di un eventuale attentatore che avesse deciso di far saltare l'infrastruttura.
Semplice ipotesi.

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bedrosian baol

Dopo aver letto alcuni suoi scritti (e sentito alcuni interventi tramite i video pubblicati), sento di poter dire che le analisi de Il Pedante siano una delle migliori opere di demistificazione sulla comunicazione (e sulle forme di pensiero che le fanno da fondamento) della realtà sociale italiana.
Questo scritto, che sottolinea un arretramento culturale operato dalla retorica ridondante dei media, la quale fa perno su pochi slogan ripetuti da anni, pone una prospettiva critica e originale sul rapporto tra pensiero politico e azione politica.
Viviamo ancora il predominio, la prigionia, dei paradigmi di ciò che viene definito "neoliberismo". Una schiavitù dalla quale ci si può liberare grazie ad una agilità di intelletto che si traduce nella capacità di svelare la menzogna e la schizofrenia insite nei dogmi che sono divenuti i capisaldi dell'azione delle classi dirigenti e dell'assenso (sia tacito che manifesto) delle masse.
Ora so che ci sono pensatori critici in grado di realizzare l'antidoto ai peggiori malesseri della nostra civiltà.
Al popolo il compito di svegliarsi e seguirli.

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↪ Giovanni

Gentile @bedrosian baol,
"Al popolo il compito di svegliarsi".
Il "problema" e' definire una "sveglia per il popolo". La conclusione del Pedante: "Affinche' la filologia e l'educazione al possibile diventino sistema servirebbe altro, ad esempio una scuola", credo che individui una ottima soluzione al "problema", benche' tale soluzione richieda un soggetto politico dotato della buona volonta', molto tempo e una grande fatica per la sua realizzazione. Ossia, richieda un "dirigismo politico" illuminato.

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↪ bedrosian baol

Gentile @Giovanni,
sono d'accordo con lei (e il Pedante).
Una scuola (o semplicemente, LA scuola, quella pubblica), avrebbe il dovere di far maturare il senso critico dei cittadini, prima ancora di trasmettere moli spropositate di nozioni.
Poi, visto che non dovremmo mai terminare di apprendere, si possono immaginare altri tipi di scuole, ivi comprese quelle di partito, che insegnino come ci si muove in politica nel rispetto dei principi costituzionali.
Forse l'Italia ha avuto pochi momenti paragonabili a quelli del dibattito in sede di assemblea costituente, durante il quale il confronto tra le idee e la loro armonizzazione (la democrazia vissuta come "conflitto e mediazione", secondo una definizione che ho udito dal professor Geminello Preterossi) che dovrebbero riportarci alla memoria il significato più alto del fare politica come del vivere da cittadino responsabile.

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Mario M

"Se un giornale vuole fare scandalo sulla sporcizia nelle città manda un fotografo in piazza subito dopo il mercato" Così un padre salesiano ci metteva in guardia su come i mezzi di comunicazione possono manipolare la realtà.
Da giovane, la politica non era nei miei interessi. A livello epidermico mi attraeva la sincera serietà dei repubblicani e il sincero istrionismo dei radicali, ma avrei votato comunista se Diego Novelli fosse stato il segretario del partito. Con la maturità ho provato a fare attività politica con i radicali di Pannella, alla maniera dell'immenso Victor Serge (facendo le debite s-proporzioni): "La mia decisione era presa; non sarei stato né contro i bolscevichi né neutrale, sarei stato con loro, ma liberamente, senza abdicare al pensiero né al senso critico...". Riconoscevo in Pannella la forza del metodo: la non violenza, il rispetto della legge, la libertà di espressione, la democrazia all'interno del partito. Purtroppo nel merito ( a parte la prima fase sulla difesa dei diritti civili, che fu anche uno dei primi provvedimenti di Lenin) cadeva in ingenuità clamorose, piegava il partito verso lo scientismo e l'economicismo in senso libbberista. Per un certo periodo ha nominato solo von Hayek e Friedman, forse neanche conosceva economisti suoi corregionali, come Federico Caffé e Marcello De Cecco, a mio giudizio molto più validi. Pannella aveval'ossessione dell'informazione, e ha difeso strenuamente radio radicale, che però viveva in una contraddizione perenne, ma forse era anche il suo merito. Il partito radicale, da statuto, aveva rinunciato a presentarsi alle elezioni politiche, ma poi lui inventava scatole e sigle per competere.
Ultimamente sono arrivato alla conclusione che anche nei partiti politici occorre la separazione delle carriere: chi assume cariche all'interno del partito non può concorrere alle cariche governative. Ed è quello che in parte è successo con gli ultimi due governi, con i primi ministri che non erano esponenti di rilievo nei rispettivi partiti.

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Serpico

Tornando sull'articolo, quanto descritto si chiama "agenda setting".
Almeno da quello che ho letto pochissime settimane fa a tal proposito ed in contesto di feiknius, è un modo come un altro per decidere di cosa si debba parlare, su quali binari instradare il dibbbattito pubblico.
Trovo comunque questa cosa buffa, perché da "autodidatta" a porre moltissima attenzione al tipo di retorica ed agli argomenti che si usano in certi contesti me lo hanno insegnato anni di forum a tematica "religione"...
Ad esempio, ieri Borghi era ad Agorà Rai, e dopo essere tornati da uno stacco pubblicitario, hanno cominciato ad intervistare il direttore di un museo prossimo alla pensione: lì per lì mi sono chiesto cosa c'entrasse o quanto meno quale fosse l'utilità, al ché una volta rientrati dal servizio intervista si è cominciato a martellare Borghi sulla tenuta dei conti, sui vecchi che ancora desidererebbero lavorare e sulla legge Fornero.
Insomma, una specie di rampa di lancio per incanalare il tutto in un determinato "frame".

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Serpico

Sento il bisogno di bloccare un attimo la lettura a "allora non ci si vergognava di definire la politica una professione", perché probabilmente ormai per certe ggente questa professione è talmente screditata che campando di lavoretti in nero fino alla soglia dei 40 da sempre si sentono in dovere di apostrofare "giggino" come "uno che non ha mai lavorato" o "un bibitaro" a seconda della bisogna.
Anni ed anni fa, uno dei pochi che aveva capito forse tutto si è buttato nella militanza politica del nostro piccolo comune, sta di fatto che ad oggi, in un mondo di laureati in lettere che danno ripetizioni, forse è l'unico ad aver contribuito a migliorare la gestione della cosa pubblica e si è costruito una rete di relazioni tali da poterci campare ancora a lungo.

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Peppe

Gentile Pedante, ho da poco finito la crisi narrata e lo considero uno dei più bei libri che abbia mai letto.
L’altro giorno in un post pubblicato su un noto social network veniva posto il seguente interrogativo: se un miliardario pagasse il debito pubblico italiano, sareste disposti a farlo diventare il dittatore d’Italia?
Io, senza addentrarmi in concetti quali la monetizzazione del deficit, il divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia che ha gonfiato artificialmente il debito pubblico, ho cercato di dimostrare l’assurdità della proposta commentato nel seguente modo:
“Lo Stato è il fondamento della proprietà privata: la legge regola l'esercizio del diritto di proprietà.
L'uomo ricco è ricco perché le leggi dello Stato gli riconoscono la proprietà sulla sua ricchezza.
Se uno Stato ha la sua moneta, il debito pubblico è un'obbligazione disciplinata da regole decise dal debitore.
I titoli di Stato che formano il debito pubblico sono acquistati in parte dai cittadini ed in parte dagli stranieri.
Per i titoli di Stato acquistati dai cittadini, si ha che il debito dello Stato è credito dei cittadini, risparmio dei cittadini.
Lo Stato ha quindi un debito verso i suoi cittadini, ma ha anche un credito verso i suoi cittadini con il quale compensa il debito: le tasse.
Gli stranieri possono acquistare titoli di Stato italiani, ma anche gli italiani possono comprare titoli di debito pubblico di Paesi esteri. Nei rapporti con l’estero, ciò che conta è il saldo: se il denaro che entra annualmente in Italia è maggiore, minore o uguale al denaro che esce dall’Italia”.
Non ti dico gli insulti che mi sono arrivati: chi mi diceva che non ho capito un c***o, chi più gentile mi consigliava di curarmi.

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Gianni

Ho idea che ci siamo caduti dentro, scarpe e calzoni compresi, a volte mi torna in mente John Steinbeck, quando narrava di un mondo, quello americano dell'epoca pre crisi del '29, dove tutti si facevano investitori, a tempo pieno, pure al ristorante non si parlava altro che dei mercati azionari, così oggi tutti parlano da ragionieri, o economisti, di finanza e politica economica, sembrerebbe quasi che l'uomo economico di quel folle Hayek (Friedrich von) si sia affermato senza possibilità di porvi rimedio e sembra sia diventata questa, in fondo, la dimensione ontologica dell'essere umano contemporaneo, non importa più se esistono istanze differenti, vanno comunque commisurate alla dimensione economica.
Dietro il Diritto c'è la Filosofia, o forse sarebbe meglio dire che c'era, perche adesso chi fornisce le Categorie è l'Economia, ancor prima che la Filosofia, mentre dovrebbe apparire evidente di per sè che stia alla Filosofia definire le Categorie Umane e Naturali da cui costruire il Diritto, così in un lento scivolamento verso una dimensione artificiale si vanno costruendo le linee politiche e di pensiero che andranno a governare l'umanità di oggi e forse anche quella futura.
Non sono movimenti improvvisi, ma sviluppi che necessitano di secoli e si affermano per secoli, così almeno accadde con quelle superstizioni totalitarie nate dall'albero del giudaismo, note come cristianesimo e islam, anche questa è una storia che non è iniziata ieri o ieri l'altro ma fa data da almeno due secoli e sino ad oggi, quel presente in cui chi possiede le redini del mondo sono gli istuti bankari e finanziari, non ha potuto risolversi in senso omnicomprensivo perchè in generale nelle persone esistevano altre istanze e altre chiavi di lettura dell'umano e di quanto lo riguarda e forse anche perchè la tecnica ancora non lo consentiva.
Fare Politica, in senso alto, a mio avviso, dovrebbe significare saper guardare molto all'indietro e molto in avanti, non solo occuparsi del presente o della contingenza, anche perchè l'oggi, anzi la lettura dell'oggi, si sta svolgendo quasi esclusivamente in senso economico o più terra-terra in senso monetario, moneta che per altro è diventata Fiat alla massima potenza, creata dal nulla per non creare altro che nulla, essendo il tutto già vincolato alle false leggi imposteci dai manager, tutti provenienti dalle grandi banke d'affari, che hanno assunto il ruolo di condottieri delle sorti umane, quindi politica che discende dagli affari e non più dal Diritto come invece previsto dagli Ordinamenti Costituzionali.
Per impedire questo sviluppo, che io personalmente considero nefasto, certo sarebbe molto utile ed importante imparare a leggere correttamente quanto la stampa di regime propaganda, anche se a me a questo punto viene molto più facile abbandonare completamente quel tipo di racconto, e l'ho già fatto da molti anni, la tv addirittura non l'ho mai frequentata, ma oltre alla voce del potere e dei suoi propagandisti penso sia meglio, per chiunque voglia comunque avere un ruolo politico ma anche per chi no, studiare più a fondo in senso storico e filosofico le questioni che investono la Politica.
Non ci siamo ancora liberati dagli assolutismi millennari delle superstizioni abramitiche e già stiamo piombando in un'altro assolutismo, quello economico, che già promette dispiaceri non meno dolorosi alla specie umana e persino al suo habitat, conquistandone l'interiorità e rendendolo un'altra volta schiavo.
Forse andrò troppo oltre, me ne scuso anticipatamente, ma mi domando se sarà mai possibile per l'essere umano vivere e costruire la propria società indipendentemente dal denaro, o è diventato un parametro talmente incarnato da essere diventato come un arto tra quelli che la nostra natura ci ha fornito? dobbiamo cioè condannarci per forza a questo incancrenimento o è possibile fermarsi almeno un momento e chiedersi ancora chi siamo e dove stiamo andando? certo nelle società di massa come si sono costituite è praticamente da pazzi pensare di potersi fermare e fare un punto complessivo sulla rotta che stiamo seguendo, eppure ad un certo momento questo treno andrà fermato.
Il rischio che andando avanti così, quasi per forza maggiore, si andrà alla fine o a qualche forma distopica di cui già molte volte romanzieri e registi cinematografici ci hanno avvisati, o forse servirà ancora una guerra totale e risolutrice che ci porti ad un nuovo e più promettente inizio.

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Bombadillo

Carissimi,
vorrei solo aggiungere che quanto evidenziato dal nostro Ospite, in riferimento alla cronaca, è valido, a fortiori, per la storia. La mia uscita dalla caverna, la mia pillola rossa (se preferiamo la moderna rilettura cinematografica del mito), è stata, a 18 anni, la questione meridionale. Iniziando a studiarla in modo indipendente e non scolastico, infatti - assieme a un manipolo di amici costituiti in associazione culturale-, mi resi conto della totale falsità della favola risorgimentale.
È chiaro, però, che non potei non applicare quello che io chiamo il teorema di Gasparrino, per cui, "se mi freghi su quello mi freghi anche sul resto: sei ladro tu, lo era tuo padre, e lo era tuo nonno, e io vi licenzio tutti e 3".
Del resto, la marcia in più che ho sempre avuto sulla questione europea che, pur non essendo un economista, mi è stata chiara sin dall'inizio, è stata dovuta proprio allo studio di quella meridionale, che con la prima ha analogie stringenti (si veda la questione dei dazi e della doppia moneta unificata).
La morale? Il problema, prima ancora della scuola politica e della cronaca, è quello della scuola tout court e della storia.
Per quanto riguarda, invece, mani pulite, mi pare evidente sia stato un cambio di regime in puro stile CIA, per punire, appena si è potuto (cioè quando non vi era più il pericolo dell'Unione Sovietica), una classe politica infedele. Non è che fossero socialdemocratici invece che liberisti (altrimenti non si sarebbero bevuti il divorzio senza battere ciglio), è che volevano comandare loro sul loro Paese. Vedi l'episodio di Sigonella. Il problema non era la politica economica, ma la estera, che poi ovviamente ha riflessi sull'economica, sulla quale un'autonomia italiana non era contemplata.
Altrimenti non ci avrebbero ucciso Mattei.
Meglio una classe politica abituata ad essere eterodiretta, a prendere gli ordini dallo straniero (migliore di noi, da imitare: facciamo come), senza la pretesa di fare una politica estera propria. Meglio un popolo di riferimento, quelli che li votavano, che era già abituato ad annullare il senso critico pur di salvare quello di appartenenza: ricordo la mia benestante (coi soldi del marito) insegnante di filosofia che, all'ultimo anno di liceo (ed era il 1992!), magnifica a la vita in Unione Sovietica, perché lei ci era andata e si stava benissimo!
O vi credevate che il tipo antropologico del piddino fosse nato col PD?
Tom

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Chinacat

Un breve PS.
Questo estratto proviene da un articolo di Leonida Bissolati, apparso su "Lotta di classe" nel 1895.
"Dove voi vedete il vizio del meccanismo parlamentare, il vizio invece è nell'organismo che lo move. Mentre vorreste trovare le ragioni della corruttela politica nel parlamentarismo, siete costretti, per quanto indirettamente, a riconoscere che le fonti di tal corruttela sono nel sistema sociale, per cui i deputati sono i rappresentanti di Tizio o di Cajo, ossia dei potenti che, al predominio esercitato in paese, vogliono porre il suggello del loro predominio politico. La immoralità di persona, la immoralità di partito, la immoralità di governo è la conseguenza necessaria dell'essere oggi il parlamentarismo lo strumento degli interessi di una classe che vive nell'immoralità e che della immoralità si è foggiata un'arma a tutela dei propri barcollanti privilegi. (...)
Il parlamentarismo non è dunque affatto la causa dei mali onde la vita pubblica nostra è ammorbata. E non è vero che, per sé stesso, il parlamentarismo sia in "decadenza" o si mostri insufficiente agli uffici assegnatigli dalla sua formazione storica. Anzi, quello stesso putridume che, mercè il parlamentarismo, viene a galla, dà ragione di concludere che questo meccanismo della rappresentanza politica adempie esattamente ed egregiamente le sue funzioni. MA E' APPUNTO PER QUESTO CHE NEL MOMENTO ATTUALE LA CLASSE DOMINANTE TENDE A METTERLO PROVVISORIAMENTE IN DISPARTE. LA DITTATURA PUO' SERVIRLE ASSAI MEGLIO IN QUESTI FRANGENTI."
Era il 1895 e gli elementi di base ci sono già tutti: la corruzione, la casta, l'immoralità, i politici come specchio del paese e l'uso strumentale della magistratura, ovviamente con una connotazione speculare ma opposta.

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Chinacat

Mr. Pedante,
la Sua analisi è come al solito eccellente ed essendo un '66, la sottoscrivo in toto. Ci sono però due frasi che messe insieme, stonano abbastanza. Ovvero:
a) prima che un manipolo di magistrati smantellasse tutto
b) le narrazioni della stampa sono per chi è governato, non per chi governa
Chi ha vissuto, come me e come Lei. l'era di Mani pulite sa molto bene che la prima frase è una delle due "narrazioni della stampa"; l'altra, ovviamente, era quella dell'eroico pool che si oppone coraggiosamente allo strapotere dei partiti.
Personalmente non condivido nessuna delle due spiegazioni ma trovo interessante il Suo richiamo a questa narrazione: secondo questa narrazione infatti, Mani Pulite sarebbe stato lo "strumento" delle nuove classi dirigenti (manovrate dall'estero) per obliterare l'Italia "sovranista e socialdemocratica" e farci passare all'ordoliberalismo.
Ovviamente semplifico ma se ho ben capito, il concetto alle spalle della Sua frase è questo e se sbaglio, La prego di correggermi. Purtroppo questa narrazione non mi convince affatto, a partire dalla più semplice delle domande (talmente semplice che non viene mai nemmeno posta):
perchè?
Provi a mettersi nei panni del suo nemico ordoliberale: perchè mai dovrei abbattere un sistema che per i miei scopi è perfetto? Se posso letteralmente comperarmi i partiti e farli legiferare come voglio io, allora ho tutto l'interesse a tenere in piedi quel sistema. La corruzione, suona strano dirlo ma forse è il caso di ripeterlo, è un mezzo e non certo un fine; il problema non è la somma della mazzetta ma cosa io voglio che tu faccia in cambio. E se tutti i partiti accettano di fare parte di questa sistema, l'ordoliberale nostrano o importato non si sogna nemmeno di abbatterlo. Può semmai interessargli di alterarne la forma e magari cambiare qualche nome ma tutto qui. Voglio abolire lo "Stato sociale"? Voglio privatizzare anche l'aria che respiriamo? Facile: li pago per farlo. E loro lo fanno. E se non accettano, è lo stesso partito che li allontana.
L'ordoliberale non è scemo; anzi, è un nemico molto più intelligente quel che ne viene fuori se assecondo questa narrazione. Con tutti i mezzi che aveva a disposizione, perché mai avrebbe scelto di usare il più pericoloso?
Mi creda, non sono un tipo da "casta-cricca-corruzione" ma la teoria del "prima che un manipolo di magistrati", ad una seria analisi logica, non regge molto e rientra nella "narrazione per chi è governato. Al quale vengono fatte due narrazioni:
ipotesi 1) la narrazione della "casta-cricca-corruzione-se-sono.magnati-tutto";
ipotesi 2) la narrazione del "la corruzione c'è dovunque quindi non può essere la causa".
Il governato, a seconda delle preferenza, ne sceglie una, la sposa e poi si accorge che è più facile divorziare dalla moglie che dalla propria narrazione.
E se ci fosse una terza ipotesi? Vuoi vedere che in medio stat virtus?
Chinacat

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↪ Il Pedante

In effetti sposo la seconda narrazione: la corruzione c'era prima e anche dopo, sicché non rilevo la variabile.

Rispondi

↪ Vincenzo

Gentile @Chinacat,
io sono del '58, quindi le mie osservazioni coprono un periodo anche più lungo. E sono state fatte da un osservatorio privilegiato in quanto mio padre era un altissimo dirigente statale, lo potrei definire per un certo periodo il "deus-ex-machina" del ministero, molto importante, presso cui prestava servizio.
Da buon siciliano, anche se trapiantato già dall'epoca dell'università prima a Firenze e poi a Roma, chiariva i miei dubbi non già con le sue risposte ma con i suoi silenzi o con le circonlocuzioni.
Purtroppo morì, in un incidente, subito prima dell'inizio di Mani Pulite, di cui mi sono quindi dovuto fare un'idea non già con il suo aiuto ma mettendo a frutto tutto quanto negli anni precedenti mi aveva detto o non detto.
Ebbene, l'idea che io mi sono fatto, la mia narrazione, è che Mani Pulite sia stato un regolamento di conti interno tutto italiano, un golpe dell'alta burocrazia statale contro la classe politica che di fatto venne totalmente delegittimata. La magistratura fu il braccio armato del golpe. I venti anni di storia successiva dell'Italia stanno lì a dimostrarlo.
De l golpe l'industria non fu complice del golpe, anzi essa stessa vittima. Per la FIAT iniziò il periodo più buio, ENIMONT saltò e saltò Eridania e via discorrendo. In fondo la grande industria era da sempre stata a fianco della classe politica.
Mani straniere? Forse, ma solo perché videro l'occasione e ci si buttarono dentro.
E' infatti proprio dal 1992 che inizia il declino produttivo dell'Italia, i numeri stanno lì a dimostrarlo. Quelli che parlano e straparlano dello SME, di Soros, dell'euro, guardano il dito e non la luna. In un paese con una guida politica salda non vi è crisi finanziaria che possa produrre un impatto così devastante. In fondo la finanza è solo fatta con pezzetti di carta, o bit di computer.

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↪ roxgiuse

Gentile @Chinacat, il problema è che l'ordoliberismo vorrebe annichilire totalmente il potere politico, demandando ogni dinamica, e quindi etica, sociale alle proprietà taumaturgiche del mercato, magari abilmente manipolato dal lato dell'offerta, ma questo è un altro discorso e ci portetrebbe lontano. Appare evidente quindi che un politico, per corrotto che sia, non può accettare la propria obliterazione. Ne sono esempio le attuali classi dirigenti il cui potere decisionale nella vita pubblica è uguale a zero e deve autoconfinarsi nella difesa di diritti umani che tra l'altro nessuno vuole minimamente conculcare. Sulla via giudiziaria per lo smantellamento del sistema economico misto-collettivistico della prima repubbblica lessi tempo fa dei documenti di orientamnento della CIA risalenti agli anni 80 che ne facevano pieno auspicio, ben sapendo che con un po' di abilità nel dossierare con le narrazioni corruttili si può far cadere qualsiasi politico , non per un'avversione propria al sistema, ma perchè le socialdemocrazie hanno come presupposto ineludibile la sovranità piena, e questa sarebbe stata di intralcio alla creazione del fronte orientale rappresentato dalla UEM. Poi sappiamo bene che la riottosità della Germania a cooperare con i paesi periferici ha fatto naufragare il progetto, almeno a livello atlantista.

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↪ The Max

Gentile @Vincenzo,
"In un paese con una guida politica salda non vi è crisi finanziaria che possa produrre un impatto così devastante."
Appunto, rimuovendo la guida politica salda hanno potuto fare quello che hanno fatto.

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↪ Chinacat

Gentile @Il Pedante, ci fosse solo UNA variabile, l'argomento si esaurirebbe velocemente ma come può notare, qui le variabili sono tante.
1) un golpe dell'alta burocrazia statale contro la classe politica
2) mi pare evidente sia stato un cambio di regime in puro stile CIA
3) con un po' di abilità nel dossierare con le narrazioni corruttili si può far cadere qualsiasi politico
Tre persone, tre narrazioni diverse. Come nel film Rashomon di Kurosawa: un fatto, quattro personaggi, quattro versioni diverse.
Marc Bloch diceva che lo storico deve lavorare come un giudice istruttore: deve leggersi le carte, interrogare testimoni, esaminare la scena del crimine, senza passioni o pregiudiziali. Uno Sherlock Holmes che al posto di criminali si occupa di storia.
Ho idea invece che il metodo preferito sia quello di anteporre le proprie convinzioni ai "fatti" e poi adattare questi ultimi alla propria narrazione; "fatti" dei quali, di solito, se ne ha una conoscenza abbastanza superficiale.
Mani Pulite fa parte della Storia delle mia Nazione e nel mio piccolo cerco di capirci qualcosa utilizzando il "metodo Bloch". E quando lo faccio, ciascuna delle narrazioni proposte, presa singolarmente, non regge al vaglio.
Qui tutti (spero) abbiamo in casa una copia de "Il tramonto dell'Euro": il divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro risale al 1981, undici anni PRIMA di Mani Pulite. E nel 1977 il "caso Lockheed" fece a pezzi, quasi in contemporanea, non uno ma quattro governi (e che governi!): Italia, Germania, Giappone e Olanda.
Chinacat

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↪ Chinacat

Gentile @roxgiuse, Le faccio notare una cosa:
"Appare evidente quindi che un politico, per corrotto che sia, non può accettare la propria obliterazione."
Il soggetto è sempre il politico, come se la corruzione fosse un reato individuale. Non c'è MAI l'altro soggetto, quello che paga. Ricostruire la storia di Mani Pulite senza tenere presente l'altro 50% di responsabilità è puro dadaismo dialettico. Chi pagava, perché pagava, a chi pagava e come pagava non è proprio un dettaglio irrilevante, eppure viene totalmente ignorato. C'è solo il "politico", completamente deconstestualizzato. E per quanto suoni paradossale, in questa narrazione diventa anche irrilevante se sia colpevole o meno, tanto poi la "colpa" la si posiziona altrove (la CIA o i Servizi Segreti deviati).
E c'è un altro aspetto terrificante ma ignorato: nel bene o nel male, i "partiti", nel mondo occidentale, sono la cinghia di trasmissione tra la società e la politica. Quindi, a mio avviso, con Mani Pulite non c'è tanto un problema di corruzione ma un ben più serio problema della struttura e della funzione di un partito all'interno della società.
Chinacat

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↪ Vincenzo

Gentile @The Max,
come ho scritto è stata rimossa la guida politica salda. Ma l'intervento esterno, straniero, non c'entra niente se non per approfittarsi di una situazione che ha genesi tutta interna.
Le faccio anche un poco di storia.
Per quello che era la situazione che si era venuta a creare dopo la guerra, cioè lo scontro USA-URSS, per l'Italia si poteva parafrasare la famosa frase di Henry Ford, la Ford T si può comprare di qualsiasi colore, purché sia nero. Per l'Italia si poteva dire che qualsiasi partito poteva vincere le elezioni, purché fosse la DC.
Perché ciò avvenisse la DC aveva bisogno che la burocrazia pubblica le fosse fedele. Per un paio di decenni non fu un problema, negli altri gradi vi erano persone che avevano iniziato la loro carriera sotto il fascismo e che non erano stati epurati dopo la guerra. Erano persone che mai avrebbero supportato il PCI.
Ma esiste un qualcosa che si chiama anagrafe contro cui nulla si può fare.
I più giovani scalpitavano e piano piano salivano di grado.
Le ho citato prima mio padre. Lui aveva iniziato la sua carriera nel '51 o '52, quindi dopo la guerra, non faceva parte di quella generazione di fedeli a tutti i costi. Anzi, a quell'epoca e ancora per un bel po' di anni fu più socialista e radicale (i radicali di Pannunzio).
Nei primi anni '60 svolse una intesa attività sindacale alla DIRSTAT, il sindacato dei dirigenti statali, perché all'epoca avevano un trattamento economico-normativo tutt'altro che favorevole, e dovevano pure faticare non poco. D'altra parte gli alti gradi erano fedeli a prescindere, chi stava sotto poteva aspettare. Ricordo ancora che quando avevo 6-7 anni spesso mi portava con lui presso la sede di via Po a Roma e alcuni frammenti di discorsi mi sono rimasti.
Poi, più o meno allo stesso momento, arrivò l'uscita di scena dei vecchi dirigenti, il '68, l'autunno caldo, il PCI di Berlinguer che si accreditò anche in classi sociali dove prima il PCI non avrebbe mai fatto presa.
E la DC ebbe la necessità di guadagnarsi l'appoggio incondizionato della pubblica amministrazione.
Risale proprio ai primi anni '70 la concessione di privilegi a tutto andare. Le baby-pensioni sono uno dei primi di questi, mia madre, anche lei dirigente pubblico sia pure di grado inferiore che negli anni '60 su doveva fare il mazzo lavorando anche la domenica, fu una delle primissime ad avvalersene.
Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 ogni alto dirigente pubblico ha modo di fare entrare nella pubblica amministrazione decine di suoi parenti, amici e "clientes" e così via. E anche questo lo so bene visto che ci sarebbe stato posto anche per me se solo lo avessi voluto. Ma io preferii andare a lavorare per una privatissima azienda americana. E non me ne sono mai pentito.
E poi?
Poi arriva la caduta del Muro, Maastricht, la dissoluzione dell'URSS, insomma un cambio completo del quadro di riferimento. E a quel punto le elezioni le poteva vincere chiunque. E se le poteva vincere chiunque non ci stava più bisogno di assicurarsi la fedeltà incondizionata della burocrazia.
E a quel punto la burocrazia si è sostituita al potere politico.
Tedeschi, francesi o chi altro se ne sono approfittati? Certamente, hanno colto l'occasione. Ma non sono stati loro i responsabili

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↪ Roxgiuse

Gentile @Chinacat, vado a memoria e a percezione quindi soggetto a fallacia ancor più del solito, però mi sembra di ricordare che in mani pulite la fattispecie di reato più ricorrente fosse la concussione, o meglio una dazione ambientale, che non dava vantaggio al pagatore e non faceva deflettore il decisore, ma una specie di tassa occulta il cui effetto grave era, oltre al lievitare dei costi delle commesse pubbliche, l'alterazione della dialettica democratica, accedendo a molte più risorse le forze politiche già inserite in ruoli amministrativi. Condivido pienamente invece l'ultimo paragrafo del suo commento.

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↪ Chinacat

Gentile @Roxgiuse, il problema, come al solito, è la "conoscenza dei fatti" ed il loro inquadramento all'interno della narrazione che uno sceglie di sposare.
Nel momento stesso in cui, ad esempio, sposo la teoria del complotto ordito dalla CIA, non ho alcun bisogno di sapere cosa è REALMENTE avvenuto. Ho già la mia bella teoria preconfezionata e che mi spiega tutto ciò che voglio: e se dei uno dei "fatti" avvenuto in quegli anni non la fa quadrare... beh facile. Lo si ignora.
Vuole un esempio pratico? Il famoso "conto protezione" su cui operavano Bettino Craxi, Licio Gelli e Roberto Calvi, era operativo dal 1979. E' evidente che quel che viene fuori nel 1992 è un "sistema" che ha origini più lontane e che inizia ad "inquinare" il processo democratico dell'intera nazione.
Se un singolo imprenditore è in grado comperarsi la fedeltà di TUTTI i partiti di governo ed il principale partito dell'opposizione, non serve la CIA o il KGB per capire che c'è un elefante in salotto.
Un elefante che nel 1992 cambia solo casacca, dato che l'80% dei politici che seguono... sono gli stessi di prima. Non ci sono più alcuni big ma se uno scorre l'elenco dei deputati e dei senatori del 1994 si accorge che le persone sono le stesse. Etichetta diversa, ovviamente, contenuto identico.
Se c'è una cosa che imparato sul "come" leggere la storia (Marc Bloch docet) è che non è affatto lineare come la vediamo noi retrospettivamente e con la nostra "logica dell'appartenenza". La storia semmai insegna che ci sono svolte, e non piccole, che avvengono a prescindere dalle intenzioni degli attori operanti.
Chinacat
PS
L'idea di scardinare l'intera classe politica di una nazione a partire da una delle rotelline più piccole dell'ingranaggio (l'amministratore di un ospizio) è abbastanza buffa. Sono decenni che i partiti italiani prendono soldi o dall'estero o dai "grandi capitalisti", sai che novità. Ma nel 1992 qualcosa si rompe. E non è affatto detto che la cosa sia "voluta".

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↪ Fausto di Biase

Gentile @Chinacat, Le segnalo questo articolo:
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e questa recensione:
link
e anche quest'altra recensione:
A. Figa` Talamanca, "Mani Pulite e il trionfo dei cattolici", L'Unita`, 14 novembre 1998 (pagina 17)
e questo libro:
link

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↪ Chinacat

Gentile @Fausto di Biase, intanto La ringrazio per le segnalazioni.
Il primo articolo che mi ha segnalato contiene queste frasi:
". Noi non abbiamo creato Mani Pulite e non l’abbiamo manovrata. I politici che cadevano, Andreotti, Craxi, Martelli, erano nostri amici, e questo ci creava seri problemi perché non sapevamo che futuro avrebbe avuto il paese. Però non facemmo nulla per proteggerli. L’impressione generale all’ambasciata era che fosse venuta l’ora di ripulire le cose."
Quindi, bye bye CIA. Intendiamoci: è impossibile non inquadrare Mani Pulite all'interno del contesto storico e della politica estera ma tra tenere presente questi aspetti e passare al "complotto ordito dalla CIA" c'è una bella differenza. Crolla anche l'alibi del "golpe della magistratura": se così fosse stato li avrebbero protetti, come avevano già fatto in passato.
En passant, faccio notare che l'idea che al Dipartimento di Stato USA non dormissero alla notte per colpa di Craxi o che l'Italia fosse al centro delle loro preoccupazioni, è una simpatica idea che può venire in mente solo a chi non ha un minimo di familiarità con la politica estera USA. I loro orizzonti sono decisamente più estesi.
Il secondo articolo l'ho cestinato quasi subito: "his co-author, Luca Mantovani, is chief of the "Forza Italia" Press Office in the Chamber of Deputies".
Sentire parlare uno dei maggiordomi di Mr.B. a proposito di Mani Pulite, è come chiedere l'opinione di una volpe che si appena mangiata tutte le galline.
Il libro di Perrone sembra il più interessante, anche se in fondo non contiene "nulla di nuovo": utilizzare le partecipazioni statali per creare consenso è una pratica che risale al Fascismo**. L'autore sembra "solido" quindi me lo sono segnato.
Chinacat
PS
Scrivo Fascismo, con la F maiuscola, non certo per apologia ma perché gli storici che se ne occupano lo fanno sempre per distinguerlo dai "fascismi" minori e che non operavano all'interno di un regime totalitario (ad esempio Codreanu in Romania o Metaxas in Grecia).

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↪ Fausto di Biase

Gentile @Chinacat, osservo che Lei legge solo quello che torna utile alla Sua tesi. Basta saperlo. Una delle piu` importanti operazioni di privatizzazione al mondo e` avvenuta in Italia, negli anni Novanta. Sarebbe riuscita cosi` agevolmente se i partiti politici e i rispettivi uomini (con poche eccezioni: il PCI come partito, Prodi come uomo politico) non fossero stati spazzati via da Mani Pulite? Finora non e` mai esistito un impero in grado di controllare ogni singolo avvenimento sulla faccia della terra, e infatti non e` cosi` che funziona. Per capire come funziona un impero moderno, o anche un piccolo ma potente stato coloniale europeo, basta studiare con un minimo di attenzione la storia di Patrice Lumumba e del suo paese, una storia che possiamo ricostruire con un minimo di attendibilita`, nei dettagli piu` ignobili e raccapriccianti, in base a testimonianze recenti e documenti di archivio desecretati.

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↪ Chinacat

Gentile @Fausto di Biase, vediamo di capirci bene.
" osservo che Lei legge solo quello che torna utile alla Sua tesi."
Ora, a parte il fatto che quale sia la mia "tesi" non c'è scritto da nessuna parte (mi ci vorrebbe troppo tempo e non credo interessi a nessuno), io mi sono limitato ad indicare i punti deboli (molto deboli) delle tesi altrui. Nell'articolo da Lei segnalato su La Stampa non c'è nulla che confermi il coinvolgimento diretto della CIA, anzi va in direzione opposta. Quanto al secondo articolo, le stravaganti teorie di un lacché come Mantovani, non le prendo nemmeno in considerazione: era pagato per scrivere boiate e così ha fatto. E poi:
"Una delle piu` importanti operazioni di privatizzazione al mondo e` avvenuta in Italia, negli anni Novanta. Sarebbe riuscita cosi` agevolmente se i partiti politici e i rispettivi uomini (con poche eccezioni: il PCI come partito, Prodi come uomo politico) non fossero stati spazzati via da Mani Pulite? "
Sant'Agostino sosteneva che ci sono 2 modi per sapere le cose: l'esperienza ed il ragionamento. Proviamo ad usare il secondo modo. Si, è vero che la stagione delle privatizzazioni inizia negli anni '90 ma la stessa parola "privatizzazioni" dovrebbe far riflettere: chi paga le tangenti ai politici? I PRIVATI. Cioè quelli che hanno interesse a privatizzare. E questi soggetti privati hanno a libro paga tutti i principali partiti italiani da almeno 15 anni: e dovrebbero abbatterli per far fare ai "nuovi" qualcosa che i "vecchi" fanno già docilmente e tranquillamente?
Sono, ripeto, 15 anni che i partiti si siedono ad un tavolo INSIEME AI PRIVATI e si spartiscono soldi e potere. Incluso il P.C.I.... che dovrebbe tutelare gli interessi dei lavoratori mentre incassa soldi dai datori di lavoro... di quei lavoratori che dovrebbe difendere.
I conti non tornano affatto, come avrebbero mai potuto opporsi alle privatizzazioni, quando sono in società con coloro che vogliono privatizzare?
Last but not least: chi li "spazza via" sono gli elettori, altri grandi assenti delle ricostruzioni complottistiche.
Chinacat

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↪ Chinacat

Gentile @Fausto di Biase, mi sono dienticato di una cosa.
La prima grande privatizzazione non avviene negli anni '90 ma tra il 1984 ed il 1985 ed è forse la più importante di tutte le privatizzazioni: quella DELL'INFORMAZIONE, le cui conseguenze sono rintracciabili nel post del padrone di casa.
Da quella data, grazie al governo Craxi e la non opposizione del P.C.I., un soggetto PRIVATO dispone di tre reti televisive che operano sul territorio nazionale, al di fuori di ogni controllo.
Da quella data inizia un lavoro di propaganda che non ha uguali nel mondo occidentale (ma che in Italia, anziché diventare materia di studio per sociologi e storici, diventa una sterile querelle se uno sia pro o contro Mr.B.)
Le privatizzazioni, prima di farle, le devi rendere accettabili, devi creare il consenso, come aveva già capito Joseph Goebbels:
"il nuovo governo non si accontenterà a lungo di sapere che ha il sostegno del 52 per cento della popolazione, ma che il restante 48 per cento è tenuto a bada con il terore; al contrario, IL PROSSIMO COMPITO SARA' PROPRIO DI CONQUISTARE L'APPOGGIO DI QUEL 48 PER CENTO".
(Joseph Goebbels, citato in David Welch, "The Third Reich. Politcs and Propaganda")
A questo punto parte l'intera orchestra, 6 canali televisivi che martellano incessamente gli italiani e dove il messaggio "privato è bello, Stato è brutto" arriva al suo apogeo con Mani Pulite. Non serviva essere "di "destra" o "di sinistra" per capire che un singolo soggetto privato non può avere il monopolio dell'informazione alternativa a quella "pubblica". La quale, prima di questo evento, non era poi così male come si pensa oggi e consentiva una pluralità di commenti e opinioni che dopo gli anni '80 diventa un ricordo.
Una volta che il mezzo più importante per la distribuzione delle informazioni è nelle mani dei privati, che ne possono disporre senza alcun controllo o limitazione, privatizzare il resto è facile.
Goebbels, di quel restante 48 per cento, è riuscito a conquistarne l'appoggio. E non aveva nemmeno un canale televisivo, gli bastò il monopolio della radio.
Chinacat

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↪ roxgiuse

Gentile @Fausto di Biase, modalità mio cugino ON "chiunque abbia partecipato alle attività giudiziarie definite mani pulite, da difensore o imputato o cancelliere o testimone, ha avuto l'impressione che i magistrati avessero una preconoscenza dei fatti, quasi seguissero risultanze di indagini già affettuate da altri" modalità mio cugino OFF.
Per quello che può valere sono i resoconti che furono raccolti in quel periodo.

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Matteo

Ho visto oggi il tuo intervento al convegno di asimettrie 2017 e sono capitato qui. Ora leggo anche un po' del resto, ma già questo post l'ho trovato magistrale! Comincerò a deguirti! Grazie e un caro saluto.

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The Max

Ricordo ancora il maestro di italiano delle medie che ci fece notare come, su un giornale, una certa foto di prima pagina era vicine ad un certo titolo con cui non c'entrava (direttamente) niente.
Mi rimase talmente impresso che ogni tanto, quando guardo un giornale cerco questi messaggi subliminali.
Probabilmente avrà fatto una scuola simile da giovane. Che peccato non averle fatte.

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Joel S. Beaumont

Caro Pedante…
Alle volte siamo ancorati al passato, e ne sentiamo la nostalgia pensando che debbano tornare gli anni 80, o gli anni 90. L’aria dei mesi passati allo stabilimento balneare, quando era normale per la maggioranza permetterselo.
Ma non credo che la strada possa essere percorsa all’indietro. Se fosse così, se si avvolgesse indietro il nastro del VHS, ci ritroveremo poi nuovamente nella situazione di oggi.
Qualcosa dunque non andava già allora. Il tempo poi ha fatto maturare quei problemi che già potenzialmente esistevano anche quando si “stava meglio”.
Molte volte ho riflettuto sulla politica, e sul fatto che bisognerebbe impegnarsi, ma alla fine mi chiedo: «dove?!»
Ogni partito oggi esistente ha tendenzialmente un programma dove c’è almeno un punto che io non ritengo sia possibile accettare.
Questo non per il punto in se. Ma per il fatto che si pensi che debba essere un qualcosa da imporre a tutti.
Mi ero interessato dal 2011 a seguire “quelli” della “MMT”, che in linea teorica dovevano promuovere una visione di società con possibilità di inserimento lavorativo aperto a tutti. Dove per aperto a tutti non intendo “grossomodo” aperto a tutti, ma poi nei fatti devi conoscere qualcuno per entrare…
Quella Italia, quella che devi conoscere qualcuno, non può più esistere.
Lo so che questa è una argomentazione che tendenzialmente viene usata negli ambienti europeisti e altroeuropeisti. Ma se non fosse realmente esistito un problema di clientelismo, non ci sarebbe stato il grimaldello per entrare nel discorso europeo.
Dietro al discorso del “sovranismo” poi, ci sono delle cose che non mi piacciono.
Perché sovranista non vuol dire niente.
Se uno è sovranista, ma è per le vaccinazioni obbligatorie (ci sono gente così), allora il mio sovranismo non è il sovranismo di questo tipo; o di chi vuole abolire l’aborto e il divorzio (anche se io preferirei che ognuno comunque usi questi strumenti con coscienza).
Non si può pensare che dobbiamo unirci nel nome del sovranismo, quando in realtà siamo divisi sui temi cruciali della vita e della morte (aborto, eutanasia, divorzio, droghe leggere, diritti civili, salute, e anche il modo di vivere).
In fondo Leuropa, non è che lo specchio di un problema di una società che non ha saputo guardarsi all’interno, e si è fatta sedurre dalla possibilità di viaggiare senza frontiere, e trovare altrove ciò che qui non è permesso fare.
Il risultato è una realtà in cui i confini non sono più quelli di una volta, ma le regole sono aumentate. Anche internet dove si pensava di poter fare tutto, è diventato un mondo soggetto alle leggi della visibilità, e del pensiero consentito, con relative contestazioni speculari, ma in realtà identiche in uno stesso processo.
Dedicarsi alla politica?
Ci dovrebbe essere una strada dove si cerca di comprendere tutti i temi fortemente dualistici di oggi. Ma i partiti sono per natura faziosi, e non riesco a credere che ci possa essere un cambiamento da questi.
Quindi non so...

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↪ Il Pedante

Gentile amico, la Sua tesi nella prima parte del messaggio è naturalmente corretta. Come tutti siamo figli di qualcuno, tutti i tempi sono figli dei tempi precedenti. Il mio articolo può in effetti suonare nostalgico, e lo è per quanto riguarda la parte autobiografica. In punto politico si limita invece a riproporre una lezione di consapevolezza politica che dovrebbe essere alla base dell'impegno attuale. Emanciparsi dai miti pubblicitari che Lei cita è il requisito di metodo innanzitutto per resistere ai quei messaggi, e solo in seguito per impegnarsi direttamente pur con la necessità degli enormi compromessi che nelle more di una (spero) consapevolezza più ampia, saranno inevitabili.

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roxgiuse

perdemmo tragicamente di vista l'essenza materiale della democrazia, così ben esplicitato nell'art 49 della Carta, per la quale "metodo democratico" significa potere che promana dal basso, dal maestro Orlando e la sua sezione locale e di assemblea in assemblea arriva fino al livello nazionale, senza mai assumere forma plebiscitaria, perchè dire "si o no" è quanto di più lontano esista dalla democrazia. Buttammo via questo prezioso prerequisito con il referendum sul proporzionale, proprio facendo leva sulla possibilità che dalla società civile qualcuno si calasse taumaturgicamente dall'alto sulla politica, altra aberrazione di un fraintendimento del concetto di democrazia. Il resto è sotto gli occhi di tutti. Lascienza, leconomia, lepistocrazia, ilburionismo, ilpuglisismo, il potere trae fonti da tutte le forme più assolute meno che dal consenso formato democraticamente. E non è forse un caso che l'unico partito che oggi abbia un "senso", al di là della condivisibilità o meno ma proprio inteso come congruità tra sistema assiologico, azione e sistema teleologico, sia quello più verosimilmente strutturato con "metodo democratico".

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Stefano Longagnani

Sono nato nel 1968. Sono cresciuto col padre iscritto al PC, il partito che governava da sempre il comune la provincia la regione, e la madre iscritta alla DC, che mi mandava in parrocchia. A scuola ho imparato dalle mie meravigliose professoresse di italiano e storia ed educazione civica a leggere i giornali ESATTAMENTE nel modo che descrivi nel post. E visto che era di moda in quegli anni ci fecero pure un seminario sul linguaggio pubblicitario. Perché la pubblicità, come la propaganda, funziona.

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