Questo articolo è stato pubblicato, in versione leggermente adattata, su La Verità di martedì 23 gennaio 2023.
Dopo le ultime scaramucce sulle soglie di pagamento in contanti si torna a parlare (casomai si fosse mai smesso di farlo) di limitare ulteriormente o addirittura di abolire banconote e monete. L’idea, come altre che tengono banco nel mondo, canta sulle note del bullismo dialettico ad personam: chi non è d’accordo non va ascoltato perché «ha qualcosa da nascondere» o peggio, si oppone al «progresso». Perché? Non si sa, ma perciò deve essere molto cattivo.
Dove è viziato il metodo, deve esserlo anche il merito. Mentre si ripete che il denaro fisico è il primum movens dell’infedeltà fiscale, persino un ex ministro della parte politica che spinge di più per reprimerne l’uso ha ammesso che «non c'è nei dati nessuna correlazione fra l’intensità del limite [al contante] e la diffusione dell’economia sommersa». Il sospetto che la quasi interezza dei soldi sottratti al fisco corra sui circuiti rigorosamente elettronici del transfer pricing e di altre manovre elusive con cui pochi privilegiati occultano molti miliardi senza mai sfiorare un nichelino, è confermato dalle cronache e dalla letteratura di settore (qui un assaggio). In un’ampia ricerca di alcuni anni l’ufficio studi di Deutsche Bank concludeva che «il denaro contante è difficilmente la ragione per cui si evadono le tasse. I parametri che determinano la dimensione dell’economia sommersa sono piuttosto la pressione fiscale e la qualità delle istituzioni pubbliche, l’etica dei contribuenti e il reddito pro capite». Le banconote sono state anche accusate di promuovere la corruzione, il crimine, il terrorismo e, ça va sans dire, la diffusione del Covid. Tutte illazioni poco o per nulla confermate dai fatti ma, come scrisse qualcuno, tanto peggio per i fatti.
Perché allora si insiste? Che lo si faccia per convinzione o per altro, l’opaca «guerra di civiltà» contro il denaro contante sembra illustrare meglio di altre certe inclinazioni accentratrici o distopiche che covano nel sentimento odierno, a tanti livelli. Partendo dal più superficiale, dall’interesse economico dei gestori delle moneta elettronica i cui profitti si sono impennati negli ultimi anni e che da tempo affiancano le istituzioni nella transizione cashless rappresentandola come il prodromo di «una società più giusta». Proseguendo appunto con l’equità sociale. Se è vero – come è vero – che la massima parte delle operazioni illegali o paralegali che tolgono soldi al fisco sono realizzate in forma elettronica da grandi gruppi industriali e multinazionali (per tacer qui di quelle legalizzate), la stretta al contante non eliminerebbe e forse neanche scalfirebbe il vantaggio illecito, ma più semplicemente lo riserverebbe ai pochi che si possono permettere stuoli di commercialisti ai tropici, prestanome e angeli custodi nelle istituzioni, verticalizzando ulteriormente la società.
C’è poi la questione, più profonda e sinistra, del controllo. Fino a pochi anni fa i regimi sguinzagliavano le spie per registare e reprimere il malcontento dei sudditi. E il tiranno Dionigi di Siracusa, si dice, ascoltava i sussuri dei prigionieri facendoli rinchiudere nella grotta a forma di orecchio che porta il suo nome. Oggi queste smanie dispotiche e paranoiche sono rese ordinarie dalla digitalizzazione di ogni dettaglio della vita pubblica e privata – conversazioni, documenti, registrazioni audiovisive e, appunto, transazioni economiche – che può essere comodamente scandagliato con un PC in rete e la password giusta. Sicché la lotta al contante riflette anche la volontà di espugnare uno degli ultimi fortini rimasti immuni dallo scrutinio del panopticon elettronico: la libertà di vendere e di comprare senza lasciar traccia di sé.
L’onniscenza è l’anticamera dell’onnipotenza, la mappa per colpire chirurgicamente chiunque e dovunque. L’anno scorso il presidente del Canada Justin Trudeau ha fatto bloccare i conti correnti dei manifestanti che protestavano contro le misure sanitarie imposte nel Paese. La legge glielo consentiva? No, ma gli è bastato proclamare una «emergenza nazionale» (Emergency Act) per mandare legalmente sul lastrico i suoi oppositori e chiudere anche i wallet in criptovalute collegati ai manifestanti, dando (si spera) una sveglia a chi ancora credesse di trovarvi un porto sicuro. Il precedente ha poi ispirato la Corte Suprema brasiliana che nell’ultimo mese ha fatto chiudere i conti bancari di chi contestava l’esito delle elezioni presidenziali. E PayPal, la più importante piattaforma di pagamenti online che già in passato aveva sospeso i conti di alcune testate web e associazioni non allineate con le opinioni ufficiali, l’ottobre scorso ha pubblicato un aggiornamento delle sue condizioni d’uso in cui si arrogava il diritto di confiscare 2.500 dollari agli utenti che avessero diffuso «disinformazione». Travolta dalle polemiche, il giorno dopo ha corretto il tiro precisando che si sarebbe trattato di «un errore». Di un errore ragionato, scritto e approvato fino all'ultima revisione. Appoggiato lì, forse in attesa di tempi peggiori.
Chi si consola pensando che queste ritorsioni sarebbero «giustificate» dimentica che la tirannide è un metodo di governo, non un’idea o una bandiera. È un peso senza contrappesi, garanzie, mediazioni, opposizioni e processi, che una volta istituito può realizzare all’istante qualsiasi capriccio insindacabilmente «giusto» per chi comanda e solo incidentalmente tale per chi si spella le mani dal basso. Il controllo attivo e passivo sulle compravendite, già alluso nell’ultimo testo della Bibbia (Ap 13,16-17), sgombrerebbe ogni ostacolo sulla via infernale dei «crediti sociali» e il collegato automatismo di sorveglianza e sanzione.
A un livello ancora più radicale, la smania di tracciare ogni centesimo rispecchia l’ossessione di una civiltà che ha smesso da tempo di considerare il denaro e i suoi movimenti come uno strumento e ne ha fatto invece il metro universale dell’essere: spostamenti, stili di vita, relazioni, affetti, caratteri, fantasie, opinioni e quindi anche «virtù» singole o nazionali. Un mondo dove tutto si può comprare pone innanzitutto il problema ontologico di un’identificazione totale col soldo che, in quanto creduta, è anche voluta: tutto si deve comprare e ciò che non è in vendita non può essere. Negli ultimi anni hanno suscitato giusto sdegno i casi dei viticoltori pesantemente multati per essersi fatti aiutare dagli amici nella vendemmia in cambio di una cena o di una cassa di vino. Nel 2014 il ristoratore Eduardo De Falco si è tolto la vita dopo avere ricevuto un verbale da duemila euro in cui gli si contestava di essersi fatto dare una mano ai tavoli dalla moglie nei giorni di maggiore affluenza. Per il codice queste persone erano colpevoli di non aver pagato i loro «collaboratori», che nella ratio sottostante si traduce nell’avere osato adottare criteri, e quindi valori, diversi dall’orizzonte monetario: l’amicizia, il buon cibo, la solidarietà coniugale. Ecco i crimini, ecco l'eversione, la lesa maestà della dea pecuniaria. Per gli stessi motivi si discute da qualche tempo di remunerare il «mestiere» della casalinga, non potendosi evidentemente ammettere l’idea che si lavori solo (!) per amore della propria famiglia. Chi paga? Quanto vale? Come si mantiene? Sono queste le domande di un’umanità inaridita e incantata dai pastrugni dell’economia.
Chi controlla il denaro minaccia di controllare ogni cosa perché il denaro controlla già ogni cosa. E la controlla perché la informa, ne costituisce per sciagurato consenso l’unica rappresentazione plausibile. Perciò la guerra alle monetine non fa che perfezionare una profezia già avverata e tradurre in pratica una volontà di dominio che ha già trionfato nell’idea. È l’ultima saldatura di una visione che fa impallidire il pur squallido riduzionismo cartesiano e il pur tetro «regno della quantità» guénoniano, di una Flatlandia usuraia dove una sola dimensione surroga la realtà fisica e morale finendo per reclamare la nullità di tutto ciò che non può misurare. Di ciò che, non a caso, dà luce e senso alla vita: la gratuità, la dignità, la divinità, gli stessi beni materiali di cui mammona si scoprirebbe un'ombra rachitica, un Tauschwert parassitico e ancillare. Di questo deserto inumano la lotta al contante non è la causa ma il prodotto inevitabile e atteso, lo svelamento finale.
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