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Astensionismo, democrazia, mercato


Come si ripete un po' ovunque, sul prossimo appuntamento elettorale incombe il convitato di pietra dell’astensionismo, il «partito» che negli ultimi tempi raccoglie la maggioranza – spesso anche assoluta – dei consensi. Molti temono l’astensionismo, altrettanti lo auspicano e lo raccomandano: spesso, e in entrambi in casi, per gli opposti motivi. Insomma la democrazia, stanca, delude e perde appeal, ma sarebbe sciocco addebitarne la responsabilità agli elettori, a chi cioè certifica una sofferenza e non a chi la infligge o la ignora.

Il presupposto minimo di una democrazia rappresentativa è che negli organi decisionali siano rappresentati più o meno proporzionalmente i bisogni e le idee di tutti i cittadini. Fallito il presupposto, fallisce il concetto. Ora, dal 2018 a oggi non si sono solo visti gli opposti partiti con i loro opposti programmi approvare le stesse leggi nelle stesse compagini governative, in barba alle collocazioni di chi li aveva eletti. Al di là dei colori, il principio di rappresentanza è stato tradito nei fatti che hanno inciso di più sulle esistenze dei cittadini. La ferita ancora aperta delle discriminazioni sanitarie ha messo in evidenza la marginalizzazione politica pressoché totale degli elettori avversi a queste misure, il cui numero, benché mai seriamente stimato, parte dal 15% di coloro che non hanno mai ricevuto le due dosi del ciclo vaccinale primario, si aggiunge al 17% di chi non ha fatto la terza dose e si estende ai tanti (altrettanti? di più?) che hanno subito la crociata farmaceutica controvoglia o almeno disapprovato i metodi con cui la si è imposta. Qualunque sia il risultato finale, si tratterebbe di percentuali sproporzionatamente alte rispetto al 12-13% dei parlamentari che hanno ad esempio votato contro l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni, o bocciato l’estensione del «super green pass» nei luoghi di lavoro.

Ancora più limpida è la vicenda della guerra russo-ucraina. Mentre i sondaggisti ci informavano che «per il 69% [degli intervistati] l'Italia deve negoziare con la Russia» (IPSOS) e per il 44% «l'invio delle armi alla resistenza ucraina è sbagliato e deve essere interrotto» (EMG), solo il 6% dei deputati vi si opponeva in aula e tutti i senatori, con qualche sparuta eccezione nel Gruppo Misto, approvavano una risoluzione unitaria per la «cessione di apparati e strumenti militari per la difesa dell'Ucraina» che tre mesi dopo sarebbe stata rilanciata ancora dalla temibile «opposizione», a scanso di equivoci. E mentre più della metà degli italiani chiede oggi la revoca delle sanzioni contro la Russia e quasi un terzo di loro ritiene che nemmeno «avremmo dovuto imporre alcuna sanzione fin dall’inizio» (Termometro Politico), a Strasburgo solo un parlamentare italiano (Francesca Donato) respingeva la decisione di «un embargo totale e immediato sulle importazioni russe di petrolio, carbone, combustibile nucleare e gas». Dove è in gioco il suicidio economico del Paese, un italiano su due vale tanto quanto... un deputato su settantasei. E oggi da chi è rappresentato chi volesse, chessò, più indipendenza dalla Commissione Europea e da altre agenzie internazionali? O proteggere le produzioni interne, provvedere alle spese comuni senza ricorrere all’usura, salvare l’energia dalle speculazioni dei trader, frenare la corsa al «digitale», infischiarsene degli appelli di Davos, indagare sui contratti farmaceutici, reintrodurre il voto di preferenza, proibire l’aborto ecc.? Da nessuno. Ma deve votare, ci mancherebbe.

È vero, nel frattempo nascono nuove formazioni politiche che si ripromettono di colmare l’abisso intestandosi alcune istanze orfane. Ma l’astensionista, anche quando riconosce la genuinità di questi propositi, ricorda che si sarebbe oggi al terzo tentativo di infiltrare elementi «antisistema» nel sistema e che i due sinora esperiti e miseramente falliti potevano contare su numeri, risorse e strutture che mancano del tutto ai nuovi arrivati. Perché, si chiede allora, i piccoli dovrebbero riuscire là dove sono caduti i grandi? E formula un dubbio: che il sistema in questione non consista tanto nelle norme che si desidera ridiscutere e cambiare, quanto nella norma stessa che impedisce il cambiamento per via di prassi formali e informali incistate nel fortino della «legalità istituzionale». Della macchina democratica vede tutto ma non il krátos, l’anima che si è spostata altrove lasciando un guscio sclerotico a mo’ di segnaposto della legittimazione. Tra la tirannide e la democrazia decente – entrambe bisognose di consenso – teme la mezza via della tirannide travestita da democrazia: l’unica che può deliberare senza consenso, avendolo virtualizzato. E se fosse vero ciò che alcuni sostengono, che nella storia non si sarebbe mai data una «autentica» democrazia ma al più un binomio ben dosato di panem (le conquiste materiali) e circenses (le forme politiche della loro «conquista» popolare), denuncia la pretesa nuova e spericolata di tenere in piedi il circo senza il pane, anzi proprio a detrimento del pane. Un esperimento, se non mai visto, certamente mai durato a lungo. Del dibattito politico misura l’abisso tra le macerie mute e il fracasso che vi soffia intorno: dichiarazioni, interviste, sfoghi, lettere al direttore, hashtag, commenti polemici sulla polemica della mezza giornata, smentite e smentite della smentita, «dialoghi con gli elettori», prese di distanza «doverose» che però «non bastano» mai. Parole che dovrebbero coinvolgere i cittadini e avvicinarli ai palazzi ma che nei fatti li distraggono dal cimitero della rappresentanza sparando le cartucce fumogene dell’emergenza e del pericolo «senza precedenti», della responsabilità, della credibilità, della strategia e di tutto ciò che serva a riconciliare nell’immaginato la dissonanza del dato.

***

L’astensionista non compra nulla, ma non è solo un modo di dire. È piuttosto il rilievo di una prerogativa spesso equivocata delle democrazie moderne, il loro essere cioè declinazioni a tutto tondo del dogma di mercato. Come i produttori entrano in concorrenza per contendersi il denaro dei consumatori offrendo loro le merci che desiderano al minor prezzo, così i candidati competono nell’arena elettorale per ricevere le fiches del potere promuovendo le istanze di chi li vota, con il minor sacrificio possibile. L’aspettativa è in entrambi i casi la stessa: che domanda e offerta si incontrino liberamente (da qui le libertà: di parola, opinione, associazione, manifestazione ecc.) affinché una «mano invisibile» le metta in equilibrio facendo sì che le aspirazioni egoistiche degli uni e la brama di potere degli altri convergano smithianamente verso il massimo bene comune. Siccome nei fatti non si è però mai dato un mercato «deregolato» senza regole e regolatori, anche nelle democrazie interviene l’arbitro costituzionale per fissare gli obiettivi generali, i limiti invalicabili (parte prima della Costituzione) e le regole del gioco (parte seconda). Altre norme varate con l'intenzione di assicurare un «mercato» politico aperto e concorrenziale includono il finanziamento pubblico ai partiti e alla stampa e l’assegnazione di spazi di propaganda garantiti (tribune pubbliche, affissioni comunali ecc.) ed equi (par condicio), secondo i principi classici dell’antitrust.

Jean-Paul Fitoussi e altri autorevoli commentatori hanno molto scritto sul presunto conflitto o «complementarietà» di democrazia e mercato, ma queste analisi risentono del fatto di essere state formulate in una fase di crisi – non a caso, coincidente – di entrambi i sistemi, di averli cioè assunti nel loro declino e non nella loro essenza. Considerandoli secondo definizione risalterebbe invece la loro gemellanza: il mercato come democrazia dei consumi, la democrazia come mercato dei governi. Possono funzionare bene, discretamente o male ma l’una non può nuocere all’altro, né viceversa, in principio perché entrambi condividono le medesime premesse, strutture e aspettative di successo, nei fatti perché il loro regresso è avvenuto negli stessi anni e negli stessi modi, lungo una parabola comune che sottende virtù e vizi comuni, anche originari. All’idea di «democrazia perfetta» e alla pretesa che i suoi fallimenti non sarebbero «vera» democrazia si può serenamente applicare la critica rivolta da Keynes alla concorrenza perfetta e al «vero» mercato:

Sono tanto grandi la bellezza e la semplicità di una tale teoria che è facile dimenticare come essa non derivi dai fatti concreti, ma da un'ipotesi incompleta introdotta per amor di semplicità… molti di quelli che riconoscono che l’ipotesi semplificata non corrisponde accuratamente al fatto, concludono ciò nonostante che essa rappresenta ciò che è «naturale» e perciò ideale. Essi considerano l'ipotesi semplificata come lo stato di benessere. (La fine del laissez-faire, 1926)

Tra le tante complicazioni del «fatto», la più nota e ricorrente è la tendenza del mercato a evolvere in monopolio, a far sì che il più forte si prenda non solo il premio, ma anche il podio, la giuria e l'arena. Problema noto a Smith, sistemizzato dai marginalisti ed enunciato da Marx come conseguenza necessaria della concentrazione dei capitali, prerogativa perciò ineliminabile e propria di tutti i sistemi capitalistici. Nella fase odierna non è difficile rilevare il parallelismo tra l’avanzare dei monopoli industriali e finanziari in scala globale (già oggi tre soli fondi di investimento mutualmente partecipati gestiscono la maggioranza azionaria di quasi tutte le prime cinquecento multinazionali quotate negli Stati Uniti d’America) e, dall’altro lato, il fenomeno ormai ordinario dei governissimi sostanzialmente privi di opposizione, siano essi «di larghe intese», «di responsabilità nazionale» o più o meno esplicitamente «tecnici». In regime di monopolio l’offerta si sgancia dalla domanda e si standardizza. Al fornitore unico e al prodotto unico rispondono il pensiero unico e il voto unanime delle forze politiche sganciate dal mandato popolare (sicché, ad esempio, è in effetti inutile manifestare se non vale il meccanismo di mercato che rende appetibili i voti di chi protesta). I produttori non allineati, come i rappresentati non allineati, sono acquisiti per usurparne il marchio e la clientela, o marginalizzati.

Più che soddisfare la domanda, il monopolio crea la domanda e la soddisfazione incrementando gli investimenti pubblicitari a scapito della produzione. Così anche la classe politica trova sponda nella stampa e nelle agenzie di marketing per bilanciare la sua passività con uno slancio propagandistico martellante, anteporre le suggestioni agli atti, fingere «successi» altrimenti ignoti all’elettore e rendere desiderabili e urgenti battaglie che nessuno si sarebbe sognato di combattere. L'analisi del target (bisogni, desideri, mode, customer satisfaction ecc.) non serve più ad ampliare e perfezionare l'offerta, ma piuttosto a intervenire sul packaging, il brodo estetico e ideale con cui si allunga l'unica minestra possibile e, a valle, saggiare il buon successo del travestimento. Nel paradigma di mercato anche chi si astiene dall'acquisto-voto manda un messaggio perfettamente valido per il riequilibrio del sistema, che in uno scenario concorrenziale spingerebbe i produttori a soddisfare le nicchie scoperte, in un contesto monopolistico significherebbe invece che l'operazione cosmetica non sta funzionando. Il meccanismo è identico, solo che nel primo caso si mette in questione il prodotto, nel secondo la sua rappresentazione.

Va infine da sé che, per il solo fatto di esistere, il monopolio rompe la trama delle regole e delle riserve che lo avrebbero dovuto frenare: prima infiltrandole con il lobbismo e le eccezioni legali, poi costringendole ad adeguarsi al fatto compiuto. Alla sconfitta delle regolazioni di cui ci parlano le bollette di questi giorni fa eco la sconfitta delle regole costituzionali, nella lettera o almeno nella visione di chi le ha formulate e difese in passato. Gli attacchi degli ultimi anni al lavoro, all’impresa, ai risparmi, alla salute, alla neutralità, alla pratica legislativa (abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia, DPCM, deroghe procedurali, compressione del dibattito parlamentare ecc.) e a una lunga serie di libertà elementari, ma forse più ancora le acrobazie con cui li si è giustificati, testimoniano l’ineluttabilità del processo.


La citata analisi fitoussiana potrebbe dunque applicarsi solo se si scindessero i destini dei due fenomeni: una democrazia libera sarebbe minacciata da un non-mercato monopolistico, un mercato libero da una non-democrazia dispotica. Invece le loro involuzioni sono due espressioni della stessa tendenza, sicché non stupirà neanche constatare che il confine tra i loro stessi domini è oggi labile, se non proprio assente. I monopoli industriale e politico si fondono e si confondono dandosi mutualmente il destro: ora sono i politici che invocano le aspettative de «i mercati» finanziari per deliberare compatti a scapito dei cittadini, che delegano agli oligopolisti della rete la censura delle dissonanze; ora sono invece i colossi dell’informatica, della finanza, della farmaceutica e delle armi che contano sui politici per promuovere i loro prodotti e, come accade sempre più spesso, renderne obbligatorio il consumo saltando a pie’ pari l’incomodo di convincere i contribuenti-acquirenti. Grazie alle commesse e agli obblighi di Stato i produttori dominanti consolidano il loro dominio eguagliando o superando i bilanci di intere nazioni e mettendosi così al riparo da ogni remota ipotesi di concorrenza. Dove l’offerta non si può rifiutare non esiste domanda, né quindi mercato – economico o politico che sia. In questa mischia non si distinguono più gli attori, sicché anche la classica dialettica pubblico-privato perde mordente. Entrambi i poli convergono verso un modello autocratico di imperativi, requisiti, agenda, parole d’ordine e sorveglianza in cui il forte detta la via, il debole può scegliere se farsi convincere… o trascinare. Matura così il seme piantato da tanti eroi del libertarismo, del liberismo e delle liberalizzazioni, della libertà di pochi al costo della libertà di tutti: there is no alternative. Non c’è alternativa.

Nelle more di questa crisi possiamo chiederci, astenuti e non, se sia stato questo un esito incidentale, inevitabile o desiderato.


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Commenti

Herzog

"Venghino siore e siori, venghimo!"
Il 25 settembre i giullari hanno chiamato il popolo ad accorrere numeroso all'inaugurazione dei nuovi e strabilianti giochi di piazza, e il popolo è affluito gaudente in maggioranza (64% di affluenza al voto).
Buona fortuna.

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Tom Joad

Il mercato (ideale) funziona in base alla regola "un dollaro un voto" (quindi più sei ricco più conti), mentre la democrazia (ideale) in base alla regola "una testa un voto" (tutti contano uguale). Anche nelle forme idealizzate i due sistemi non sono quindi assimilabili, e anzi per certi versi sono opposti.
A parte questa obiezione di principio, condivido in toto l'articolo, che come sempre è arguto e illuminante. Monopolio (o forse oligopolio) economico e politico, ottima definizione del presente.

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dostoevskij

Nel leggere un'altra analisi degna di attenzione del Pedante e gli altrettanto interessanti commenti in questo blog mi stupisco di non rilevare nessuna menzione a Giorgia Meloni (o mi è sfuggita) nell'olimpo delle opposizioni. Onestamente non votavo da 14 anni e son ritornato al voto per votare lei e il suo partito, lontano e pure tanto per radici dalle mie, senza illusioni ma spinto dal ragionamento che ogni seggio strappato alle forze più smaccatamente sistemiche fosse comunque cosa auspicabile. Credo che l'Italia non abbia i mezzi e la preparazione per far granchè di buono in questa fase del tempo e delle cose ma credo anche che valesse la pena provare a non consegnare il paese in mano a chi non fa mistero delle sue intenzioni. Credo che ciò che è successo in occidente recentemente fosse pressochè inevitabile partendo dai presupposti che c'erano, ma credo anche che le punte di follia indemoniata raggiunte in Italia non sarebbero state possibili nella stessa misura con una maggioranza come quella che si profila al potere (sempre sovvertibile con altri "strumenti" per carità). Le opposizoni dello 0 virgola non rappresentavano una valida alternativa appunto perchè troppo acerbe, il mio ragionamento è stato dettato dal valorizzare il mio voto al meglio delle poche (unica?) possibilità che mi si presentava davanti, probabilmente impiantata dal sistema? chissà. Sono persuaso che i post fascisti della Meloni siano comunque una categoria "particolare" rispetto ad altre, degna di una analisi meno superficiale di quelle che ho letto, il 5s era una entità amorfa, perciò facilmente trasformabile, più difficile (certo non impossibile) farlo con il partito della Meloni. In fondo al suo programma due righe contro il green pass e poco più, che dire, a volte bisogna semplicemente sapersi accontentare e ricordarsi che se è vero che spesso si finge di essere antisistema è possibile anche il contrario, la dissimulazione ha permesso a diverse comunità di sopravvivere a minacce altrimenti inaffrontabili, non dico sia il caso della Meloni ma ancora una volta chissà. il suo ottimo risultato per me è comunque una notizia positiva, quantomeno non tragica, ripeto non in Italia non era e non è tempo per poter fare tanto di più. è già segno di una qualche vitalità di una popolazione più istintiva che cosciente l'ostinazione con cui una parte dell'elettorato si prefigge comunque il compito di punire e spazzare via fiumi e montagne di propaganda a senso unico che piovono dalla echo chamber mediatica. Un buon augurio di serenità a tutti e un altro augurio che il nuovo governo (se salirà) sia quantomento in grado di non portarci più giù di così, magari recuperando anche qualcosa sui diritti fondamentali e la libertà di esistere, impunemente calpestati negli ultimi anni. Nel frattempo la speranza che la mezzanotte prima o poi arriverà e come sempre passerà

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↪ disperato

Gentile @dostoevskij,
certo se vinceva Letta era peggio, ma non mi sembra un motivo sufficiente per festeggiare: non solo perche`nulla al mondo nella storia umana e`peggio di Letta e del suo partito (e di chi lo vota...) ma soprattutto in quanto l'Italia e`a un passo dal baratro economico e sanitario e credo che la Meloni non ci salvera`.
Intanto (la Meloni) ha gia`detto che e`favorevole alle sanzioni alla Russia (e quindi alla guerra destinata a distruggere quel poco che resta dell'economia e dell'industria italiana). Non deve nemmeno rimangiarsi la parola, lo ha detto e ribadito. E questo sarebbe stato motivo sufficiente a non votarla, per chi capisce a cosa serve la guerra alla Russia... Dunque il baratro economico e`assicurato.
Per quel che riguarda il green pass, l'atteggiamento e`stato fin troppo "moderato", nella categoria siamo contrari pero`... Spero di sbagliarmi ma se ritornera`l'"emergenza", cioe`se l'Oms, su "suggerimento" di Bill Gates (suo principale finanziatore), dichiarera`a suo insindacabile giudizio lo stato di emergenza (e in inverno tornano le influenze...) allora credo che la Meloni ripristinera`ogni obbligo "vaccinale" e lockdown come un Letta qualsiasi. Mentre se gli italiani avessero votato in massa per Vita (o Italia sovrana e popolare o Italexit) avrebbero riconquistato il diritto (naturale) di disporre liberamente del proprio corpo e di poter rifiutare delle cure ufficialmente sperimentali (e ufficiosamente mortali). Al limite gli italiani avrebbero anche potuto disertare in massa le urne, sarebbe stato meno efficace che votare Vita (o affini) ma avrebbe comunque screditato il sistema (se molti piu`della meta`non avessero votato), e i politici non avrebbero avuto nei fatti la forza di imporre la dittatura sanitaria.
Quello che proprio gli italiani non dovevano fare (e invece hanno fatto) era votare per il sistema o per l'oppofinzione della Meloni.
Adesso e`tardi per rimediare.
Si puo`sempre pregare, nella speranza che la nostra salvezza, incredibilmente improbabile ormai, sia determinata da fatti esterni al paese (a Putin e/o alle elezioni di midterm americane...). A livello interno non c'e`piu`nulla da fare (chi puo`emigri...).
Saluti.

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↪ Dostoevskij

Gentile @disperato,
L'atlantismo attualmente non mi sembra qualcosa sui si possa discutere, é un prerequisito senza il quale semplicemente si diventa un bersaglio che i nostri stessi "alleati" s'incaricheranno di sopprimere. Siamo in guerra, e siamo in ostaggio. Per estensione green pass e vaccino (rigorosamente made in atlantico) conseguono anch'essi da questo. La burocrazia civile e militare profonda italiana chiunque vada al governo é zeppa di quinte colonne a la gladio, non andrebbe lontano ad affrontarli a viso aperto. Lei puó emigrare ma questa guerra arriverá ovunque, sará ed é giá per certi versi mondiale. L'Italia é arrivata all'oggi devastata da una classe dirigente rozza, venduta, miope, adesso é tardi per fare grandi cose, ma si possono fare le piccole. Meloni con i due giullari che si porta dietro in coalizione ha le carte per arginare (non certo invertire) il tracollo morale e antiumano per qualche anno, tenere saldo e unito quello che rimane del paese, e formare una mezza classe dirigente finalmente non esterofila. Certo se nn si materializzerá qualcosa all'esterno come giustamente dice lei non si va da nessuna parte comunque, ma almeno con la Meloni abbiamo la chance di arrivare a quell'eventuale giorno (se non tarda troppo) con un paese ancora fra le mani che le assicuro sarebbe giá un miracolo. Le ripeto anche che secondo me Meloni non ripeterá le vette di follia degli scientisti nostrani sul green pass e vaccino (fra le piú crudeli al mondo). Se la torchiano tutt'al piú cederá su un modello stile nordico che quantomeno salvaguardi lavoro e diritto di scelta, soprattutto per le nuove generazioni, spero. Rimango dell'idea che a breve interi paesi si sgretoleranno come niente di fronte alle forze centrifughe messe in moto dal conflitto in atto, la Meloni é una politica competente, patriota e con una mezza squadra e visione politica, serve una come lei, di meno non sarebbe sufficiente. Non si puó fare un progetto politico altrettanto all'altezza dei tempi in un paio di mesi, credo ne convenga. E lei spero serva anche per ricucire certe ferite e ridare vita e rappresentanza a quella parte di elettorato umiliato e silenziato in maniera piú che fascista da tutto l'arco che si definisce progressista, sotto una Meloni questo potrebbe succedere, sotto uno degli attuali progressisti abbiamo giá visto di cosa sono capaci. Che dire per chiudere, auguro alla Meloni di non perderei come tanti altri, auguro a noi buona fortuna perché come societá paese ne avremo tanto bisogno e niente, pregare nel frattempo, male non puó fare :) buona notte

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↪ disperato

Gentile @Dostoevskij,
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Ora va bene che è il giornale di Travaglio e dunque ha un'attendibilità prossima allo zero (come Repubblica o il Corrieredellaserva o ilSole) però il fatto stesso che sia possibile ipotizzarlo (Ronzulli alla Sanità e continuare la guerra alla Russia) significa che la Meloni non andava votata.
Punto.
Poi guardi la Meloni "politico competente" proprio non si può sentire. Stiamo parlando di una persona priva di titolo di studio che nella vita ha fatto solo politica all'opposizione (mai al governo, salvo la parentesi di ministro per la gioventù...). E' sicuramente incompetente come primo ministro.
Comunque gli italiani hanno voluto così, ora se ne pagheranno le conseguenze. Un popolo che vota in maggioranza Meloni, come secondo partito il PD di Letta (che in un paese minimamente civile dovrebbe prendere zero voti) e tiene i 5stelle al 15% (dopo le loro performance) merita la distruzione (e la avrà).
E non parlo di come gli italiani votano alle regionali solo perché non è cosa recente, ma i veneti che votano in maggioranza bulgara Zaia cosa meritano secondo lei? E cosa avranno?
Saluti.

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↪ disperato

Gentile @Dostoevskij,
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Dear @ZelenskyyUa, you know that you can count on our loyal support for the cause of freedom of Ukrainian people. Stay strong and keep your faith steadfast! ????????????????
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↪ Dostoevskij

Gentile @disperato,
La posizione italiana ed europea é compromessa, formalmente qualunque parola non si allinei alla strategia dell'occidente profondo sull'ucraina attira un'immediata vendetta (idem per pandemia, difficilmente in Italia vedrá le vagonate di documenti sui biolab ucraini a conduzione occidentale che i russi stanno sottoponendo al mondo non occidentale). Per questo concedo alla Meloni il beneficio del dubbio in materia e su questi temi almeno pubblicamente non mi sarei aspettato nulla di diverso da lei, del resto la sua posizione (di lei sig.disperato) é assolutamente condivisibile e supportata da innegabili evidenze (aspen fra tutti?) ed io ho ben chiara la possibilità che Giorgina e la sua compagine decida semplicemente di fare la cosa piú facile e marciare insieme al resto dei leader europei verso il baratro, o peggio ancora assumere un atteggiamento simile al pericoloso bellicismo polacco che a volte Giorgia menziona positivamente (brrr). Rimango comunque convinto che un esecutivo a guida PD o 5s o peggio ancora un draghi 2 avrebbero invece rappresentato la CERTEZZA di questa eventualità, anzi ci avrebbero fatto marciare in prima fila tanto son contenti di essere piú realisti del re per avere qualche spompinata sulla stampa straniera e un pugno di briciole da spartirsi. Altre opzioni non c'erano, i programmi dello 0, tutti belli ma utopistici per due motivi: 1. gli italiani, 2. il semplice fatto che se uno di loro avesse raggiunto il traguardo il giorno dopo ci avrebbero cancellato dalle mappe geografiche e su Wikipedia alla voce Italia avrebbe letto qualcosa in inglese che spiegava come in realtá il nostro paese non fosse mai realmente esistito se non come provincia germanogallica. Le ripeto la speranza é che questo governo abbia il buon senso di non distruggere definitivamente il paese fintanto che il buon Dio ci mostri una via d'uscita in questa realtá manifesta come società, altrimenti ci toccherá andarci ognuno per i fatti suoi e coi suoi tempi anche se come giustamente lei evidenzia se si guarda all'Italia di oggi viene lecito immaginare che la maggioranza di questo popolo in fondo ha giá fatto la sua scelta, e forse non é neanche piú il caso di dilungarsi a star qui a fantasticarne un destino di salvezza. Ad maiora comunque e non perdiamoci d'animo, senza quello con o senza buon governo si fa comunque una finaccia! grazie per lo scambio e ancora buona notte

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valerio

Caro Pedante,
non condivido assolutamente la dicotomia mercato / democrazia essendo il primo la negazione della seconda.
Se il sistema elettorale si è evoluto negli anni in senso mercantilistico è dovuto alla forza degli empi, che controllando le informazioni (oltre ai centri di potere capaci di influenzare gli eventi) hanno reso un prodotto la rappresentanza democratica. Nulla di nuovo, già in tempi non sospetti (mi riferisco al periodo d’oro del bipolarismo secco degli anni 90 e 0) Bruno Vespa si vantava che di avere un rapporto bilaterale con l’offerta politica in termini mercantilistici: la sua trasmissione dava popolarità ai politici intervistati e loro davano popolarità alla trasmissione facendone aumentare l’audience e di conseguenza gli introiti pubblicitari.
Ovviamente non si doveva uscire dai binari prestabiliti che erano il rigore morale del centro sinistra contrapposto alle vicende giudiziarie di Berlusconi (vero e proprio anchor man dell’epoca) e le tasse di Prodi contrapposto alla libertà del centro destra.
Siccome non esistono pasti gratis ben presto ci accorgemmo che c’era qualcosa che non funzionava “nell’Europa dei popoli”, chi prima e chi dopo (e al professor Stefano D’Andrea va il merito di essere stato il primo a scagliarsi contro la moneta unica molto prima dell’arrivo di Monti).
Quando arrivarono le forze antisistema tutti mostrammo le nostre rimostranze notando che c’era qualcosa che non andava, ma eravamo ancora tutti seduti sul divano incapaci di metterci in gioco per costruire qualcosa di diverso.
Se il risultato del 2018 è stata una catastrofe dal punto di vista delle promesse non rispettate (anzi completamente invertite) ha avuto, però, il merito di spezzare definitivamente il bipolarismo richiamando l’attenzione sul Parlamento che è tornato, non sovrano, quantomeno il centro della formazione delle maggioranze di governo.
Ha avuto anche il merito di dimostrare quello che gli italiani chiedevano e ciò perché pur non facendo politica attiva i cittadini sono andati in massa a votare.
Ora che c’è un risveglio delle coscienze che porta i cittadini a mettersi in gioco, a spendere le proprie vacanze estive rincorrendo sottoscrittori nelle città deserte, a mettere la propria faccia su liste nuove, giovani e improvvisate ecco che il sistema gioca la propria controffensiva: la carta dell’astensione.
Astensione ben nota nel centro dell’impero occidentale, gli Stati Uniti, dove nessun beneficio ha portato alle classi meno abbienti. Gli esclusi, infatti, sono sempre più marginalizzati.
E non dimentichiamo poi quello che successe in Italia dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti: le opposizioni si ritirarono sull’Aventino e il fascismo (oggi non più necessario perché le forze liberiste hanno il controllo assoluto dei media e dei centri di potere) ebbe via libera.
Ora le forze antisistema attuali non sono perfette, ma sono sicuramente perfettibili e sono, soprattutto, aperte a tutti quelli che vogliono impegnarsi attivamente in politica.
Io, con Italia Sovrana e Popolare, ci sto provando.
Vediamo come andrà a finire.

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↪ Chinacat

Gentile @valerio, questo è il risultato del "risveglio delle coscienze" e l'astensionismo non ha nulla a che vedere con questo stato di cose:
"A scrutinio quasi concluso restano fuori dal nuovo parlamento i candidati di Italexit (sotto al 2%), Unione popolare 1,4%, Italia sovrana e popolare 1,2%."
Esattamente quel che avevo previsto: " il numero, la qualità e le stesse probabilità che arrivino in parlamento sono vicine allo zero." Appunto. E non perché io sia più sveglio ma semplicemente perché "il voto", se lo si vuole valutare correttamente, va inserito all'interno del contesto in cui lo si pratica. Prendersela con gli astensionisti (fenomeno europeo e non italiano) non serve a nulla.
L'intero sistema che porta al voto è costruito in maniera tale da tenere fuori dal parlamento qualsiasi forma di potenziale "opposizione al Regime": personalmente mi disgusta ma la mia opinione personale non deve interferire con l'analisi dei fatti. Ha perfettamente ragione il buon Pedante:
"Trovo del resto plausibile l'ipotesi che nella lunga storia delle democrazie più di un detentore effettivo di grandi poteri abbia ritenuto utile alimentare nelle masse la credenza che il potere suo proprio fosse un potere popolare perché popolarmente sancito dalle strutture e dai riti democratici."
All'interno di un regime democratico nelle sue fondamenta, il voto rappresenta sul serio un "trasferimento di potere"; all'interno di un regime totalitario serve semplicemente a legittimare un potere che vive di vita propria ma che necessita comunque dell'etichetta di "democratico"... perché hanno votato. Ergo, ha "deciso il popolo". A volte votare è più pericoloso del non votare affatto.
Chinacat
PS
"le opposizioni si ritirarono sull’Aventino e il fascismo (oggi non più necessario perché le forze liberiste hanno il controllo assoluto dei media e dei centri di potere) ebbe via libera."
Distorcere la storia per avallare le proprie tesi non è bello. Il Fascismo aveva già vinto almeno tre volte, prima dell'Aventino: la prima quando gli fu consentito di usare liberamente lo squadrismo; la seconda quando gli fu consentito di diventare Regime; la terza quando, dopo aver truccato la legge elettorale, stravinse le elezioni ed avvenne prima dell'Aventino: che stessero fuori o dentro il Parlamento non faceva più nessuna differenza. Se vuole farselo spiegare da uno dei migliori storici del Fascismo:
E fu subito regime - Il fascismo e la marcia su Roma (Emilio Gentile)
link

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valerio

Caro Pedante,
non condivido assolutamente la dicotomia mercato / democrazia essendo il primo la negazione della seconda.
Se il sistema elettorale si è evoluto negli anni in senso mercantilistico è dovuto alla forza degli empi, che controllando le informazioni (oltre ai centri di potere capaci di influenzare gli eventi) hanno reso un prodotto la rappresentanza democratica. Nulla di nuovo, già in tempi non sospetti (mi riferisco al periodo d’oro del bipolarismo secco degli anni 90 e 0) Bruno Vespa si vantava che di avere un rapporto bilaterale con l’offerta politica in termini mercantilistici: la sua trasmissione dava popolarità ai politici intervistati e loro davano popolarità alla trasmissione facendone aumentare l’audience e di conseguenza gli introiti pubblicitari.
Ovviamente non si doveva uscire dai binari prestabiliti che erano il rigore morale del centro sinistra contrapposto alle vicende giudiziarie di Berlusconi (vero e proprio anchor man dell’epoca) e le tasse di Prodi contrapposto alla libertà del centro destra.
Siccome non esistono pasti gratis ben presto ci accorgemmo che c’era qualcosa che non funzionava “nell’Europa dei popoli”, chi prima e chi dopo (e al professor Stefano D’Andrea va il merito di essere stato il primo a scagliarsi contro la moneta unica molto prima dell’arrivo di Monti).
Quando arrivarono le forze antisistema tutti mostrammo le nostre rimostranze notando che c’era qualcosa che non andava, ma eravamo ancora tutti seduti sul divano incapaci di metterci in gioco per costruire qualcosa di diverso.
Se il risultato del 2018 è stata una catastrofe dal punto di vista delle promesse non rispettate (anzi completamente invertite) ha avuto il merito di spezzare definitivamente il bipolarismo richiamando l’attenzione sul Parlamento che è tornato, se non sovrano, almeno il centro della formazione delle maggioranze di governo.
Ha avuto anche il merito di dimostrare quello che gli italiani chiedevano e ciò perché pur non facendo politica attiva i cittadini sono andati in massa a votare.
Ora che c’è un risveglio delle coscienze che porta i cittadini a mettersi in gioco, a spendere le proprie vacanze estive rincorrendo sottoscrittori nelle città deserte, a mettere la propria faccia su liste nuove, giovani e improvvisate ecco che il sistema gioca la propria controffensiva: la carta dell’astensione.
Astensione ben nota nel centro dell’impero occidentale, gli Stati Uniti, dove nessun beneficio ha portato alle classi meno abbienti. Gli esclusi, infatti, sono sempre più marginalizzati.
Ora le forze antisistema attuali non sono perfette, ma sono sicuramente perfettibili e sono, soprattutto, aperte a tutti quelli che vogliono impegnarsi attivamente in politica.
Io, con Italia Sovrana e Popolare, ci sto provando.
Vediamo come andrà a finire.

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Herzog

Eccellente Pedante! Grazie infinite!
Io non voterò perchè, semplicemente, votare in questo dato sistema mi provoca una grande noia.
Inoltre ho una pratica speranza: se l'astensionismo diventasse prevalente, riducendo al minimo la legittimazione del risultato elettorale, potrebbe iniziare un dibattito pubblico intorno ai seguenti temi:
1. E' soddisfatto il principio costituzionale di rappresentatività delle assemblee elettive quando a una quota ridotta di elettori attivi si lascia designare la totalità dei seggi di quella assemblea?
2. Allo scopo di aumentare il grado di rappresentatività delle assemblee elettive (e incentivare il sistema dei partiti a migliorare la qualità della loro offerta politica) sarebbe utile modificare la legge elettorale in un senso come il seguente esempio? (faccio solo un esempio teorico per rendere l'idea):
Se la percentuale degli elettori attivi è X%, allora alle liste elettorali è assegnata la quota X% del totale dei seggi dell'assemblea elettiva. La quota restante dei seggi (100-X), corrispondente alla quota di elettori astenuti, viene assegnata con una forma di sorteggio tra elettori passivi.
Buon voto.

Rispondi

↪ valerio

Gentile @Herzog,
vorrei capire questa formula come la ha ricavata.
Ricordiamo tutti quello che è successo con l'Aventino.
Non ripetiamo gli errori del passato.

Rispondi

↪ Herzog

Gentile @valerio,
Non ho inventato nessuna formula, ma ho esposto un banale sistema di penalizzazione dei partiti quando impongono agli elettori un'offerta politica scadente.
Ad esempio, se la partecipazione al voto è il 50% degli aventi diritto, allora alle liste elettorali presentate dai partiti alle elezioni è assegnato solo il 50% dei seggi dell'assemblea elettiva (cioè hanno complessivamente meno eletti), mentre il restante 50% dei seggi è assegnato per mezzo di un opportuno sistema a sorteggio.
In tal modo i partiti sarebbero incentivati a migliorare la qualità dell'offerta politica allo scopo di incrementare la partecipazione al voto e avere un maggior numero di seggi in assemblea.

Rispondi

disperato

Però non ho capito, lei Pedante va a votare il 25 settembre o no? e se si cosa vota?
In quanto a me, sono convinto che la democrazia o è diretta o non è, e nel sistema italiano i referendum oltre a richiedere il quorum sono solo abrogativi e solo su questioni di secondaria importanza, perciò chi ritiene che siamo in democrazia vaneggia.
Tuttavia credo anche che oggi siano in gioco le nostre vite (obbligo a un siero sperimentale, sanzioni alla Russia e conseguente guerra), e penso che votare un partito antisistema (Vita, Italia sovrana e popolare, Italexit) sia moralmente obbligatorio. Poi certo se gli italiani in stragrande maggioranza non voteranno o voteranno altro sarà inutile, come sarà inutile se i nuovi partiti una volta in Parlamento faranno l'esatto contrario di quanto promesso (come ha fatto il 5stelle). Rischio che non ci sarebbe se fossimo in una democrazia diretta e si chiedesse direttamente al popolo se vuole l'obbligo "vaccinale" o no, e (se vuole) le sanzioni e la guerra alla Russia o no.
I rappresentanti di Vita mi sembrano più affidabili (Montanari, Gatti, Luca Teodori, Holzeisen) e sulla carta meno propensi a tradire le promesse elettorali, per cui dovendo scegliere (siamo in democrazia indiretta cioè in una finta democrazia...) penso di orientarmi per votare loro.
Saluti.

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Marius

Non so chi tu sia, ma quello che hai scritto e' la verita' e solo la verita'.
Una lucidissima analisi di cio' che e' stato e di cio' che ci sta aspettando.
Grazie!

Rispondi

Giuly

Eccellente disamina.
Grazie.

Rispondi

Luca

tristissima, ma condivisibile analisi: sono molti quelli che hanno capito (non solo quanto successo negli ultimi due anni con la pan**mia), ma esiste un'ipnosi più forte, diffusa e radicata di quella che ha consentito che certe restrizioni fossero accettate e, anzi, invocate ed è quella che ci ripete da sempre il mito della democrazia rappresentativa. La nostra Costituzione conterrebbe un antidoto: il partito politico. Sennonché (correttamente da un punto di vista giuridico) i Costituenti hanno riservato alla legge, e, dunque, ai "costituiti", di regolamentare il funzionamento dei partiti che si sono evoluti, specie nell'ultimo trentennio, in apparati settari, autoreferenziali, verticistici, meramente cooptativi, in grado di preselezionare la loro c.d. "classe dirigente" non sulla base del consenso su specifiche questioni (avvicinando il sistema a quello di una c.d. "democrazia diretta"), ma su specifiche persone di garanzia della perpetuazione dell'esistente. Nel partito il vertice comanda e non esegue il volere degli iscritti e/o simpatizzanti. Su siffatti partiti non si può costruire un parlamento rappresentativo. Quindi, capisco chi si astiene (l'ho fatto anch'io), ma non capisco chi lo fa perché teme la "dispersione" del suo voto laddove mirato alla scelta di aree o movimenti politici che rispecchiano le sue convinzioni. Il parallelismo tra mercato e democrazia rappresentativa è indiscutibile, ma l'alternativa qual è? E, soprattutto, mentre ci interroghiamo su quale sia il "mondo migliore" (in senso rappresentativo) che fare?

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Mario M

"si sarebbe oggi al terzo tentativo di infiltrare elementi «antisistema» nel sistema e che i due sinora esperiti e miseramente falliti potevano contare su numeri, risorse e strutture che mancano del tutto ai nuovi arrivati. "
Ora ci sono sostanziali differenze: le personalità, professionalità di alcune componenti di questi partiti antisistema. I 5* non avevano i Frajese, Montanari, Gatti, Sensini, Polacco. Peccato per Lillo Massimiliano Musso troppo sicuro di sé e ora iper critico
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Karl Polanyi ne La Grande Trasformazione: "La nostra tesi è che l'idea di un mercato autoregolato implicasse una grande utopia. Un'istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza naturale e sociale della società; essa avrebbe distrutto l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto."

Rispondi

↪ Il Pedante

Gentile @Mario M, ottima e pertinente citazione. Gliela rubo.

Rispondi

↪ Sofia

Gentile @Mario M,
partire puri nella scalata alla politica non presuppone arrivarvi e operarvi indisturbati e integri (o illesi). Ciò detto adoro Frajese ma dopo la sua scelta di entrare in politica mi duole molto per lui. Persona eccelsa, spirito alto.

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Fedor Mikhajlovic

La ringrazio per la profonda e spietata analisi.
C'è un però che mi attanaglia.
Da cattolico non posso non considerare che la realtà in cui Egli ci ha voluti, qui e ora, è questa. Falsa, mediatizzata, manipolata, corrosa alle fondamenta e ultimamente disumanizzata. Viviamo in questa "repubblica" che è pubblica solo per chi la gestisce o per chi gode i frutti del subappalto delle sue funzioni. Viviamo sotto queste leggi che alcune volte rispettano una Costituzione (già di per sé un insieme di parole che sostengono come pali bruciati un edificio in fiamme - De Maistre a braccio ndc) scritta da perdenti e scritta dunque per dominati. Ecco, nella sua dimensione estremamente cringe, ciò comporta però una responsabilità personale in questa circostanza richiesta dal potere laico, con tutta la sua volontà distruttrice (e si è visto una volta ancora nella fretta con cui hanno negato alle formazioni minori la pubblicazione delle liste). Ecco perché sono molto combattuto sull'astenermi. Esistono infatti formazioni vergini dal punto di vista degli obblighi vaccinali e delle armi, con persone che vorrei credere altrettanto tali. Perché non dargli credito, foss'anche per un solo seggio in parlamento?

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↪ Il Pedante

Mi colpisce che quasi tutti leggano in questo mio scritto un invito all'astensione e non già un tentativo (riuscito o meno) di interpretarne i moventi nel contesto. Comunque non esiste alcun imperativo biblico di partecipare al governo terreno in ogni circostanza.

Rispondi

↪ Chinacat

Gentile @Il Pedante, "Mi colpisce che quasi tutti leggano in questo mio scritto un invito all'astensione e non già un tentativo (riuscito o meno) di interpretarne i moventi nel contesto."
A dire il vero, a me non stupisce affatto. Probabilmente perché sono più cinico. Anzi, sicuramente. Ma quel che tu chiedi è una ragionata analisi sociologica, non così semplice da fare, al contrario.; servono numerosi parametri per poterla fare, a partire dal più complicato: che diamine è una "democrazia"?
Detto questo, c'è da tenere presente che per la stragrande maggioranza delle persone, "votare o non votare, questo è il dubbio" rappresenta un valore o un significato che è del tutto indipendente dal Grande Contesto (quello sociale, politico, istituzionale, giuridico, economico). Addirittura è indipendente dalla forma di governo in questione.
Votare non ha nulla a che vedere con il capire in che sistema politico/economico/sociale si vive, ha più a che fare con le aspettative personali che generali: Tizio è meglio di Caio; il partito X è meglio (o peggio) del partito Y; serve un partito che faccia sentire la propria voce; almeno c'è qualcuno e uno è sempre meglio di niente. Sul versante del non votare, invece, i giudizi sono in gran parte negativi ma senza una qualsiasi ragionata analisi sul perché o come ci si sia arrivati. Chi si astiene è "brutto e cattivo" a prescindere, ancora una volta, dal "sistema" in cui si va a votare; come se votare nel 1929** o nel 1934 fosse la stessa cosa che votare nel 1946.
Chinacat
** Non è molto noto ma anche nel Fascismo si votava. Quanto fosse psicologicamente importante, il Regime Fascista lo aveva capito benissimo. Non cambiava assolutamente nulla ma faceva molta "scena".
link
"Il plebiscito dell'anno XII Nella giornata elettorale tutti i cittadini italiani hanno compiuto il loro dovere."

Rispondi

Chinacat

Sul contenuto, nulla da eccepire: è una spietata fotografia della situazione attuale e così deve essere. C'è comunque una considerazione che va svolta, dato che sta alla base di qualsiasi discorso sull'esercizio del diritto di voto: "democrazia". A mio avviso si tratta della parola più usata e meno compresa di tutto il vocabolario moderno e per questo motivo genera parecchi equivoci: ognuno può attribuirgli il significato che fa più comodo o risulta più utile per sostenere una determinata tesi ed è probabilmente l'unico termine dotato del dono dell'ubiquità. Sono stati "democratici" (in ordine sparso): Solone, Fidel Castro, Mussolini, Giulio Cesare, Stalin, Pericle, Luigi Napoleone III, Clistene, Hitler e Pol Pot; anche Mario Monti e George W. Bush sono "democratici".
Chiedo scusa per la parentesi storiografica ma credo sia utile capire quanto sia stata manipolabile questa parola, nel corso della sua millenaria esistenza. Perché anche oggi viene manipolata e la cosa non dovrebbe quindi stupire, una volta che se ne sia compresa la grande elasticità e il potente fascino che esercita.
Detto questo, è facile vedere come viene manipolata oggi: votare = democrazia. Anzi, votare è la quintessenza della democrazia. Nelle nazioni democratiche si vota, in quelle non democratiche non si vota. Semplice e facile da capire, anche per la famosa massaia di Voghera. Di tutti i mattoni che compongono l'ideologia democratica è rimasto solo quello più facilmente manipolabile ma che produce i maggiori effetti: il senso di partecipazione, la teorica possibilità di cambiare qualcosa, il dare voce alle istanze contrarie. Tutte le considerazioni che vengono svolte da coloro che andranno a votare contengono uno o più di questi elementi ma partono tutte dallo stesso presupposto di fondo: votare = democrazia. E pur contenendo qualcosa di "nobile" e di positivo, poiché effettivamente il voto è uno dei mattoni della democrazia, contengono tutte lo stesso errore di fondo: la "democrazia" può non aver nulla a che vedere con il voto. E men che meno nella società attuale.
Ultima considerazione: quando Platone descrive la "democrazia", non usa l'istanza del voto come principale argomentazione contro la democrazia. A Platone questo sistema non piace ma è a conoscenza del fatto che il diritto di voto esiste già da tempo, a partire dalle riforme di Clistene e Solone. Quando decide di descrivere cosa non va nella democrazia, usa un linguaggio e delle parole che sono lontane dal puro e semplice diritto di voto:
«Pertanto la democrazia, a mio parere, nasce quando i poveri, riportata la vittoria sulla fazione avversaria, uccidono gli uni e mandano in esilio gli altri, e dividono con i rimanenti a parità di condizioni il governo e le cariche, che per lo più vengono assegnate tramite sorteggio».
«Questo regime», disse, «è in effetti la democrazia, sia che nasca in seguito a una lotta armata, sia che gli avversari vadano in esilio per paura».
(Platone, La Repubblica, Libro 8)
Chinacat

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↪ Gualberto

Gentile @Chinacat,
Complimenti per la disamina.
Giusta e centrata.

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Xissur

Bellissima analisi. Non concordo con le conclusioni, per la prima volta da quando la leggo.
Posso rispettare l’idea dell’astensione solo se si è disposti a cambiare il governo con altri mezzi. Ma non vedo rivoluzioni all’orizzonte.

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↪ Burlor

Gentile @Xissur, "Posso rispettare l’idea dell’astensione solo se si è disposti a cambiare il governo con altri mezzi. Ma non vedo rivoluzioni all’orizzonte." Concordo assolutamente con Lei. L'unica alternativa COERENTE (e non oziosa) e logica, rebus sic stantibus, all'astensione, sarebbe una Rivoluzione O l'uscita dalla società (un Aventino o una "opzione Benedetto") - quest'ultima soluzione, invero, non incompatibile col voto e, forse, inevitabile in un prossimo futuro, se l'Agenda mondialista seguirà il suo corso senza ostacoli. Chi non è disposto a fare la rivoluzione dovrebbe votare per uno dei due partiti alternativi, secondo me. Chi si astiene mi pare che faccia come chi, all'avanzare del nemico, sta alla finestra a guardare, come se la guerra non lo riguardasse...non si risolverà forse molto col voto, ma può essere qualcosa, un inizio, complementare all'azione quotidiana di testimonianza e desistenza alla Bartleby, e alla vita interiore, spirituale e comunitaria (se possibile) in opposizione alla realtà che ci circonda.

Rispondi

↪ Sofia

Gentile @Xissur,
il voto e' individuale, personale, e ogni votante arriva a provare tutte le esperienze, di gioia e disillusione. I tempi, naturalmente, non sono uguali per tutti. Comunque quel che volevo dire e' che non c'e' da convincere e da dissuadere nessuno.
Se c'e' un'epoca più immorale, debole, impotente nella sua politica, forse e' questa, mentre se già c'e' stata in passato allora non ce ne siamo accorti.

Rispondi

↪ Chinacat

Gentile @Sofia, una semplice annotazione:
"Se c'e' un'epoca più immorale, debole, impotente nella sua politica, forse e' questa, mentre se già c'e' stata in passato allora non ce ne siamo accorti."
Le faccio leggere un breve testo:
"Quando non era raggiungibile alcun accordo tra i partiti, venivano formati "GOVERNI DI ESPERTI" , che si dichiaravano al di sopra delle fazioni e delle loro lotte. Questa PARODIA della democrazia parlamentare , fece buon gioco ai reazionari, giacché permise loro di nascondere politiche sostanzialmente antidemocratiche SOTTO IL MANTO DELLA COMPETENZA TECNICA."
Suona familiare? Anzi, scommetto che probabilmente sta pensando: "sai che novità, è esattamente quello che succede da almeno 20 anni a questa parte. Un quadro ben noto della situazione".
Se non fosse che questo testo è stato scritto nel 1941 e si riferisce alla Repubblica di Weimar del 1930, non all'Italia del 2022. Quando lei scrive se un'epoca del genere "già c'e' stata in passato", c'è stata eccome. Ma quando scrive "allora non ce ne siamo accorti" allora mi duole far notare che non solo c'è qualcuno che se ne accorse ma se ne accorse subito. E ci scrisse pure un libro in merito, pubblicato già nel 1942.
Chinacat
(La citazione proviene da "Behemoth - Struttura e pratice del nazionalsocialismo", scritto da un cervello di prima classe, Franz Neumann)

Rispondi

↪ Sofia

Gentile @Chinacat,
certo, non si discute.
C'e' sempre qualcuno che se ne accorge, e che grida ai sordi o che scrive a chi non leggera'.
Ce ne sono di eccelsi, davvero... Personalmente sono fiduciosa, dei tempi non sono sicura. Intanto la malattia di oggi appare incurabile, un incantesimo ha paralizzato nella moltitudine la volontà del pensare e quella dell'azione conseguente alla comprensione del percepito.

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Politicamente scorretto

Eccellente, come sempre, ma mi sembra che cada nell'errore che denuncia, il voler applicare una semplificazione alla realtà.
Chi non vota protesta, chi da un voto di protesta pure protesta, l'accettazione del gioco é solo apparente e la sua rilevanza non é pari al non voto, ma forse un pelino di più perché da quel voto scaturiscono seggi, irrilevanti tanto quanto le reazioni avverse per il soggetto che le subisce.
Il non voto lo sosterrei se lo ritenessi propedeutico ad una rivoluzione, non credo sia così, chi non andrà a votare non affilerà la spada. Io sono pronto ad usarla, ma non per fare il martire, quindi non posso chiedere agli altri di farlo, quindi agiró come se anche gli altri non volessero farlo. Alla fine diranno "tragedia, affluenza bassa..." mentre si fregheranno le mani dimenticando i valori assoluti e citando solo le percentuali.
A quanto deve arrivare il non voto per avere una rilevanza? É possibile che ci arrivi? Se la risposta é "no" l'ipotesi va scartata. Ed in questo momento per me la risposta é no.
Se mai ci sarà una rivoluzione non scaturirà dal non voto, ma dalle vessazioni, chi se la intesterà? Chi potrà guidarla? In simili circostanze sarebbe sbagliato votare con aspettative, ma é sensato votare non tanto per dare, ma per togliere. Votare per rendere sempre più palesemente insensate politiche comuni supportate da soggetti che dovrebbero stare agli antipodi.
Purtroppo i partiti dell'antisistema che vanno alle elezioni hanno già formulato (ricevuto) i loro programmi tenendo ben presente la teoria degli insiemi, non mi faccio illusioni, ma se qualcuno dice "basta vaccinazioni obbligatorie" e poi farà la flat tax o si dispiacerà di non aver vinto in Toscana, io non saró stupito resterà il motivo del mio voto e la comune conoacenza di questo semplice fatto che presto o tardi potrebbe tornare utile.
Insomma pur concordando sull'inutilita relativa del voto non posso accettare la sua inutilità assoluta per tre motivi:
Primo: la realtà é complessa e potrebbe capitare per errore di dare visibilità a qualcuno che lo merità, che é meglio di nulla.
Secondo: non ho una spada. Le hanno tutte loro.
Terzo: quando decideró che serve una spada voglio essere certo di sapere dove dirigerla, altrimenti resterà solo un'ipotesi semplificata, mentre io preferisco i fatti semplici. Il mio nemico non sarà mai il pd, chiaro e criatallino come acqua di fonte, il mio nemico sarà chi avrebbe dovuto rappresentarmi, uno solo, uno mi basta. Un voto, e sarà quasi vera democrazia.

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↪ Lale

Gentile @Politicamente scorretto, le suggerisco di inserire le parole "astensionismo costituente" e "Paolo Sceusa" nel suo motore di ricerca. La rivoluzione si prepara.

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↪ Alberto T.

Gentile @Lale,
Di tutti i guru astensionisti, delle più varie tendenze (libertari,anarcocapitalisti,qualunquisti,ribellisti ex leghisti,vaffanculisti ex 5stelle) i crollisti new age dell'ex magistrato Sceusa e i referendari velleitari di Ugo Mattei sono i più curiosi.
Mi soffermo sul primo perché dopo una carriera di Stato professionale normalissima ,questo marciatore infaticabile ha trascinato per mesi ,migliaia di persone,evitando di incrociare qualsiasi luogo del potere locale o nazionale e proponendo una protesta in stile Via Francigena (ma laica,antipolitica,antipartitica e in sostanza sterile e sterilizzante) e toccando campi,fossi,colline e boschi.
Poi colto di sorpresa dall'annuncio di elezioni, ha scaricato mitragliate di offese e aggressioni verbali sul suo gruppo Telegram su chi non concordava (strano concetto di democrazia e dialettica politica) concentrandosi singolarmente sugli Elettori che volevano votare definiti "votaioli illusi e incalliti" e sulle nuove liste del dissenso (solo quelle...) definendo i loro esponenti "merdosi deretani" in cerca di fortuna personale.
La cosa mi e' apparsa ben singolare e alla richiesta forte di spiegazioni e alle contestazioni in un gruppo di ben 20.000 persone è seguita la risposta programmatica davvero bislacca:
1) se non vota il 50% il prossimo governo cadrà (ok)
2) Noi Comitati Costituenti nel frattempo scriviamo la nuova Costituzione (vasto programma...per casalinghe e marciatori di boschi)
2) il PdR indira' nuove elezioni (ah...ok)
3) noi (partito degli Astensionisti) le vinciamo perche' siamo già maggioranza (ah...ok)
4) Approviamo una Nuova Costituzione (e che ci vuole...)
5) elezioni finalmente davvero democratiche dove governa davvero il Popolo (ok,ci siamo...)
Avevo effettivamente dei dubbi se votare o meno gli zerovirgolisti, Sceusa me li ha tolti del tutto.Meglio una parvenza di democrazia che il crollismo magico new age.

Rispondi

↪ politicamentescorretto

Gentile @Alberto T.,
Premesso che per me astenersi o annullare la scheda é una scelta condivisibile ritengo in ultima analisi che il votare gli zerovirgolisti (ma sono certo che se le elezioni non fossero truccate la storia sarebbe diversa) resti comunque un opzione migliore. Almeno finché resteró convinto che tutto quel che possa nascere dal non voto siano realtà politiche xhe si presenteranno alle prossime elezioni e attaccheranno il non voto, perché loro invece sì che...
Voto come un solitario che combatte una guerra senza speranza, potrei gettare il fucile, ma qualcuno mi dovrebbe dimostrare che queato farà più male al nemico.
Il sistema é lungi dall'essere perfetto, il sistema é solido, ma non invincibile e il futuro é sempre imprevedibile, io spero nel futuro, moriró disperato ma almeno avró vissuto, quando decideró che votare é inutile avró perso la speranza, allora saró morto o semplicemente spereró in qualcos'altro?
Chi non voterà spera in qualcosa? Agisce per qualcosa? Nel qual caso ha la mia stima e se il suo qualcosa é migliore di quanto ipotizzavo prima anche il mio appoggio, ma se invece il non voto é solo una resa no, non mi arrendo. Vedremo quale sarà l'affluenza alle elezioni, forse sarà bassissima e il non voto sarà pesantissimo...come il voto...poi o votati tradiranno, questo é certo (ma tutti tutti?), i non votati non tradiranno (nessuno dei non votati tradisce, mai), altrettanto certo. Mi siedo fieramente dalla parte del torto.

Rispondi

↪ Alex

Gentile @Alberto T., non so cosa ha in mente Sceusa ma nelle azioni quotidiane concrete c'è poco di new age. Decidere di disubbidire civilmente a norme palesemente ingiuste e contrarie alla Costituzione richiede un pò più di costanza e coraggio rispetto al giorno della matitina. Perchè nelle leggi di natura non esiste il moto perpetuo e a tanta energia impiegata corrisponde un certo risultato di ritorno, di solito minore rispetto a quella impiegata. Ora si misuri lo sforzo profuso dal singolo avente diritto il giorno del voto con lo sforzo e l'impegno quotidiano nel cercare di prendersi la responsabilità del cambiamento e si faccia un bilancio energetico su quello che può essere il risultato. I muscoli non ti vengono se fai un piegamento un giorno e poi ti metti sul divano. Anche in questo articolo, ben articolato e impietoso, alla fine ci si focalizza sul gesto del giorno, voto/non voto, quando un risultato a favore di questa umanità, che è diventata carne da cannone sacrificabile, semmai avesse qualche chance di realizzarsi, sarebbe frutto di un processo. Lungo e faticoso dove ognuno decide quale sarà il suo contributo. Lungo e faticoso.

Rispondi

↪ …

Gentile @Lale, e questo é esattamente il danno provocato dal fraintendimento totale del significato di astensionismo. Non se ne esce.

Rispondi

↪ Alberto T.

Gentile @Alex,
cosa ha in mente Sceusa,glielo ho spiegato sopra,è chiaro sterilizzare la protesta,azione banalmente semplice se interviene su individui in sofferenza,spoliticizzati che si sentono gratificati dall'"armonia" celeste,dall"energia cosmica"...in sostanza ad uno spiritualismo naturalistico del tutto innocuo per le strutture politiche egemoni.
Mi complimento poi per il rovesciamento Orwelliano della sua logica: lo sforzo politico, il percorso di crescita sarebbe del non-votante rispetto al votante che invece "deve fare solo un segnetto con la matitina"?
Perche' il votante non sara' anch'egli stato "tradito" da partiti, personaggi, ideologie che gli avranno fatto esclamare contumelie e promettere che mai piu' ci sarebbe cascato?
E il votante ,prima di dare ,di nuovo fiducia a nuovi esponenti e nuovi partiti non si sara' chiesto
"E se mi fregano un'altra volta'?" Il vero stupido sarebbe il "votaiolo".
In questo rovesciamento perculatorio, ritrovo la stessa logica scaltra, seguita dal camminatore,
che tanto è piaciuta ai moderni "menefreghisti" new age,certi che il 26 Settembre, visto il fallimento dei "merdosi deretani" (la raffinatezza lessicale non è mia) potra' mostrare agli adepti della sua setta il "crollo del sistema",be' malgrado condivida l'analisi quasi totalmente de Il Pedante, ripeto che la foga, con cui viene spinto l'astensionismo non si è mai visto in 77 anni di Elezioni Politiche.
I miei motivi su questa contro-campagna nichilista,sono rafforzati.

Rispondi

ideorigattiere

Davanti alla prepotente restaurazione neoliberista e antidemocratica degli ultimi decenni che negli ultimi tempi appare molto accellerata, c'è da temere che lo sbocco naturale sia una rottura prepotente degli equilibri del sistema. Questo forse permetterà di ripartire su basi migliori, ma nel frattempo condannerà molte esistenze a subire sofferenze e violenze. Il singolo cittadino ha poche possibilità di opporsi a questa deriva, ma tra queste il voto, per quanto debole, è una. Votare può servire ad aprire spazi democratici di dibattito e di (poco) potere per posizioni radicalmente diverse. Forse è velleitario, forse è illusorio, ma non è sicuramente dannoso.
Il 20% di elettori "scontenti" che hanno portato dapprima il 5s e poi la lega al 30%, hanno il potere di portare in parlamento tutte le forze antisistema candidate su tutto il territorio nazionale. Questo sarebbe una buonissima base di partenza, anche perché non sarebbe una sola lista (che in quanto tale è più facilmente ricattabile e/o infiltrabile e/o corruttibile nei suoi vertici) ad avere il monopolio del malcontento, ma varie forze che si controllerebbero vicendevolmente.
Io voto convinto, contento e anche speranzoso (pochino, eh).

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Mi astengo dal non votare

Come sintetizzato dal mio nome di fantasia "obbligatorio", io voterò, e voterò perché nonostante sia assolutamente lapalissiano lo scenario descritto come sempre benissimo nel suo articolo, la realtà è che gli astensionisti non producono in nessun modo l'effetto che pensano di produrre o sottintendere con la loro "azione", quello cioè di "chiedere una scelta e di denunciarne l'assenza", e non lo producono più di quanto non producano il medesimo effetto gli ex acquirenti di AMAZON che scelgono di non fare più acquisti su quella piattaforma. Proprio perché il monopolio si è consolidato al fine di renderne superfluo il rifiuto, questi non sortiscono altro che la propria alienazione dal discorso, il quale dovrebbe proporsi come obiettivo finale quello di cominciare un lento, complicato e certamente ostacolato percorso di cambiamento a livello politico-istituzionale, il quale, se ancora ci facciamo la grazia reciproca di poter ragionare realisticamente, può avvenire soltanto attraverso l'appoggio a forze partecipanti al gioco ma determinate alla modifica di un sistema la cui esistenza è certificata proprio dal rifiuto di parteciparvi da parte di qualcuno che così facendo non fraintende il contesto, ma il significato del proprio ruolo e delle proprie azioni. Un astensionista può semplicemente affermare che non riconosce nessun candidato di suo gradimento, la qual cosa merita il rispetto dovuto. Profondamente miope è invece considerare una non-azione come foriera di significati intrinseci che invece non ha, e che quindi non produce nella realtà fisica che viviamo, a meno di non voler vivere in un iperuranio filosofico dal quale si pontifica sulla vita accontentandosi di morire un giorno degli stessi stenti di tutti, ma con il compiacimento interiore di chi, bontà sua, "ha denunciato". Peraltro, non esistono "gli astensionisti" in quanto insieme unitario, esistono milioni di persone confuse e deluse più o meno risolte nel senso del proprio convincimento sopra i perché e i per come astenersi, ma assai pochi di questi appartengono all'illuminato insieme di coloro che posseggono una pur vaga idea del "dopo". La gente non vota semplicemente perché "il sistema è marcio" o perché "i5s hanno tradito, quindi tradiranno tutti", le quali amenità hanno già sortito, e giustamente, le più svariate puntualizzazioni da parte dei più svariati soggetti pensanti, che con un minimo di logica fanno pacatamente notare l'inutilità o peggio il danno sostanziale e numerico del non voto, cioè del dichiarato NULLA fattuale, a fronte di quella che si può anche e sacrosantemente concepire come "poca utilità" o "vana speranza" del voto, ma che, con buona pace delle infinite dietrologie, è e rimane pur sempre un QUALCOSA. Perché, alla fine, chi argomenta a favore dell'astensione dovrebbe pur venire a patti con la propria presunzione divinatoria ("tanto non serve a niente", "i piccoli perderanno perché gli altri prima di loro hanno fallito") e spiegare con dovizia di particolari, esattamente, cosa diamine vieterebbe di votare e contemporaneamente operare scelte sociali volte a organizzare sistemi alternativi a quello esistente, e che propongano dunque un'ipotesi di futuro diverso da quello infaustamente delineatosi davanti ai nostri occhi, denunciano parimenti l'esistenza del sistema malato che ci affligge. Mistero. Quasi sempre, al contrario, l'astensionista medio (non è il caso dell'autore, ma del plurale che lui stesso usa per riferirsi a un insieme di individui accomunati da una posizione) opera una scelta fondata sulla mera delusione ammantata da acquisizioni filosofiche (incomprese, e di altri), naturalmente irraggiungibili per chi vota (che al contrario è "un illuso"). Quasi sempre, d'altronde, chi non vota per le ragioni più machiavelliche e finemente argomentate, non ha parimenti cognizione reale della natura dei partiti cui nega il sostegno, volendo concludere che il problema non sono loro (che tanto alla fine o sono tutti uguali o se sono diversi falliranno), ma il gioco al quale partecipano, il quale, ahituttinoi, va cambiato si, ma come, in che modo, con quale azione o organizzazione, attraverso quali meccanismi, non s'a da esplicare. E sia.

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↪ Chinacat

Gentile @Mi astengo dal non votare, non ho certamente la presunzione di farle cambiare idea ma ci sono alcuni passaggi del suo testo che sono quantomeno singolari. A cominciare da una semplice considerazione; secondo Lei una non-azione (l'astensione) non produce nulla mentre l'azione (votare) produce "qualcosa". Nel mondo fisico delle attività umane invece, una non-azione produce "qualcosa" tanto quanto un'azione: se sta affogando e non le lancio un salvagente, la mia non-azione produce "qualcosa" o mi sbaglio? Il fatto che l'astensionismo non produca l'effetto che Lei desidera non vuol dire che non produca "qualcosa".
Ho idea che Lei parta dalla sue conclusioni in merito al perché "la gente non vota", al posto di analizzare il fenomeno dell'astensionismo a prescindere dalle conclusioni di tipo personale. Le faccio un esempio:
" La gente non vota semplicemente perché "il sistema è marcio" o perché "i5s hanno tradito, quindi tradiranno tutti"
Negli Stati Uniti la percentuale di astensionismo oscilla, come può facilmente verificare, tra il 50% ed il 60% eppure non sanno nemmeno cosa sia il M5S. Nel Regno Unito l'astensionismo ha superato il 40% e da quel che risulta, è un fenomeno in crescita in tutta l'Europa; anche questi dati sono facilmente verificabili. Tipo questo: link.
Per la carica di sindaco di Londra, l'affluenza è stata del 42%: Londra, non Roccacannuccia di Sotto (con tutto il rispetto per gli abitanti di Roccacannuccia di Sotto).
Credo che sia abbastanza evidente che se allarghiamo il quadro ci troviamo di fronte ad un fenomeno che travalica il semplicistico giudizio negativo su chi non vota; è un giudizio che può farla sentire migliore degli altri ma a parte questo effetto placebo personale, non aiuta per niente a capire il fenomeno, anzi. Perché è vero anche che ci sono delle isole felici per i votanti, come questa:
link
Poi ci sono le isole infelici delle quali nessuno parla, come questa:
link
"A mere 38.1% of voters in the Duisburg III constituency". Tedeschi, non italiani, quindi ben lontani dalla visone del mondo in stile "casta-cricca-corruzione-sesonomagnatitutto". Eppure il 62% non va a votare. E giusto per non farci mancare nulla: "(ANSA) - CATANZARO, 12 GIU - A Catanzaro, nelle elezioni comunali per l'elezione del sindaco ed il rinnovo del Consiglio comunale, alle 19 ha votato il 46,93% degli aventi diritto." E adesso come la mettiamo? Votano più cittadini di Catanzaro che cittadini di Londra o Duisburg. Come'è diverso il mondo, quando si passa dall'iperuranio filosofico a quello reale, nevvero?
Chinacat

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↪ Mi astengo dal non votare

Gentile @Chinacat, non ha compreso quello che ho scritto.
Primo: so quanto lei, e come chiunque altro, che l'astensionismo come fenomeno generale non si può riferire solo alle due ragioni che ho virgolettato, d'altronde, mi perdoni, ma se lei pensa davvero che qualcuno possa addurre quelle ragioni all'astensionismo come fenomeno globale tanto da riportargli, come prova, il fatto che in USA non conosco nemmeno i 5stelle, è chiaro che il problema della supponenza riguarda qualcun altro. Il testo del Pedante si riferisce, nelle parti da me prese in considerazione, a queste elezioni e al fenomeno in essere della divisione tra poveri nata sull'onda dell'astensionismo qui, oggi, in Italia. Non in USA, non in Cina, non in Groenlandia.
Secondo: di nuovo, la non-azione che io descrivo è quella dell'astensionismo con riferimento al significato che il pedante ne vorrebbe trarre, e non a tutti i significati di tutte le non-azioni possibili tipo non-lanciare un salvagente o non-quello che le pare, non già, quindi, al significato potenziale e filosofico del concetto di non-azione. Dunque la tesi è che, come scrivo, l'astensionismo del quale parla l'autore NON produce gli effetti che si vorrebbe conferirgli in questo caso, nemmeno lontanamente, tantomeno quello di denuncia o richiesta di una scelta la quale, come scrivo, è negata in principio proprio da quello stesso meccanismo alieno alla democrazia che gli stessi astensionisti ritengono essere la ratio decisiva della propria scelta. Se il contesto è avulso alla ricezione del sentimento popolare e del suo volere, quali dovrebbero mai essere i destinatari di una fantomatica "richiesta di scelta", di grazia? Nessuno, per l'appunto, e per esplicita dichiarazione dell'autore che però vorrebbe comunque trovare in questo gesto un senso impossibile per lo scenario che egli descrive.
In sintesi:
"Non voglio entrare in casa a parlare con quelle persone perché tanto nessuno di loro mi ascolta, e se lo fa è solo per tradirmi o corrompermi, quindi me ne sto fuori di casa col broncio in modo che qualcuno (sempre loro) si allarmi, apra la porta, e mi ascolti."
Buone cose.

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↪ Fernando

Gentile @ Mi astengo dal non votare ,
un detto attribuito forse a Benjamin Franklyn recitava: " la democrazia sono due lupi e una pecora che votano su cosa mangiare; la libertà è una pecora ben armata che contesta il risultato delle votazioni". Ben armata, disse, e si riferiva al popolo. Noi qui siamo una colonia...
Per riprendere la sua sintesi: "Non voglio entrare in casa a parlare con quelle persone perché tanto nessuno di loro mi ascolta (No, non voglio entrare in quella casa perché le persone che sono là dentro non hanno l'ultima parola e ahimè, ultimamente non ce l'hanno proprio la parola) , e se lo fa è solo per tradirmi o corrompermi (puo' essere, ma lo fanno sulla base di disposizioni/concessioni fatte loro da altri, che stanno altrove, non certo in quella casa) quindi me ne sto fuori di casa col broncio (no, quindi non mi interesso proprio di quella casa e il broncio è un dettaglio irrilevante) in modo che qualcuno (sempre loro) si allarmi, apra la porta, e mi ascolti (ancora no, semmai con l'auspicio che l'astensione sia un primo di tanti segnali di non complicità; poco importa che mi ascoltino o meno, posto che non contano). Ho presunto che Lei intendesse il Parlamento quando si riferiva alla casa.
Cordialità

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↪ Non se ne esce

Gentile @Fernando, insomma, non la si vuole capire. Mentre lei non si interessa proprio di quella casa, quella casa si interessa a lei. Di questo può stare sicuro certo della morte. Faccia un po’ lei.
Chi si astiene ha questa abitudine di confondere le sue teorie con la realtà fattuale. L’astensionista ha il diritto di non votare, ciò che invece é allucinante é il tentativo di proselitismo generalizzato sulla base del niente più assoluto. Quello che dice il pedante é semplicemente falso, perché nella realtà dei fatti non accade come egli descrive. L astensione non ha quel valore, né simbolico né tantomeno pratico. Bisogna finirla di pervertire la realtà delle cose. I suoi ragionamenti sull esempio della “casa” sono sue personali percezioni, delle quali lei fa un principio assoluto quando la realtà non é affatto così monolitica, e se avesse la calma di osservare la realtà e di approfondire i fatti noterebbe immediatamente come le pressioni esterne alla casa certo sono decisiva ma non infallibili, e sono decisive esattamente nella misura nella quale trovano il deserto all’interno della casa. Mentre voi filosofate sopra il non fare qualcosa, vivete nel mondo che subisce gli effetti pratici di leggi ed emendamenti, decreti e imposizioni emanati dalla casa della quale voi “nemmeno vi interessate”. É ridicolo.
Le persone vanno sostenute a prescindere dalla certezza del risultato finale perché nessuno sa quali siano i limiti delle persone o gli effetti delle loro azioni. Oggi esistono persone meritevoli che hanno letteralmente rivoluzionato la propria esistenza per dare il proprio contributo, mentre molti favellano sopra i massimi sistemi negando loro un sacrosanto appoggio, fosse anche soltanto per atto di giustizia o di riconoscenza, di sostegno morale, visto che la logica e i fatti non arrivano a scalfire i dogmi ideologici di chi si é autoconvinto di sapere tutto, preconizzando il futuro e spargendo inutile qualunquismo. Chiunque dotato di buon senso sa che tra una casa abitata da una schiera compatta di servi e una casa abitata da quella schiera e una che le si oppone, é semplicemente meglio la seconda. E le chiacchiere stanno a zero. Tutto il resto é filosofia basata su proprie ipotesi personali, alcune condivisibili, ma che dovrebbero almeno avere l umiltà di sapere di non conoscere i reali meccanismi interni al parlamento e di non poter davvero dare per scontato cosa succederà. Ma tanto é inutile, ormai é una specie di religione.

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↪ Fernando

Gentile @Non se ne esce,
Legga bene quello che le ho scritto e non si limiti scagliare invettive a nastro. Ho presunto, dicevo, che il Parlamento fosse la casa: sicché a me piacerebbe che il Parlamento si interessasse a me. Invece di me si occupa il Governo (soprattutto negli ultimi periodi) , che non è la stessa cosa del Parlamento, ci siamo?
Non faccio nessun proselitismo, ho semplicemente esposto qui la mia opinione.
Le ripeto che noi siamo una colonia e il Parlamento esiste per gentile concessione del dominatore. Occorre aggiungere altro? Aggiungiamo: il Parlamento, anello debole già per definizione, in uno stato non sovrano non decide nulla, è ridotto al grado di un Consiglio comunale (hai mai fatto l'esperienza?).
Lei dice che dobbiamo sostenere le persone meritevoli che hanno in questi mesi dato il loro contributo? Bene, allora avvisiamole che hanno equivocato, poiché sono in lizza per ottenere un posto nella casa sbagliata: hanno sbagliato indirizzo! Servi o meno, non ha importanza, se le decisioni sono prese altrove e le leggi ne sono solo la conseguenza formale.
Detto ciò, non ho la minima intenzione di convincere alcuno, tanto meno Lei, a non votare. Però non venga a dirmi che l'astensionismo è divenuta una religione... È molto fuori strada... C'è solo tanta amarezza...

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↪ Luebete

Gentile @Fernando,
direi che possiamo concludere che l'obiettivo di noi che siamo su questo sito è comune.
Il problema è il come raggiungerlo.
Personalmente ritengo non se ne esca in modo "democratico" in quanto di democratico oggi c'è solo il nome di un partito che fa di tutto per non esserlo. In realtà per democratico intendiamo rispettando le regole attuali (implicite ed esplicite). Pertanto un partito antisistema, attualmente, è un ossimoro in quanto se giochi secondo le regole fai parte in automatico del sistema.
L'alternativa per uscirne rispettando le regole sarebbe avere un potere equivalente ma è al momento non percorribbile.
Quindi bisogna uscirne uscendo dalle regole.
Quindi bisogna astenersi? No, anche quello è giocare secondo le regole, astenendoci riconosciamo implicitamente le regole, le legittimiamo anche se poi diciamo: no non gioco.
Secondo me la modalità pragmatica per uscirne è fare quello che hanno fatto loro: incistare nel sistema piccole cose apparentemente innocue, piccoli granelli di sabbia che nel tempo però possono mettere in crisi l'intero sistema. E' un lavoro lungo, ma tanto nel breve saremo fregati comunque.
Per assurdo se tutti i "novax" si fossero iscritti al PD (o FdI) e avessero creato caos al suo interno, secondo me oggi ci sarebbbero maggiori probabilità di cambiare qualcosa rispetto a votare partiti nuovi nati.

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↪ Chinacat

Gentile @ Mi astengo dal non votare , ah già, errore mio:
" oggi, in Italia. Non in USA, non in Cina, non in Groenlandia."
Mi dimentico sempre che una gran parte di persone è convinta che l'Italia sia un unicum e che l'Italia si trovi su un pianeta che fa parte di un altro sistema solare. Purtroppo non è così. Il risultato è che se il 60% dei londinesi non va a votare, a Lei non interessa; se il 60% dei tedeschi non va a votare, a Lei non interessa; se l'85% degli svedesi va a votare, a Lei non interessa. Ma se il 30% degli italiani non va a votare... inizia il valzer dei luoghi comuni e del provincialismo italiano, come se non avessimo nulla un comune con il genere umano.
"un tentativo (riuscito o meno) di interpretarne i moventi nel contesto."
E' questo che sta cercando di fare il Pedante, e non un elenco di giudizi negativi su chi non va a votare e su quanto siano positivi gli effetti del voto (e negativi gli effetti dell'astensionismo). E dato che il contesto è molto più grande, forse è il caso di allargare gli orizzonti e poi, semmai, fare un'analisi che parta dal generale per arrivare al particolare. Il contesto non è l'Italia ma il "sistema politico/economico".
Quanto agli effetti "positivi" dell'andare al votare, ci sarebbe da discuterne, perché ci sono stati già due casi non teorici ma pratici che dimostrano invece gli effetti NEGATIVI del voto.
1) Nel 2006 gli italiani sono andati a votare con una legge elettorale FASCISTA, come facilmente verificabile. Ora, recarsi a votare con una legge Fascista e quindi implicitamente antidemocratica è a dir poco surreale, un insulto all'intelligenza, prima ancora che un clamoroso calcio ad uno dei mattoni dell'ideologia democratica. Peggio ancora: vuol dire avallare ed accettare un elemento assolutamente antidemocratico. Chi ha votato non è diventato ipso facto un fascista ma vuol dire che comunque ha accettato di diventare complice del processo di demolizione della democrazia.
2) Nel 2020, circa il 50% degli italiani ha volontariamente rinunciato ad un altro mattone della democrazia, riducendo volontariamente il numero dei parlamentari. Gli effetti negativi sono troppi per enunciarli tutti ma sono il risultato dell'essere andati a votare, senza bisogno della Gestapo alla porta. La democrazia che viene uccisa attraverso il voto. Già solo questo dato di fatto oggettivo basterebbe a far sorgere dei dubbi sul significato dell'esercitare il diritto di voto, molto utile per vedere gli effetti positivi dell'astenersi. Votare in regime democratico non è la stessa cose che votare in regime di totalitarismo.
Chinacat
PS
Nel 1940 un sociologo, Sergei Chakotin pubblicò uno dei primi studi sugli effetti della "propaganda" applicata alle masse (The Rape of the Masses). Una delle considerazioni svolte in questo testo è molto attuale: se in un regime democratico ci sono un 10% di individui attivi ed un 90% di individui "stanchi o che si rifiutano di pensare oppure tutta la loro attenzione è assorbita dalle difficoltà quotidiane e sono così ridotti ad un livello biologico"... allora questo 90% degli individui non sono altro che soggetti da controllare attraverso la propaganda. In questo modo, non serve nemmeno la forza per effettuare il controllo, lo fanno da soli. E come se non bastasse, aggiungo io, se gli chiedi di andare a votare per abolire la democrazia, lo fanno. Eh già, il voto lo si può usare per abbattere la democrazia.
link

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↪ Di nuovo no

Gentile @Fernando, sbagliato.
Il suo commento dimostra esattamente ciò che ho scritto.
Non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire.
Intanto, nel mondo, partono minacce velate e avvertimenti all'Italia nel caso in cui "le elezioni non andassero come gradito" alla NATO, alla UE, e agli USA.
Questo, secondo i troppi che la pensano come lei, dovrebbe per l'appunto dimostrare che "votare non serve a niente" visto che "ci comandano dall'esterno". Le do innanzitutto una notizia: che l'Italia sia una colonia è conoscenza diffusa e acquisita in primis da chi a votare CI VA, con la differenza che questi ultimi sanno affrontare il problema in un altro modo, avendo molta più cognizione della situazione reale e delle sue implicazioni A LUNGO TERMINE.
D'altronde, se vivessimo prima ancora che in un paese sovrano, in un paese dotato almeno di logica, sarebbe sufficiente quella a disperdere ogni fragile ragione del non voto. Il fatto che la VON DER LEYEN abbia parlato di "strumenti" pronti a essere usati in caso di voto sgradito", oltre a certificare ciò che sanno anche i sassi (l'Italia è una colonia) dimostra soprattutto un'altra cosa:
PRIMO: Il fenomeno del voto non è affatto ininfluente, tutto il contrario.
E' importante al punto da motivarne il preoccupato monitoraggio da parte della cosiddetta comunità internazionale, allertarla, e spingerla alle minacce e agli avvertimenti più o meno velati per bocca dei suoi "illustri" esponenti (oltre all'azione di tutti quei messaggeri che noi cittadini non possiamo conoscere e che verosimilmente avranno già distribuito decine di pizzini sulle scrivanie di chi deve riceverli).
Se le minacce rivelano certo una volontà di dominio, ne rivelano parimenti la fragilità, che nel pericolante scenario internazionale attuale può facilmente tramutarsi in crisi. Come?
Se le forze antisistema otterranno percentuali sufficientemente notevoli da confermare l'allarme della VON DER LYEN (e se non ci fosse chi sparge la filosofia dell'astensionismo tali percentuali sarebbero molto più alte), verranno utilizzati i famosi "strumenti". Quali sono questi "strumenti", secondo lei?
Sono strumenti democratici? O sono strumenti simili a quelli degli anni '70?
E se sono strumenti democratici, quali sarebbero, di grazia?
Rimpasto di governo motivato dall'ennesima urgenza?
Ebbene, dovrebbe essere chiaro che il fatto stesso che un'autorità esterna alla nazione parli di "strumenti", implica il fatto che quegli stessi strumenti siano sovranazionali, quindi antidemocratici.
Lei dirà: "certo che lo sono, ma loro se ne infischiano". Come darle torto.
Chi vota, infatti, lo sa meglio di lei, ed è anche per questo che vota.
Costringere enti sovranazionali a una reazione (provocata DAL VOTO), infatti, non è per niente la stessa cosa che apparecchiare loro la tavola e stendergli il tappeto rosso (tramite L'ASTENSIONE).
Una prevaricazione, per quanto concertata sia, comporta sempre e comunque dei rischi. SEMPRE. Controllare gli Stati non è come giocare a risiko, e il fatto che perdano tempo ed energia per convocare esponenti italiani all'estero, minacciare, avvertire e paventare ritorsioni e cataclismi, è la prova provata che, se per gli italiani non è certo divertente subire la fustigazione e il controllo del sistema, ANCHE PER QUEST'ULTIMO non è auspicabile dover alzare il livello dell'azione, perché questa comporta l'aumento vertiginoso di una REazione.
Il peggio che può succedere con una partecipazione diffusissima al voto antisistema, è che il nemico sia costretto a rivelarsi più di quanto non abbia dovuto finora, con tutte le conseguenze del caso. Ed è lo stesso nemico ad averlo apertamente dichiarato. Lo ripeto: è il nemico ad averlo apertamente dichiarato.
Di più: veniamo da anni complicati, la gente è molto stanca e ci aspettano tempi duri. In giro si respira già ora una tensione pronta a esplodere e parzialmente ovattata dall'attesa del 25. Negare in maniera totalitaria l'eventuale risultato di un altro voto popolare pone in essere molte dinamiche, alcune di queste pericolose, perché oggi non è il 2019, e le condizioni non sono affatto le stesse.
Votare significa invitare il nemico a fare un'altra mossa, significa incalzarlo e affermare in un colpo solo tante cose anche dal punto di vista culturale e sociale:
- che non sono riusciti a deprimerci al punto da spargere il seme della disillusione che essi bramano perché funzionale ai loro progetti,
- che non sono riusciti a trarci nell'inganno di confondere le istituzioni con chi le abita,
- che i media hanno perso la presa sulla massa che ha invece scelto di votare proprio coloro che meno di tutti gli altri vi sono apparsi, e quando l'hanno fatto sono stati offesi e diffamati,
continuo?
Le ragioni si sprecano, letteralmente, e sono molto più sostanziali e reali di qualunque ingenua nobilitazione del non voto sia da un punto di vista meramente filosofico che da quello, molto più importante, pratico.
L'astensionismo, al contrario, non solo non comporta assolutamente niente di positivo, di utile, di costruttivo, sotto alcun aspetto la si voglia guardare (che non sia quello del proprio ego ferito), ma inevitabilmente, e con incontrovertibile certezza, facilita l'attuazione dei piani sovranazionali a quel punto sollevati persino dall'incomodo di dover per forza usare i suoi millantati "strumenti", potendo contare molto più convenientemente sull'ignavia degli italiani o sulla loro utilissima disillusione.
Mi fermo qua, ma la discussione è talmente sbilanciata da poter letteralmente scaturire miliardi di argomenti a favore di una parte e restare sempre uno zero spaccato per l'altra.
Rinsavite, perdio.

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↪ Fernando

Gentile @Di nuovo no,
Lei ritiene veramente che si possa influire sui programmi decisi per noi da chissà chi e chissà dove, andando a fare tutti insieme delle belle X su un foglio di carta, sulla base delle quali un manipolo di nostri delegati andrà a sedersi in uno o due saloni ad anfiteatro in centro a Roma, a parlamentare a comando secondo i dettami del governo di volta in volta imposto dagli eventi. Va bene. Sappia però, che una volta filtrato il malcontento popolare attraverso un'elezione, la von der leyen di turno dovrebbe solo ridurre a miti consigli mal che vada qualche decina di parlamentari caldi: non mi pare una grande fatica. La storia è piena di esempi che dimostrano come avvengono "i cambiamenti", quelli autentici, nelle cose umane: di norma si tratta di avvenimenti un pochino più cruenti.... Non mi risulta di stravolgimenti particolarmente significativi avvenuti con eserciti muniti di matita copiativa. Ma senz'altro, come Lei ha detto, io non conosco a fondo le potenzialità della democrazia nel lungo periodo.
La saluto cordialmente

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↪ Chinacat

Gentile @Di nuovo no, una domanda: Lei non vive in Italia vero? La prego, mi dica che vive in Paraguay o alle Isole Fiji, perché altrimenti c'è da ridere. Dunque:
"E se sono strumenti democratici, quali sarebbero, di grazia? Rimpasto di governo motivato dall'ennesima urgenza? Ebbene, dovrebbe essere chiaro che il fatto stesso che un'autorità esterna alla nazione parli di "strumenti", implica il fatto che quegli stessi strumenti siano sovranazionali, quindi antidemocratici."
E' già successo. Possibile che si abbia la memoria così sbiadita? O forse, siccome demolisce in toto l'intero suo scritto, è meglio fare finta di niente? E' già successo e casomai non se lo ricordi, ci penso io: l'ultima volta che la UE ha raso al suolo un governo italiano, una buona parte della nazione festeggiava. Ce li siamo dimenticati i caroselli per le strade? Era il 2011 d. C. e non a.C., hanno usato strumenti palesemente antidemocratici e c'erano i caroselli per le strade: di gioia, mica di rabbia o di indignazione.Si aspetta davvero che adesso, novelli Lazzaro, si alzino e camminino?
E come se non bastasse: ammesso e non concesso che quelle che vengono chiamate le "forze anti-sistema" arrivino miracolosamente a formare un governo,quando dopo 5 minuti arriva uno tsunami dai "mercati", pensa davvero che si accorgano in massa di chi è il nemico?
"Lo ripeto: è il nemico ad averlo apertamente dichiarato."
Il "nemico" non lo stabilisco io e nemmeno Lei: lo stabilisce la propaganda di Regime e sarà fin troppo facile identificarlo: quelli che hanno messo a rischio la stabilità della nazione e che ci fanno bastonare dai "mercati". Non sarà la UE a bastonarci e nemmeno la BCE: mi spiace ma sono più scaltri e furbi di Lei. Saranno "i mercati" oppure "la fiducia del mondo"; non ci mettono la faccia ed è per questo che stanno durando (e dureranno) tanto a lungo. E sempre nel caso in cui le "forze anti-sistema" arrivino ad avere una maggioranza in parlamento... perché, altra macroscopica dimenticanza, il numero, la qualità e le stesse probabilità che arrivino in parlamento sono vicine allo zero.
Chi devono ringraziare gli italiani se oggi queste forze saranno ancor meno rappresentate? E' stata la Von der Leyen? Il diabolico Monti? No, sono stati quelli che sono andati a votare per chiedere di avere meno democrazia... e che ogni volta che voteranno ne avranno sempre meno. Perché il sistema è stato costruito esattamente in questo modo. Come sia possibile vivere all'interno di un regime totalitario e pensare che le regole siano le stesse di un regime democratico, va oltre la mia comprensione.
Chinacat

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↪ Di nuovo no

Gentile @Chinacat, non é la sola cosa che va oltre la sua comprensione, é chiaro, ma é in buona compagnia, e fin troppo numerosa, purtroppo.

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↪ disperato

Gentile @Di nuovo no,
premesso che ho votato (Vita, se interessa), ma l'idea che "il peggio che puo`succedere con una partecipazione diffusissima al voto antisistema e`che il nemico sia costretto a rivelarsi..." e`un ragionamento che presuppone che le forze antisistema lo siano davvero. Purtroppo non e`cosi`scontato: i 5stelle ad esempio si presentavano come forza antisistema ma non lo erano affatto e chi li ha votati ha di fatto rafforzato il sistema. Quindi votare partiti antisistema ha senso se e solo se si e`ragionevolmente sicuri che poi non tradiranno le promesse elettorali. Altrimenti se nessun partito ispira una ragionevole fiducia mi pare razionale astenersi. Insomma siamo nel problema della democrazia indiretta dove deleghi qualcuno di cui sei costretto a fidarti (diverso sarebbe con l'esercizio di referendum, che pero`l'Italia non contempla se non in termini abrogativi e con quorum e solo su questioni marginali..., non tutti hanno la fortuna di vivere in Svizzera e a noi e`capitata la disgrazia di abitare in un paese del quarto mondo come l'Italia...).
Aggiungo che astenersi dal voto, per chi decide questo tipo di strategia, richiede in parallelo anche altre azioni di lotta, come per esempio lo sciopero fiscale quando non la rivoluzione vera e propria. E per questo e`necessario essere in tanti disposti a rischiare tutto. Mi pare che in Italia non ci siano le condizioni: gli italiani non fanno squadra e non hanno mai dimostrato grande coraggio (come popolo, poi singoli casi...).
Percio`ho votato il partito che mi sembra meno compromesso e non mi sono astenuto. Ovviamente avrei preferito espatriare, fuori dall'Italia e dall'unione europea che e`la nuova unione sovietica, ma purtroppo non sono in grado.
Ora non resta che pregare.
Saluti.

Rispondi

↪ Chinacat

Gentile @Di nuovo no, se quelli che non sanno confutare gli argomenti si astenessero dal votare, sarebbe già un buon inizio. Quanto all'essere in buona compagnia, non c'è dubbio:
"With 52.49 percent of voters choosing to stay away on Sunday, France recorded its highest-ever abstention rate in the first round of the legislative elections" (15 giugno 2022)
"Because the fall in turnout is massive and structural. The latest elections are proof. In 2019, nearly 50% of French voters did not vote in the European elections; in 2020, 55.25% stayed home for the first round of municipal elections; in 2021, 66.72% stayed home for the regional elections." (Le Monde)
Vediamo un po':
"Costringere enti sovranazionali a una reazione (provocata DAL VOTO), infatti, non è per niente la stessa cosa che apparecchiare loro la tavola e stendergli il tappeto rosso (tramite L'ASTENSIONE)."
Nessun ente sovranazionale ha fatto ai francesi quel che è stato fatto agli italiani... eppure milioni di francesi non vanno a votare lo stesso. Non ci sono i 5 Stelle, non c'è stato né un Monti e nemmeno un Draghi, non li hanno minacciati di rappresaglie... eppure milioni di francesi non vanno a votare. Spiegazione? Ah si: avranno un'eccedenza di tappeti rossi. Ottima teoria.
Chinacat

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↪ Di nuovo no

Gentile @Chinacat, niente da fare.
Te la canti e te la suoni, ma non é una novità.

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Stefano (di fantasia ne ho usata poca...)

E' vero che l'offerta polita è ben scadente, ma è anche vero che costa poco (il tempo di recarsi al seggio), per cui io suggerisco di votare comunque. Qualcuno che è rimasto fuori dal governo Draghi, o che ha assunto dal suo interno posizioni critche o che comunque potrebbe superare il 3% ed entrare in parlamento facendo sentire i propri bisbigli ai pochi dall'orecchio sufficientemente fino per ascoltare c'è. Poco è meglio di niente.
E' un dato di fatto che culturalmente siamo arretrati di millenni, ed è tornata a valere la legge del più forte e cioè del più ricco: legge a cui anche la politica si sottomette (magari controvoglia, ma intanto lo fa).

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Valerio

Non sono d'accordo. In parte sono corresponsabili gli stessi elettori che, attirati dalle mille sirene, hanno scelto di delegare senza svolgere la loro necessaria funzione di pungolo, di controllo e di proposta. Il M5S, nonostante fosse formalmente aperto a tutti (e lo dice uno che ha provato a iscriversi ma senza successo e mai gli è stata chiarita la ragione) ha raggiunto il 34% dei suffragi validi seppur gli attivisti sulle varie piattaforme non fossero mai più di 5 o 6.000; negli anni '70 pressoché tutti facevano "politica" - militando in qualche partito o sindacato, frequentando comizi, leggendo giornali "d'opinione", discutendo in famiglia, sul luogo di lavoro o "al bar". Oggi tutto questo è divenuto impossibile perché sono stati cancellati questi strumenti sebbene nessuno abbia alzato la mano per segnalare il problema quando era abbastanza chiara la deriva che si stava delineando.

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L

Chiedono o denunciano a chi?

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↪ Il Pedante

Vedo che la premessa non è stata metabolizzata. Se la matrice ideale è (come è) il mercato, allora TUTTO è messaggio e i messaggi sono recepiti da un sistema (sempre, idealmente) spersonalizzato che (ancora, idealmente) si bilancia da sé: la «mano invisibile», appunto, che risponde a un «orecchio invisibile». Nei report per gli analisti di mercato E politici l'astensione è quantificata e studiata tanto quanto l'adesione a un prodotto. Non c'è nessuna differenza sostanziale in ordine al loro essere messaggio. Vale d'altronde anche il contrario: chi se ne infischia dell'astensione se ne infischia anche dell'adesione - come infatti è avvenuto.

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↪ NO

Gentile @Il Pedante, Gentile @Il Pedante, di nuovo NO.
Se nella premessa ideale del mercato astensione e adesione hanno un, sempre ideale, identico valore, nel mondo reale che pur contempla decisive differenze da quello delle analogie (per quanto utili all’analisi di certi aspetti esse siano) l’astensionismo NON rimane affatto indifferente quanto l’adesione. E non lo rimane perché le sue implicazioni sociali e culturali, saltate a piè pari dall’analogia del MERCATO, non sono affatto le stesse. Chi si astiene può favellare quanto più gli aggrada sopra le avvincenti strategie di azione dell’astensione, ma NELLA REALTÀ fisica l’adesione e l’astensione non sono nemmeno lontanamente paritetiche. Lo sarebbero soltanto nel caso in cui, pur avendo raggiunto e superato la soglia del 3%, una forza non potesse comunque entrare in parlamento perché il sistema “se ne infischia” di questo dato, ma non é così, con buona pace di chi dice il contrario, e non lo é perché il problema non é affatto (non ancora almeno) l’indifferenza sistemica al voto in quanto tale, ma la serie di strategie mafiose atte a disgregare la forza antisistema con la virulenza di una guerra preventiva, prima ma soprattutto una volta che la forza é GIÀ ENTRATA in parlamento. Il mercato può fungere da immagine utile soltanto nel caso si prenda in considerazione unicamente l’aspetto della mercificazione del consenso, ma non spiega nulla dei fenomeni pervicacemente UMANI E POLITICI che si verificano nella REALTÀ della vita. Il problema dei 5s non fu, infatti, che il sistema poté rimanere indifferente alla sua manifestazione elettorale, cosa che manco a dirlo non fece, MA CHE QUELLA FORZA NON MANTENNE FEDE AL SUO MANDATO ELETTORALE(!), e questo é un problema di categoria completamente diversa da quelli afferenti al mercato, il quale certo preme e influenza, ma non determina di per sé la qualità umana delle persone o la forza dei loro convincimenti. Se lo fa, il problema é delle persone, non del mercato, perdio. Infatti le ragioni dell’astensione devono sempre reggersi su previsioni spericolate che con un’analisi oggettiva non hanno niente a che vedere. Per risultare oggettiva si deve traslare i fenomeni in uno scenario mentale e metaforico come quello del mercato, parlando di indifferenza sistemica, ma nella realtà non avviene in questo modo. Nella realtà, come spiegato, esistono decine di variabili da applicare, e sono tutte variabili di tipo umano che rifiutano e superano qualunque sintesi ideale, per quanto brillante sia. L’adesione quindi é ancora l’unico modo realistico per incidere su un sistema certo barricato ma ancora vulnerabile perché somiglia al mercato senza però poterne mimare ogni regola o contraddizione, ancora. Non ti fidi delle nuove forze nascenti, non votare. Ma il problema é solo quello, nient’affatto la parità di valore delle azioni.

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↪ Speremmu ben

Gentile @Il Pedante,
comprendo e in larga parte concordo ma, mi pare, il parallelismo fra mercato e politica così come da lei declinato non sembra perfettamente calzante. Un azienda è per definizione interessata ad aumentare il bacino assoluto degli acquirenti, i.e., convincere chi si astiene a comprare. Il potere (la commistione di capitale e stato da lei descritta), al contrario, dell'astensione se ne frega a prescindere. Chiaro, ha altri mezzi per controllare gli esiti politici indipendentemente dal tasso di partecipazione. Tuttavia (a) anche ipotizzando che il ruolo del Parlamento e degli organi che esprime sia minuscolo non può essere zero [sterilizzare il voto "antisistema" del 2018 è stato facile ma ha richiesto almeno un minimo di sforzo e di esposizione] e (b) una partecipazione massiccia sarebbe comunque un segnale di attenzione.
Stiamo parlando di poco. Ma se non parliamo di poco parliamo di niente.

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↪ Il Pedante

Gentile @Speremmu ben, La ringrazio della chiarezza e della sintesi della Sua obiezione. Temo però che nasconda un "baco" di fondo circa la natura del potere (arcana imperii). Chi detenesse formalmente un potere, anche assoluto, nei fatti non ne deterrebbe alcuno se i suoi sottoposti non fossero pronti a imporlo alla massa (enforcement). Ma se volesse un potere davvero totale dovrebbe adoperarsi più a fondo per far sì che esso non debba neanche essere imposto, bensì riconosciuto e desiderato dalle masse. Sicché no, non se ne fregherebbe qualora mancasse tale riconoscimento. Trovo del resto plausibile l'ipotesi che nella lunga storia delle democrazie più di un detentore effettivo di grandi poteri abbia ritenuto utile alimentare nelle masse la credenza che il potere suo proprio fosse un potere popolare perché popolarmente sancito dalle strutture e dai riti democratici.

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↪ Chinacat

Gentile @Il Pedante, hai assolutamente ragione:
"Ma se volesse un potere davvero totale dovrebbe adoperarsi più a fondo per far sì che esso non debba neanche essere imposto, bensì riconosciuto e desiderato dalle masse. Sicché no, non se ne fregherebbe qualora mancasse tale riconoscimento."
Mi permetto solo di fare una precisazione: questo "riconoscimento" non vale solo per i regimi "democratici". A seconda dell'epoca, funziona sempre: il Barbarossa che va a farsi incoronare a Roma e il Napoleone che fa andare il Papa a Parigi (ma poi si incorona da solo) sono solo due esempi di "forme di riconoscimento" e di legittimazione del potere. E anche se le masse non contano assolutamente nulla, questo procedimento serve lo stesso, il che vuol dire che è necessario (e loro, all'epoca, lo sapevano bene). Addirittura è necessario nei regimi "totalitari", che in teoria non ne avrebbero nemmeno bisogno: in Germania si vota prima nel 1934 e poi nel 1936. Anche nell'Italia fascista si vota e la cosa interessante è che entrambi i regimi detestavano chi si asteneva.
Chinacat

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↪ Il Pedante

Gentile @Chinacat, è naturalmente così. Le dinamiche fondamentali del potere valgono in ogni regime o maschera di regime. Temo che la mitologizzazione della democrazia (al pari della mitologizzazione di tanti altri fenomeni storici e umani, ad es. scientifici) abbia spesso impedito di indagarne razionalmente i limiti e le analogie con altre declinazioni storiche del potere governativo. Questa stessa mitologizzazione è già, d'altronde, il primo tratto comune (monarchie per diritto divino, imperi fondati da semidei ecc.).

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↪ Chinacat

Gentile @Il Pedante, premesso che io adoro la "democrazia" (quella vera, non questa parodia), ho idea che la "mitologia" a cui fai riferimento non riguardi affatto la "democrazia" ma la pura e semplice parola, distaccata completamente dal suo significato. E' rimasta solo l'etichetta, il contenuto è ben altro; ma dato che è un tipo di etichetta che piace a tutti (anche se non si sa esattamente cosa sia), che si "vende" benissimo (ottima la tua connessione con il mercato) e che ormai fa parte dell'immaginario collettivo, trovo perfettamente normale che subisca questo processo. Più viene demolita nei suoi meccanismi, più viene esaltata come modello, fino a diventare mitologia vera e propria: Sorel ci aveva visto giusto ("il mito è un'organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti").
Chinacat
PS Nel 1919 il nome del partito a cui aderiscono Hitler & soci è DAP (Deutsche Arbeiterpartei - Partito Tedesco dei Lavoratori). A cui però aggiungono "Nationalsozialistische" (Nazional-Socialista), potendo in questo modo includere quasi tutti i potenziali elettori. Fu, purtroppo, una splendida idea.

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Gian

TINA ha un nome e cognome: la TV che inebetisce tutti xche’ , come dice il cinese, un’immagine vale + di di mille parole. Per questo i partiti recentemente si sono accapigliati per la nomina dei direttori RAI……

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