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Economia, scienza e pseudoscienza


A chi si chiede perché "gli economisti" (chi? quali? tutti?) non avessero previsto la crisi, o perché "i tecnici" dell'economia al governo non abbiano scongiurato la recessione, capita di sentirsi rispondere che, in fondo, "l'economia non è una scienza". Il che suggerirebbe che l'economia non dispone degli strumenti analitici di una "vera scienza" (?) in grado di prevedere gli effetti di date e osservabili premesse. Sarebbe tuttavia inutile chiedere ai sostenitori di questa tesi un affondo epistemologico: se l'economia non è una scienza, allora che cos'è? E prima ancora, che cos'è una scienza? Lo scopo dell'argomento si esaurisce infatti nella giustificazione dei fallimenti di alcuni esponenti della professione spostando la questione sul terreno impervio della filosofia, nella scommessa - quasi sempre vinta - che nessuno osi raccogliere la sfida.

Il discorso potrebbe già chiudersi qui, con la presa d'atto di uno stratagemma dialettico autoassolutorio ad uso dei meno onesti. Ma il Pedante non sarebbe tale se non cogliesse il destro per approfondire le insidie di un'ambiguità statutaria a cui si abbevera la τέχνη oligarchica.

Partiamo dall'ovvio. La scienza non è un corpus di discipline, ma un metodo di lavoro astratto. Le discipline indicano invece il perimetro dell'oggetto osservato secondo un'organizzazione del sapere convenzionale. Non è la disciplina che fa la scienza, ma l'approccio. Definire alcune discipline "scienze" è un modo abbreviato ma tecnicamente improprio per indicare che, nel contesto o prassi di riferimento, vi si prevede l'applicazione del metodo scientifico. Oggi la fisica è una "scienza", ma la fisica di Aristotele non era scientifica. La medicina moderna ha una base scientifica, ma molte delle cosiddette medicine alternative no. Ne consegue, inoltre, che è perfettamente possibile indagare qualsiasi oggetto o fenomeno in modo scientifico - ad esempio gli oroscopi, i sentimenti, la poesia, persino Dio - sia pure con risultati non sempre utili o interessanti.

L'indagine economica esercitata nel rispetto dei nessi logici, matematici ed empirici propri del metodo scientifico produce risultati validi non solo sul piano descrittivo, ma anche predittivo. Per tornare all'interrogativo dell'incipit, la crisi economica dell'eurozona era stata prevista con ampio anticipo da numerosi economisti applicando metodi e dati di pubblico dominio, con lo stesso rigore analitico da cui scaturisce la certezza che l'attuale assetto politico e monetario produrrà ulteriori involuzioni economiche. Al contrario, l'economia non scientifica privilegia la fase normativa (ciò che dovrebbe essere) a scapito di quella descrittiva-predittiva (ciò che è, ciò che sarà). Gli economisti che inclinano a questo secondo gruppo esprimono obiettivi e auspici, con un immancabile corollario lessicale emotivo e provocatorio, cioè moralista: ci vuole più mercato (o più Stato), non bisogna avere paura (?) della concorrenza e della globalizzazione, le aziende devono avere il coraggio (??) di innovare, i privilegi (???) vanno rimossi, l'Amministrazione pubblica purgata dai parassiti (????), i meritevoli (#@!?) premiati ecc., lasciando su uno sfondo implicito e vago - quando non tralasciando tout court - i percorsi dimostrativi, i precedenti storici, i calcoli che dovrebbero certificare la bontà di questi manifesti. Gli economisti di questo tipo sono poco scienziati e molto politici, anche nel linguaggio: molti di loro finiscono per militare in partiti o ricoprono ruoli di nomina politica, spregiando la più grigia ma utile funzione ancillare delle scienze al buon governo.

In linea di principio, entrambi gli approcci potrebbero convivere a patto che se ne esplicitino le premesse, così che i fruitori dell'informazione economica sappiano con chi hanno a che fare: se con studiosi che descrivono come stanno le cose o con pensatori che declamano come vorrebbero che stessero. Ma ciò non è ovviamente auspicabile, almeno per il secondo gruppo. Le persone si fidano della scienza perché è un metodo di provata efficacia per approssimarsi a verità dimostrabili e condivise. La professione economica è ritenuta socialmente utile nella stretta misura in cui dia garanzia di una scientificità di approccio e di risultati. Diversamente ci si rivolgerebbe a filosofi, padri spirituali, visionari o, appunto, politici. Accade perciò che gli economisti normativi si ricordino che la loro economia non è una scienza solo quando si tratta di nobilitare i propri errori ma per il resto, superata l'emergenza dialettica, coltivino accuratamente la dignità scientifica del proprio ruolo e la percezione pubblica di un sapere tecnico e oggettivo.

Questo modo di procedere ha un nome: pseudoscienza. Gli pseudoscienziati mutuano l'esteriorità del mondo scientifico (linguaggio, insegne, titoli, rituali ecc.) per conferire credibilità e prestigio a conclusioni prive di fondamento scientifico. L'adesione solo formale alle regole della scienza garantisce loro, come si è visto, anche la possibilità di defilarsi dal metodo nel caso di una confutazione scientificamente condotta. Sul filo di questa comoda ambiguità si possono contrabbandare gli interessi e gli abusi più vari. I "tecnici" che nel 2011 sostituirono i rappresentanti di un governo legittimo godevano della fiducia dei cittadini solo in quanto, appunto, tecnici, cioè portatori di un sapere ritenuto imparziale e certificato. Se allora fosse prevalsa la nozione che l'economia può non essere una scienza, quei tecnici sarebbero stati visti per ciò che sono - politici che rappresentano interessi minoritari - e la loro salita al potere per ciò che è stato: un cambio di governo sponsorizzato da gruppi minoritari di interesse in deroga alle norme della democrazia. E il colpo non sarebbe andato a buon fine.

Per chiudere il cerchio e la riflessione, aggiungiamo che l'economia pseudoscientifica è tale solo in relazione alle sue tesi. Nell'asimmetria tra ciò che essa finge di dimostrare e gli strumenti che promuove se ne misurano i moventi restituendo un senso finalmente scientifico al suo operare. Tra i tanti esempi possibili consideriamo le misure di austerità fiscale: che giovino alle finanze pubbliche o alla salute economica di un paese (PIL, occupazione) non è dimostrabile né tanto meno mai dimostrato dai fatti. Invocarle e difenderle da una cattedra universitaria o da una prestigiosa istituzione economica è perciò un chiaro atteggiamento pseudoscientifico. Tuttavia, se aggiustassimo la tesi - ad es. le misure di austerità giovano ai detentori di grandi capitali perché deprezzano le risorse pubbliche e private di uno Stato - la dimostrazione emergerebbe in tutto il suo rigore scientifico. Scopriremmo anzi che, sia pure in sedi mediaticamente più appartate, la cecità degli economisti pseudoscientifici non è sempre tale. L'omissione del processo dimostrativo può quindi denotare deficit intellettuale e culturale, o viceversa essere un modo intelligente per non svelare la tesi sottostante. Quale che sia il caso - stupidità o malafede - è questione atavica e forse irrisolvibile, che non intacca però la certezza dell'utilità dell'approccio economico pseudoscientifico nel tutelare interessi particolari all'ombra di un indimostrabile "bene comune" e di un'autorevolezza meramente formale.

Il Pedante è un oscuro musicista che in gioventù ha condotto ameni ma improduttivi studi letterari. Ciò non gli impedisce di riconoscere nel metodo scientifico la sistematizzazione del principio di esperienza e della sua elaborazione logica, che è ciò che ci consente di apprendere e comunicare ciò che sperimentiamo e di costruire un patrimonio condiviso di conoscenze. Chi si colloca fuori da questo metodo non può reclamare un'autorità riconosciuta, ma al più un'estemporanea e accidentale comunione di sensi con i suoi più consimili. Questo non può ovviamente essere il caso dell'economia, che indaga fenomeni misurabili per offrire strumenti replicabili. La coscienza del nesso causa-effetto - quella che ci permette di sopravvivere - è sufficiente per asseverare la scientificità di un processo, laddove se ne conoscano le premesse e i risultati. Il resto è immondizia gettata in pasto alle nostre emozioni: timore dell'autorità, sensi di colpa e precetti morali da prima infanzia, indignazione e invidia, metafore fuorvianti, preoccupazione per la propria incolumità e complessi di inferiorità. Lo pseudoscienziato pesca a piene mani da questa discarica, rendendo così riconoscibile la sua indegnità e, per quanto ci riguarda, doverosa la sua irrilevanza.


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Commenti

gengiss

Su questo argomento segnalo il mio (ormai un po' datato) MANUALE PER DIFENDERSI DAGLI ECONOMISTI
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